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“L’Aquila di Istanbul”, è questo il titolo del nuovo speciale di SkySport dedicato a Ciro Immobile. L’ex capitano della Lazio, ora attaccante del Besiktas, ha raccontato la sua nuova vita in Turchia, tornando anche sul suo passato in biancoceleste. Queste le sue parole: “Questa casa è il nostro regno, viviamo qui le nostre giornate. Dalla finestra c’è la vista sul Bosforo che divide l’Europa dall’Asia, noi qua siamo nella parte europea. Qui è dove ci mettiamo io e Mattia a contare le barche. La città è molto grande, per il campo di allenamento dipende dal traffico, ci mettiamo un po’. Ci si arriva tramite tre ponti, il nord, il centrale e il sud. Mattia non riesce a stare fermo dentro casa (ride, ndr.). Il peso della famiglia è tutto, quello che sta facendo Jessica insieme ai nostri figli lo stanno facendo per me. Hanno lasciato molte cose a Roma per essere qui per me”.
“Durante il viaggio che mi ha portato dall’Italia alla Turchia ho avuto pensieri positivi: avevo entusiasmo nel dover affrontare questa nuova avventura, nel voler partire col piglio giusto. La mia mente era proiettata a fare bene: mi piaceva il fatto di dover cambiare, ma allo stesso tempo ero un po’ spaventato dopo otto anni di Lazio. Ma alla fine avevo l’entusiasmo che hanno tutti quando cambiano squadra: avevo voglia, fame di ricominciare, di avere nuovi stimoli. Ero un po’ triste soprattutto perché avevo lasciato la mia famiglia in Italia. Mi serviva però un impatto così in Turchia: sono entrato, ho segnato due gol, sono stato nominato miglior giocatore della partita e ho alzato il trofeo. Dà una certa carica“.
“Dall’azzurro celeste della Lazio al bianconero, il passaggio è stato particolare. Ma devo dire che mi piace: è una bella maglia. I tifosi della Lazio mi hanno amato alla follia. Io ho amato loro allo stesso modo, ma stava diventando un amore solo per quanto fatto e non per quello che potevo ancora dare, e questo un po’ mi pesava. Nel calcio i giocatori che vanno avanti sono quelli che hanno più continuità, l’ho sempre pensato. È quasi facile segnare 20 gol in una stagione, non lo è farlo per 5-6 volte di fila: si stava quasi creando una punta di scetticismo nei miei confronti. Ora però in Turchia sto benissimo, questo stadio ti avvolge. Il campionato è di buon livello e sono venuto qui per continuare a fare quello che mi piace: divertirmi. L’affetto che ho ricevuto quando sono arrivato mi ha dato una carica incredibile”.
“Qui è una bella zona. Istanbul è molto simile a Roma, anche questa città è stata costruita su sette colli. Per fare un paragone, qua siamo ai Parioli, lo stadio è molto vicino. La zona si chiama ‘Besiktas’, è come se fossero tutte piccole cittadine, non quartieri. Dopo la partita da mangiare ti danno anche il kebab (ride, ndr.). Lo spogliatoio del Besiktas è molto bello, il mio posto è tutto ordinato. Il numero 17 l’ho tenuto, potevo scegliere se mettere ‘Immobile’ o ‘Ciro’ come nome dietro, mi era venuta questa idea. I ragazzi in squadra sono bravi, ho legato subito con tutti. Lo stadio ti avvolge, a vederlo così sembra una bomboniera, ma il loro tifo è molto caldo, assordante. Sono cambiato rispetto alle mie esperienze estere passate. Quando sei più grande gestisci meglio queste cose, e poi in campo si vede. Non sto avendo difficoltà per fortuna. Mi aiuta tanto il fatto di volermi sempre migliorare, di arrivare a dare più di tutti quanti e di spronare gli altri. Ho fatto più di 200 gol in Serie A, ho vinto l’Europeo, la Scarpa d’Oro, ho fatto cose importanti. Non mi rendo ancora bene conto quello che ho fatto, forse perché non mi sono ritirato, ma nei momenti di lucidità faccio due calcoli e penso che non è poco”.
“Mi serviva un impatto così. Catapultarsi in una nuova dimensione è difficile, ma se lo fai come l’ho fatto io segnando due gol e vincendo subito un trofeo ti dà una carica pazzesca. Il momento a cui sono più legato sono i primi anni a cui sono andato via di casa. Erano le prime difficoltà, ho esordito alla Juve al posto di Del Piero e mi ha aperto il mondo. Credo che gli inizi siano stati i più complicati, la vera partita la giochi lì, con tutti i dubbi. Ci sono tante cose che possono far andare male la tua storia, è tutto un punto interrogativo. Nel calcio, soprattutto in Nazionale, ci sono più critiche rispetto al club. Ma io non sono mai andato dietro a quello che dicevano, mi sono isolato e ho fatto un buon Europeo. Per quanto potesse mancare un attaccante, come dicevano, io sono stato l’ultimo centravanti a vincere un Europeo”.
“Dopo l’addio di Sarri ho vissuto un periodo davvero molto tosto. Da capitano mi sono accollato delle responsabilità che nemmeno pensavo di avere: non ero pronto e sono finito in un vortice più grande di me. Ho sofferto tanto quella cosa. Se non sei lucido di testa, le gambe non girano e ti fai male, esattamente come mi è successo. Tutte queste cose mi hanno portato a decidere di lasciare. Mi è stata molto di aiuto e mi ha spinto anche mia moglie Jessica: aveva visto un Ciro cambiato, io avevo capito di essere alla fine di un ciclo. Il mio unico rammarico è non aver salutato i tifosi. Come tutte le storie c’è un inizio e una fine: sarebbe stato bello poter condividere un bel finale insieme, non è detto che un addio non possa avvenire con un sorriso o con gioia. Sarebbe stato come un arrivederci tra due amici che prendono due strade diverse. Quello mi è rimasto sul groppone”.
“Saluto con estrema emozione tutti i tifosi della Lazio per questi otto anni che abbiamo vissuto insieme. So che molti si sono preoccupati per me, per come potesse andare qui la mia esperienza, la storia della Lazio continua e la mia prosegue qui, ma io vi porterò sempre nel cuore. Non posso cancellare gli otto anni che ho passato a Roma con la mia famiglia, a cui saremo sempre affezionati”.
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