“Putin vuole la resa di Kiev”

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“I nostri obiettivi di guerra non cambiano, con o senza l’attuale presidente nemico”, dice a Fanpage.it un consulente del Cremlino. L’ex ambasciatore Usa a Kyiv: “Mosca non offrirebbe condizioni migliori”. Secondo un deputato dell’opposizione ucraina, “Zelensky è un pessimo presidente ma è del tutto legittimo”. I costituzionalisti confermano.

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Eventuali dimissioni di Volodymyr Zelensky non faciliterebbero un processo di pace: Mosca non addolcirebbe le sue condizioni. Anzi, Vladimir Putin potrebbe diventare più spavaldo e aumentare le richieste. Sia a un tavolo delle trattative sull’Ucraina che in ogni futuro confronto con quello che definisce “Occidente collettivo”. L’ “atto finale di eroismo” — come l’ex direttore di The Economist Bill Emmot ha definito su La Stampa un ipotetico ritiro di Zelensky — è improbabile proprio perché non serve.

Condizioni invariate

“Tendo a escludere che senza Zelensky le nostre posizioni cambierebbero”, dice a Fanpage.it un consulente politico del Cremlino che chiede l’anonimato perché parla di propria iniziativa con la testata di un “paese ostile”. “I nostri obiettivi sono chiari, il presidente Putin li ha ribaditi nei giorni scorsi e resterebbero quelli anche se si negoziasse con il Parlamento di Kiev e non con Zelensky”.

“Nulla suggerisce che le dimissioni di Zelensky porterebbero la Russia a offrire condizioni migliori per una soluzione politica”, concorda il diplomatico statunitense Steven Pifer, ex ambasciatore in Ucraina, accademico del centro di ricerca politica Brookings Institution di Washington. “Quindi perché mai dovrebbe dimettersi?”, risponde a Fanpage.it il diplomatico.

La questione della legittimità di Zelensky è stata riproposta da Putin nella “linea diretta” del 19 dicembre: “L’intera autorità statale dell’Ucraina è fuorilegge perché lo è il presidente”, ha detto il leader russo. Il mandato di Zelensky in effetti avrebbe dovuto concludersi il 20 maggio scorso. Secondo Putin, doveva lasciare subito il potere alla Verkhovna Rada, il Parlamento unicamerale di Kiev.

In punto di diritto

In realtà le leggi ucraine in merito smentiscono gli argomenti di Mosca. In osservanza all’articolo 106, paragrafo 20 della Costituzione, il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa, fu proclamata la legge marziale. L’articolo 11 recita: “Il Presidente dell’Ucraina rimane il capo dello Stato e svolge la supervisione strategica delle forze armate durante il periodo della legge marziale”. E l’articolo 108 della Costituzione stabilisce che il Presidente resti in carica “fino all’inizio del mandato di un nuovo presidente eletto”.

Ora, siccome “è impossibile tenere elezioni presidenziali democratiche secondo i principi costituzionali durante la legge marziale”, i poteri del Presidente in carica “vengono prorogati fino all’insediamento del nuovo Presidente espresso nelle prime elezioni post-belliche”. A sottolinearlo sono i costituzionalisti Andriy Mahera (ex vice-presidente della Commissione elettorale centrale), Anton Chyrkin e Yuliya Kyrychenko. Il rinvio delle elezioni a dopo la revoca della legge marziale è previsto dalle norme di attuazione della stessa legge, spiegano i giuristi.

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In punto di fatto (diritti civili e cannonate)

Solo nel caso di una fine anticipata del mandato per cause di forza maggiore i poteri presidenziali passano, in forma limitata, al presidente del Parlamento. Quindi, l’interpretazione di Putin sembra forzata. Tutte le leggi marziali prevedono restrizioni dei diritti civili. Quella in vigore in Ucraina non fa eccezione.

Le critiche, soprattutto in articoli ospitati da think tank americani come il Wilson Center, sollevano argomenti a favore dei diritti civili. Certamente encomiabili, ma così fragili da non resistere a un filo di vento, figuriamoci alle cannonate.

Perché il problema alla fine è proprio questo: indire elezioni sotto i bombardamenti in un Paese invaso — con parte del territorio nazionale in mano al nemico, milioni di profughi e centinaia di migliaia di soldati al fronte — sarebbe folle. E violerebbe almeno una ventina di articoli della legge elettorale ucraina.

“Pessimo ma legittimo”

“La presidenza Zelensky è del tutto legittima”, dice un oppositore del presidente, il deputato indipendente della Verkhovna Rada Oleksiy Goncharenko. “Non lo rispetto: ha preparato male il Paese alla guerra e lo governa in modo autoritario. Nomina pessimi elementi alle più alte cariche. Non vorrei che venisse rieletto dopo la guerra. Spero che nemmeno si presenti. Ma questo non c’entra con la sua legittimità”.

