Le conseguenze politiche e ambientali del rinvio del regolamento Ue sulla deforestazione

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Chiudiamo gli occhi e riavvolgiamo il nastro al 1990. Fatto? Adesso riapriamoli e guardiamo un mappamondo, alle soglie del 2025: la deforestazione ha eliminato per sempre un’area più grande dell’Unione europea, pari a oltre quattrocentoventi milioni di ettari di foreste scomparse in tutto il pianeta stando ai dati della Fao. Numeri alla mano, si stima che l’impatto dell’Ue ammonti a circa il dieci per cento della deforestazione globale, tra i cui fattori principali spiccano le produzioni di olio di palma, carne, soia, cacao, eucalipto, mais, legname, cuoio e gomma.

Per cercare di porre un freno a questa che è evidentemente un’emergenza su scala mondiale, in occasione della Conferenza sul futuro dell’Europa i cittadini hanno chiesto ufficialmente una gestione forestale responsabile, con l’intento di proteggere e ripristinare la biodiversità dentro e fuori i confini dell’Unione. 

Oggi, a più di quattro anni dalla presentazione di quelle proposte, dopo una serie di azioni legislative inedite a livello internazionale, la risolutezza mostrata dall’Unione europea sembra vacillare davanti alle istanze del mondo industriale, proprio a pochi metri dal traguardo. In occasione dell’ultima plenaria a Strasburgo, infatti, il Parlamento ha approvato a larga maggioranza (cinquecentoquarantasei voti favorevoli) lo slittamento dell’applicazione del nuovo regolamento contro la deforestazione, sintomo della debolezza intrinseca di un progetto e di una visione politica green costrette a fare i conti con le pressioni del mercato.

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I grandi player e i commercianti avranno tempo di adeguarsi al regolamento entro il 30 dicembre 2025, una scadenza che per piccole e micro imprese si prolunga addirittura fino al 30 giugno 2026. Una finestra ulteriore per consentire alle imprese di tutto il mondo di prepararsi all’attuazione della normativa, senza per questo compromettere gli obiettivi della legge, suona però come una sconfitta davanti all’impellenza di dati che non mancano di segnalare, giorno dopo giorno, la tragica sorte di boschi e foreste. 

Per cogliere la portata negativa di questo slittamento di trecentosessantacinque giorni, tuttavia, è fondamentale fare un passo indietro e ripercorrere le tappe che hanno portato all’approvazione del regolamento sulla deforestazione, il primo esempio al mondo di norma a tutela della biodiversità di tale portata.

Cosa prevede il regolamento sulla deforestazione
Fino al 19 aprile 2023 non esisteva alcuna legislazione che proibisse l’immissione sul mercato europeo di prodotti colpevoli di alimentare la deforestazione su scala globale. Da quel giorno, il voto del Parlamento Ue ha portato all’approvazione del regolamento sulla deforestazione e, con esso, all’introduzione di una serie di limitazioni al consumo di specifici prodotti. Intervenendo a margine della votazione, il relatore Christophe Hansen (Ppe) sottolineava così la spinta alla trasparenza apportata dal regolamento: «Gli scaffali dei nostri supermercati si sono troppo spesso riempiti di prodotti coperti dalle ceneri di foreste pluviali bruciate ed ecosistemi distrutti in modo irreversibile, con la conseguente distruzione dei mezzi di sussistenza delle popolazioni indigene. Troppo spesso, ciò è accaduto senza che i consumatori lo sapessero». 

Fra i punti principali spicca il divieto di importare e vendere sul mercato Ue prodotti correlati al degrado forestale e l’obbligo per le aziende di garantirne la tracciabilità, dimostrando che non si tratti di materie provenienti da terreni deforestati dopo il 31 dicembre 2020 e che la loro produzione è avvenuta nel rispetto delle normative locali e dei diritti delle comunità indigene. In sintesi, l’attuazione di una due diligence (“valutazione rigorosa”) a conferma di un’origine “deforestation-free”, con i Paesi che verranno classificati in base al rischio per determinare il livello di controllo e sanzioni per le aziende che potranno raggiungere il quattro per cento del fatturato annuo. 

Un sistema digitalizzato provvederà quindi a tenere traccia dei dati per promuovere la trasparenza, mentre le autorità competenti dei singoli Stati europei avranno il compito di ispezionare i prodotti su cui ricadono le norme previste dal regolamento. Ai Paesi produttori di tutto il mondo, infine, spetterà il miglioramento di una governance forestale e la creazione di opportunità socio-economiche che consentano di adeguare gli standard produttivi ai livelli nazionali, così da poter beneficiare del sostegno economico dell’Unione europea per potersi adeguare alle misure previste.

