«L’emergenza è sempre stata il mio mestiere. Ho visto momenti che non dimenticherò mai»

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Gianpaolo Bottacin, nel libro-diario “I giorni di Vaia” (Cleup): «Entra in sala conferenze Soppelsa. È pallido, mi conferma che a Feltre c’è stato un morto. Lui che normalmente è caratterizzato da una proverbiale calma, quasi anglosassone, è visibilmente scosso. D’altro canto è feltrino e a Feltre le comunicazioni non funzionano. Lì ha anche i suoi familiari e non può mettersi in contatto. Non può sapere se stanno bene o male». L’ingegnere tutto d’un pezzo, che improvvisamente sbianca in quel 29 ottobre 2018, si chiama Luca Soppelsa ed è il direttore regionale della Protezione civile. Lo è stato fino allo scorso 1° dicembre, quando l’uomo delle emergenze è andato in quiescenza, anche se ha accettato di svolgere per un anno «un incarico di collaborazione a titolo gratuito» sempre nell’area Tutela e sicurezza del territorio della Regione, «a supporto del negoziato in corso tra Stato e Regione del Veneto relativo all’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia». 


Perché ha deciso di continuare a lavorare gratis?

«Per due motivi. Da un lato credo che la mia esperienza possa essere utile alla delegazione trattante, nel momento in cui è stato iniziato un confronto che va portato a termine. Dall’altro la Protezione civile per me è una passione che non passa certo il giorno della pensione…». 


Quand’è iniziata?

«Di fatto nel 1987-1988, quando ho cominciato i miei 19 anni prima da funzionario e poi da dirigente del Comune di Feltre, a cui ne sono seguiti altri 9 nella Provincia di Belluno. In entrambi gli enti lavoravo all’ufficio tecnico, che si occupava anche di Protezione civile. Un filo conduttore che mi ha accompagnato fino agli ultimi 8 anni e mezzo in Regione, dove mi sono occupato solo di quella».

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In quasi 40 anni, ha visto cambiare il settore?

«Moltissimo. Del resto la Protezione civile cambia in continuazione, diventando sempre più professionale e organizzata. In un sistema in cui ognuno ha il ruolo che gli compete, l’attenzione per il territorio è cresciuta a tutti i livelli: nazionale, regionale, locale». 


Quali sono le emergenze più gravi che ha dovuto affrontare?

«Ci sono due eventi estremi che sicuramente mi ricorderò per sempre: Vaia e Covid, perché mi hanno segnato sia nella professione che nella vita, per le attività operative svolte e per le relazioni umane intessute. Ma non posso dimenticare nemmeno altre calamità meteorologiche, incrementate in questi anni se non altro dal punto di vista dell’intensità, fra alluvioni, grandinate, incendi boschivi. Né l’emergenza Ucraina, per l’accoglienza dei profughi».


Come andò con quel pallore durante Vaia?

«Quel giorno e quella notte sono stati memorabili per quanto mi riguarda: l’attività della sala operativa, il monitoraggio dei corsi d’acqua, la prima vittima… Da dirigente purtroppo avevo dovuto registrare altre tragedie, come quelle per la frana di Cancia a Borca di Cadore e per la bomba d’acqua a Cortina d’Ampezzo, però questa volta avevo anche l’apprensione per la mia famiglia a Feltre. Quindi oltre alla tensione professionale, ho sentito pure l’angoscia umana». 


Dunque batte un cuore, sotto la corazza dell’ingegnere…

«C’è poco da fare. Quando si opera in queste condizioni, si sa di avere un lavoro da portare avanti. Ma ci sono sentimenti che non possono essere abbandonati».


Cosa conserverà nell’album dei ricordi?

«Il rapporto con la gente. Insieme alla mia squadra, che ringrazio per la professionalità e la dedizione, ho potuto percepire la gratitudine delle persone, che hanno visto nei volontari e nel sistema di Protezione civile una risorsa veramente utile per le loro vite. L’abbiamo sentito in Veneto, ma anche in Emilia Romagna o nelle Marche, in tutte le occasioni in cui siamo stati allertati dal dipartimento nazionale. Ogni volta pronti a scattare, nel giro di 1 o 2 ore in ambito locale, 6 o 12 in altre regioni». 


A proposito di cifre, quanto grande è la Protezione civile del Veneto oggi?

«Svuotando i cassetti per andare in quiescenza, ho trovato le carte con i dati di quando sono arrivato: nella direzione regionale eravamo in 40, mentre adesso siamo, o meglio sono, in 79, perché è stato aggregato il personale del post-emergenza. Il numero dei volontari è aumentato vistosamente, anche per il peso della Croce Rossa: ora sono poco più di 18.500, riuniti in 550 organizzazioni. Un esercito di persone formate, distribuite sul territorio, generose. Persone che ci mettono veramente il cuore e che rappresentano una sicurezza, ogni volta che scoppia un’emergenza».


Cosa farà adesso che è quasi del tutto in pensione?

«Frequenterò il corso-base per diventare volontario e iscrivermi al gruppo Ana di Feltre».


Ma come, dopo quattro decenni da dirigente della Protezione civile, non sa già tutto?

«Ho lavorato in ufficio, ma ci sono cose che un direttore non fa. E poi c’è sempre da imparare».

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