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Non si è ancora insediato alla Casa Bianca ma ha già avviato negoziati con europei, asiatici, canadesi, sudamericani. E aspetta Xi il 20 gennaio. Il «dealmaker», al secondo mandato, non ha ancora spaventato i mercati, nonostante l’ostentazione dei dazi commerciali
Dazi a raffica che possono cambiare i flussi del commercio mondiale (e far risalire l’inflazione Usa); espulsione di milioni di immigrati clandestini che, qualora fosse attuata con la severità annunciata, avrebbe un forte impatto sul mercato del lavoro americano. E poi, ancora, la capacità di disruption degli imprenditori della Silicon Valley applicata alla burocrazia federale: tagli drastici nel pubblico impiego che, se davvero possibili, potrebbero essere l’unico modo (insieme all’introito dei dazi) per contenere un debito pubblico, già pari al reddito nazionale americano, che nei prossimi anni veleggerà verso quota 150% del Pil per via dei nuovi, forti sgravi fiscali promessi agli americani, oltre che per l’aumento della spesa previdenziale e sanitaria.
L’America, già tornata ad essere l’economia più dinamica del mondo con l’Europa che ristagna e la Cina in forte difficoltà dopo decenni di boom, ha appena eletto un nuovo presidente deciso a spingere ancor più sulla crescita, anche sfruttando sempre di più i suoi giacimenti di petrolio e gas. Con un ovvio rischio ambientale e un altro di tipo finanziario: una possibile crisi del debito pubblico che, se esplodesse, avrebbe conseguenze planetarie.
Non è, dunque, sorprendente che Donald Trump, uomo dell’anno per il settimanale Time, sia stato scelto come personaggio economico dell’anno anche da L’Economia del Corriere, spuntandola nel testa a testa con Elon Musk che, selezionato negli anni scorsi per le sue straordinarie innovazioni, dall’auto allo spazio, ora stupisce e fa discutere soprattutto per le sue ambizioni di riformatore della macchina dello Stato e, forse, anche dei meccanismi della politica.
Un’avventura tra economia e dazi
Del resto oggi è impossibile descrivere l’avventura economica nella quale Trump vuole trascinare gli americani e tutti noi, senza parlare anche di Elon: l’uomo più ricco del mondo divenuto il suo braccio destro (lui si definisce best buddy), anche se gli obiettivi dei due, coincidenti nell’immediato, potrebbero anche divergere nel lungo periodo (in Silicon Valley c’è chi immagina una futura evoluzione della politica verso forme di autoritarismo tecnologico basato sull’intelligenza artificiale).
Se Trump varerà davvero i dazi che ha minacciato — il 25% punitivo su Messico e Canada accusati di non frenare il flusso di immigrati clandestini verso gli Stati Uniti, il 65% sulla Cina e dazi «senza fine» sull’Europa se non riequilibra la bilancia dei pagamenti Ue-Usa acquistando gas americano – le conseguenze saranno pesanti: meno commerci, rischio di recessione e prezzi più alti negli Stati Uniti.
L’economia Usa
Trump, che continua a definire tariff (dazio) la parola più bella del vocabolario, dice di non temere conseguenze negative per il suo Paese: «Ho messo molti dazi quando ero presidente senza problemi». Vero solo in parte: il peso negativo su Pil e prezzi ci fu, anche se limitato. Ma allora i balzelli non ostacolarono più di tanto la sostenuta crescita economica seguita alla Grande Recessione. Oggi l’economia Usa è in salute, ma la fase di forte sviluppo è ormai alle spalle, mentre per il 2025 è prevista una contenuta flessione (Pil al 2% rispetto al 2,5 di quest’anno).
I mercati, però, non sembrano preoccupati. Sanno che, anche da presidente, Trump tende a comportarsi da dealmaker: usa l’enorme forza del mercato Usa per negoziare condizioni più vantaggiose con partner e avversari. A giudicare dall’intensità delle trattative sotterranee o emerse (come quelle col canadese Trudeau) avviate con gli alleati europei, asiatici e del continente americano prima ancora del suo insediamento alla Casa Bianca, le minacce potrebbero anche restare tali: i dazi saliranno ma in misura contenuta (del resto su molti prodotti li applichiamo anche noi europei). Rimane l’incognita della Cina ma, invitando Xi Jinping a Washington per la cerimonia inaugurale del prossimo 20 gennaio, Trump mostra di voler avviare subito il dialogo anche con Pechino.
Le scomesse
Sugli immigrati, tema molto sentito dal suo elettorato, Trump prenderà certamente misure incisive, ma i più sono convinti che le espulsioni riguarderanno essenzialmente i clandestini che hanno commesso reati penali (un milione circa). L’espulsione di tutti gli illegali (circa 12 milioni) oltre a pesanti conseguenze sociali, porterebbe alla semiparalisi di interi settori dell’economia come agricoltura e ristorazione, per non parlare degli enormi oneri di spesa pubblica per ricerche, cattura, detenzione, procedimenti giudiziari e trasporto oltre frontiera di milioni di immigrati.
Nella testa dei conservatori e dei tycoon trumpiani della Silicon Valley c’è, comunque, l’idea di un’America meno multietnica che in futuro avrà meno bisogno di immigrati: la destra integralista vuole che gli americani tornino a fare anche i lavori umili che ora rifiutano e lasciano ai messicani, mentre Musk e i suoi compagni di cordate digitali (da Thiel ad Andreessen) pensano che molti lavori di immigrati verranno robotizzati, mentre altri impieghi potrebbero andare ai dipendenti pubblici dichiarati in esubero dal Dipartimento dell’Efficienza di Musk e Vivek Ramaswamy.
Tutto questo, però, richiederà tempi lunghi, ammesso che si vada effettivamente in questa direzione. E in tempi più o meno lunghi potrebbero essere tentate altre operazioni di vasta portata (e rischiose) come la «rivoluzione del denaro»: Trump, che prima le condannava, ora è diventato un grande fan delle criptovalute che sta sviluppando anche come business familiare, con grossi problemi di conflitto d’interessi. Ma dietro c’è anche l’dea di dare credibilità, fino a «istituzionalizzarli», a mezzi di pagamento virtuali fin qui rimasti periferici. Per non farsi scavalcare dalla Cina nella corsa verso la moneta digitale, ma forse anche per cominciare a studiare meccanismi (che al momento appaiono assai rischiosi) coi quali cercare di sgonfiare il debito pubblico.
Da ultimo l’Europa. Il confronto con la nuova presidenza di certo comporterà costi aggiuntivi per il nostro continente già in difficoltà per la fine dell’approvvigionamento di gas russo a basso costo. Oltre ai dazi, Trump ci chiederà di contribuire in misura molto maggiore alla copertura delle spese per la difesa militare del nostro Continente, fin qui sostenute soprattutto dagli Usa in ambito Nato. E scaricherà totalmente sull’Europa l’onere della ricostruzione dell’Ucraina.
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