“Organizzare elezioni in Ucraina oggi sarebbe assurdo”, spiega il deputato a Fanpage.it: “Non è solo una questione giuridica ma di buon senso. I russi potrebbero costringerci ad allarmi aerei 24 ore su 24 e farci votare nei rifugi. Le città vicine al fronte, esposte all’artiglieria, correrebbero rischi enormi. Ci sarebbero morti. E poi le elezioni non sono solo il giorno di voto, ma un processo fatto di dibattiti, comizi e incontri, impraticabile nelle attuali circostanze”.

Nella storia gli esempi di elezioni organizzate da democrazie impegnate in conflitti armati sono pochi. Durante la Seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna le sospese per cinque anni, prolungando il mandato del parlamento. La Francia fece lo stesso durante la Prima guerra mondiale.

Consenso

Le ragioni strettamente legali non bastano all’intellettuale russo Konstantin Sonin: “Tutti i dittatori si ‘autolegittimano’ manipolando le leggi”, commenta a Fanpage.it. “Zelensky invece conta sul consenso. E in Ucraina non ci sono prigionieri politici, il parlamento funziona, i giornalisti e le persone come me possono viaggiare nel Paese e riferire liberamente ciò che accade”.

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È vero che all’estrema destra e a qualche generale Zelensky non va giù. Ma i militari “raramente apprezzano le democrazie in tempo di guerra”, ricorda Sonin. Lincoln dovette cambiare continuamente i suoi comandanti, e Churchill litigava con i suoi ogni giorno. “Molti presidenti di guerra hanno affrontato un malcontento maggiore”. Konstantin Sonin insegna all’università di Chicago. Era vice-rettore alla Hse, la “Bocconi di Mosca”. Dovette dimettersi per motivi politici.

Secondo il professore, nel dopoguerra Zelensky potrebbe esser rieletto col 60 per cento dei voti. E Putin, quando parla del presidente ucraino “sta solo proiettando la sua paura di diventare impopolare e delegittimato”.

Bersaglio

Il leader del Cremlino, ribadendo l’illegittimità di Zelensky, ha anche voluto dare argomenti ai tanti più o meno palesi nemici del presidente ucraino in Occidente. I successi delle destre li hanno portati o li stanno portando ai vertici della politica. Possono aiutare. Far fuori in un modo o nell’altro Zelensky era uno dei primi obiettivi di guerra di Putin. E lo rimane.

“Se l’Occidente facesse pressione su Zelensky inducendolo a farsi da parte, per Putin sarebbe un vittoria epocale”, argomenta Steven Pifer. E lo zar diverrebbe ancora più impudente. Con conseguenze gravi per l’indipendenza e la sicurezza dell’Ucraina, e non solo: “Un successo del genere influenzerebbe ogni suo futuro atteggiamento nei confronti dell’Occidente”, ritiene il diplomatico americano.

Intanto, nei commenti durante la “linea diretta”, Putin “non ha segnalato cambiamenti nella posizione riguardo a un eventuale accordo”, sottolinea Pifer. “Vuole che l’Ucraina accetti Crimea, Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson come territori russi, anche se le regioni non sono occupate per intero. Vuole inoltre un’ Ucraina smilitarizzata e neutrale, vulnerabile a nuovi attacchi. E vuole un governo filo-russo a Kiev. Equivale a una resa totale”.

Una fortochka per Trump

Gli obiettivi sono confermati dal consulente del Cremlino sotto anonimato. Con una sfumatura importante: “Per noi l’attenzione è principalmente sulla riduzione delle forze armate ucraine, sulla fine delle ambizioni di entrare nella NATO e sul veto a leggi anti-russe. Le questioni territoriali sono meno importanti”.

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Come dire che nella finestra chiusa a ogni negoziato realistico resta uno sportellino aperto — una fortochka, dicono i russi. E non ha niente a che vedere con ipotetiche dimissioni di Zelensky. “Non bisogna credere a Putin”, commenta il deputato ucraino Goncharenko. “Ma penso che Donald Trump abbia il potere di spingerlo a trattare davvero”.

È paradossale che le speranze di una pace che non comporti la disfatta dell’Ucraina siano nelle mani di una persona che da sempre elogia Putin e, secondo rapporti di intelligence mai approfonditi e confermati ma ritenuti “plausibili” dagli addetti ai lavori, potrebbe essere addirittura nella posizione di essere ricattato da Mosca. Ma è tutto quel che ci rimane.

L’altra persona in grado di convincere il capo del Cremlino al cessate il fuoco, alla trattativa e a un parziale ritiro è Xi Jinping. Ma non lo ha mai fatto. Con Trump alla Casa Bianca e la guerra dei dazi — si spera solo quella —, l’“amicizia senza limiti” con la Russia diventa vitale per Pechino. Mosca resta l’unico sostegno politico nell’arena internazionale. Sopratutto nella sfida su Taiwan. Xi ha qualche ragione in più per evitare di far la voce grossa con Putin.





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