Deforestation & Green deal: una questione politica
Le preferenze espresse in occasione parlamentare mostrano quanto l’ambiente rappresenti un tema identitario molto forte all’interno dell’Eurocamera. I cinquecentocinquantadue pareri favorevoli provengono dai banchi di Socialisti e democratici (S&D) e Verdi/ALE, ma anche da Renew Europe e da gran parte del Partito popolare europeo (Ppe), gruppi che hanno mostrato alcune reticenze come dimostrano le quarantatré astensioni registrate. Minoritario ma compatto il fronte dei quarantaquattro contrari, composto da rappresentanti dei gruppi euroscettici Identità e democrazia (Id) e Conservatori e riformisti europei (Ecr).

Una spaccatura che richiama le fratture in materia di Green deal, tra i progetti più emblematici della Commissione a guida Ursula von der Leyen, messo a punto con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Anche in questo caso, tra i principali sostenitori si distingue il fronte progressista e ambientalista, forte della convinzione che il “Patto Verde” possa sviluppare giustizia sociale e promuovere crescita economica e transizione ecologica, temi che hanno motivato a vario titolo l’appoggio mostrato dai Paesi dell’Europa nord-occidentale, dalla Svezia alla Francia, raccogliendo però un buon appoggio anche da Italia e Spagna. 

Aprendo una parentesi sul settore privato e sulla società civile, è interessante notare come alcune multinazionali tra cui Ikea, Siemens, Nestlé e Ferrero vedano di buon occhio le opportunità di innovazione offerte dal Green deal, assieme a una lunga lista di movimenti giovanili o volti alla tutela dell’ambiente come Greenpeace o Fridays for future.

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Al contrario, mentre in ambito politico i conservatori hanno più volte criticato il piano della Commissione temendo danni per le industrie e il mercato del lavoro, il blocco di Visegrad e, in generale, i Paesi a forte dipendenza dai combustibili fossili nel Centro-sud del continente si oppongono per paura che il Green deal possa penalizzare le rispettive economie. Un discorso a parte merita poi il comparto agricolo, sul piede di guerra al pensiero che le regole sulla sostenibilità impongano costi troppo onerosi per consumatori e imprese, riducendo così la competitività europea nel mercato globale.

La tutela dell’ambiente dovrà aspettare ancora un anno
Date queste premesse, la scelta del Parlamento europeo di posticipare l’entrata in vigore delle norme e la conseguente chiusura del mercato Ue alle aziende “deforestation-free” suona come una sconfitta a tratti preannunciata: nel corso dell’anno, infatti, il dibattito intorno al regolamento si è infuocato più volte dopo le critiche presentate da parte dei ministri dell’Agricoltura di vari Paesi europei, su tutti Austria, Repubblica Ceca ma anche Slovenia e Italia, su sponda politica dei popolari. A maggio, poi, la lettera arrivata dagli Stati Uniti, con i segretari per il Commercio e l’Agricoltura che hanno ufficialmente richiesto il rinvio dell’entrata in vigore delle norme per tutelare i produttori americani dalle «sfide critiche» poste dal regolamento.

Come afferma Nicole Polsterer, responsabile dell’Ong Fern per il consumo sostenibile, le fila dei detrattori si sono ingrossate anche nel Sud del mondo: un gruppo di diplomatici sudamericani ha denunciato come la stretta sulla produzione rischi di sconvolgere il settore agricolo, finendo addirittura per favorire la coltivazione di cocaina – non soggetta all’export legale e dunque ai controlli – rispetto a quella di caffè o cacao. 

Di tutt’altra opinione sono invece i produttori di Ghana e Costa d’Avorio, ma anche decine di associazioni brasiliane, che hanno espresso la propria preoccupazione in vista di un posticipo del regolamento, poi diventato realtà: ritardare l’entrata in vigore delle norme, infatti, rappresenta per loro un danno enorme all’ambiente e alla biodiversità, oltre a uno strumento imprescindibile nella tutela dei popoli indigeni.

«Ritardare o abbandonare una legge a pochi giorni dalla sua attuazione non costituisce un’opzione, ma il suo successo dipenderà dal modo in cui verrà messa in pratica e da come l’Unione europea sarà disposta ad aumentare il suo sostegno ai piccoli agricoltori e ai Paesi interessati». Nel commento finale di Polsterer c’è, con ogni probabilità, la sintesi perfetta dell’intera vicenda, con il rinvio di una norma tanto attesa e i rischi deleteri di un altro anno all’insegna della deregulation ambientale.



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