Lo aveva annunciato dopo il suo arrivo turbolento al governo, tra la cacciata del primo capo di gabinetto (invischiato nell’affaire Boccia) e le dimissioni forzate del secondo (mal digerito dalla destra): «Cambierò tutto al ministero della Cultura». Per farlo, Alessandro Giuli ha scelto il mezzo preferito dai suoi colleghi: il decreto. Ma per uno che ha esordito parlando di «quarta rivoluzione», è bizzarro non averne fatto neanche una.
IL PROVVEDIMENTO approvato ieri dal consiglio dei ministri è servito più che altro per accontentare i suoi nemici interni e consolidare rapporti. Tanto che il primo a complimentarsi è il presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, che ambiva a prenderne il posto al punto da aver litigato pubblicamente con la sorella del ministro, Antonella Giuli, che lavora nella comunicazione di FdI a Montecitorio. Mollicone blandisce e rivendica, nella stessa frase: il decreto Cultura è frutto del «programma elettorale che ho contribuito a scrivere, con Meloni e Giuli, e i sottosegretari Mazzi e Borgonzoni, stiamo portando avanti la rivoluzione dolce nel campo culturale».
Il testo, che doveva essere portato in cdm a novembre, validato ieri, prevede l’upgrade di Ales spa (Arte, lavoro e servizi): la società partecipata dal ministero, presieduta da Fabio Tagliaferri, consigliere comunale di FdI a Frosinone sponsorizzato da Arianna Meloni, viene inserita nell’elenco delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza. Ales potrà quindi, secondo legge, «procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo non superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti». Le opposizioni, alla pubblicazione della bozza, avevano parlato di «evidente amichettismo» ma l’ex membro del gruppo di estrema destra Meridiano Zero non si è lasciato scalfire dalle critiche e ha apparecchiato, con il benestare del resto del partito della premier, un grande avvenire per Tagliaferri, prima autonoleggiatore ora a capo delle spese per la cultura.
IL DECRETO GIULI contiene anche diverse assunzioni e promozioni. Il ministro ha chiesto, e naturalmente ottenuto, nomine per il cosiddetto «piano Olivetti» che dietro la pomposa intestazione all’industriale del welfare, contiene interventi per la rigenerazione delle periferie e per sostenere biblioteche e librerie. E poi ci sono quelle per il più noto «piano Mattei» di Meloni, che prevede anche progetti di cooperazione culturale con l’Africa. Come ha spiegato lo stesso ministro «il Piano Olivetti è la cornice nazionale, l’unità di missione dilata l’orizzonte del nuovo MiC».
Per entrambi i casi Giuli ha ritenuto di non poter lavorare con le competenze interne ma di aver bisogno di strutture complete, dotate di autonomi dirigenti e personale. Prevista una spesa di 769 mila 288 euro all’anno per ciascuna struttura fino al 2028. Cosa che ha fatto infuriare la Cgil: «La nomina di sei nuovi dirigenti esterni con ruoli che sarebbero invece di competenza delle strutture ministeriali è un fatto grave, conferma la volontà di esercitare un controllo politico su tutta la macchina ministeriale».
La nomina di sei nuovi dirigenti esterni con ruoli che sarebbero delle strutture ministeriali conferma la volontà di esercitare un controllo politicoCgil
NEL DECRETO anche una serie di contributi a istituti culturali in difficoltà (700 mila euro per la Giunta Storica Nazionale; 300 mila euro per l’Istituto italiano per la Storia Antica; 400 mila euro per l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea; 200 mila euro per l’Istituto di Numismatica) tutti enti che incontrano il favore del governo e poco altro.
IL PENSIERO SOLARE di Giuli non scalda altrettanto gli alleati di governo. Fi avrebbe dovuto ottenere il ritorno delle pubblicità delle scommesse sportive ma l’articolo sarebbe stato espunto all’ultimo minuto dalla bozza approdata ieri in cdm. Molto scontento sarà Claudio Lotito che si era intestato la battaglia. La Lega in teoria potrebbe farla da padrona al ministero dell’Economia dove concretamente si gestiranno nomine e risorse.
SEMPRE CHE IL QUIRINALE non obietti sulle ragioni di urgenza che hanno spinto il ministro a presentare un decreto che non sembra avere urgenze. «Sarebbe bene – prosegue la Cgil – fermare questa ennesima e ingiustificata forzatura e dare risposta ai tanti lavoratori precari che operano nel settore». Dall’opposizione insinuano che Giuli abbia ottenuto il «suo» decreto in cambio del silenzio sui tagli al settore contenuti nella manovra. Il ministro è consapevole di camminare sulle uova e si giustifica parlando di «straordinaria necessità e urgenza di rendere la cultura un bene comune accessibile, di farne uno strumento di dialogo e integrazione». Da vedere se convince la presidenza della Repubblica.
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