“Gesù ci chiama a vita nuova”: Natale a Cremona tra fede, solidarietà e preparazione al Giubileo – Foto 1 di 13

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CREMONA – Tre, come da tradizione, le celebrazioni natalizie in città presiedute dal vescovo Antonio Napolioni. Molto partecipate dai fedeli, in duomo, la messa di mezzanotte e il solenne pontificale delle 11 del mattino. Mentre, per la messa dell’Aurora, il presule ha voluto anche quest’anno portare il proprio augurio ai detenuti e al personale nella Casa circondariale di Ca’ del Ferro. Una messa questa – aveva anticipato don Graziano Ghisolfi, uno dei cappellani del carcere, al sito della Diocesi – «vissuta sempre in modo intenso…Mi colpisce sempre la commozione che traspare dallo sguardo delle persone detenute, è il segno di una Chiesa e di un Dio capaci di raccogliere nonostante gli sbagli e le fragilità». (Nei giorni scorsi gli operatori di Caritas cremonese hanno confezionato e consegnato in carcere 260 dei 300 pandori donati dall’imprenditore dolciario cremonese Michele Bonetti, gli altri 40 alle diverse strutture di accoglienza gestite sul territorio dalla Caritas diocesana).

Le riflessioni del vescovo hanno coniugato il Natale con il Giubileo del 2025, aperto da papa Francesco nella basilica di San Pietro la sera della vigilia, e il cui inizio in diocesi è fissato per domenica prossima alle 17 in Sant’Agostino, da dove partirà la processione verso la Cattedrale.

«Gesù, sole di grazia, ci chiama a vita nuova. Questo sole ci dà luce per liberarci dalla confusione e da motori di ricerca pieni di dubbi; ci trasforma in cercatori di verità e di senso; ci dà calore per riabbracciare un cuore vivo che palpita nella nostra corporeità; ci dà energia di cui abbiamo bisogno e che è nascosta dentro le creature più impensate come i bambini o le persone con disabilità o alcuni anziani», ha ricordato monsignor Napolioni durante la liturgia della mezzanotte, animata, come quella del giorno, dal repertorio natalizio dal coro della cattedrale accompagnato, oltre che dall’organo, dalla tromba e da un quartetto d’archi. E l’appello è risuonato altrettanto forte nell’omelia del giorno, «È sempre bello – ha esordito il vescovo – entrare in una cattedrale al suono di ‘Adeste fideles’, è emozionante, un dono di Natale». Poi si è soffermato su un versetto del canto: «Deum infantem pannis involutum» (‘Dio bambino avvolto nei panni’), per confidare un tormento e concedersi una provocazione. «Avevo pensato nei giorni scorsi di far mettere nel presepio un fagotto bianco al posto del Bambinello…come i lenzuoli annodati a forma di caramella che avvolgono i corpi dei bambini martirizzati, mitragliati, uccisi nei bombardamenti…siamo capaci di fare questo nel secolo del progresso e dell’intelligenza artificiale!». «Se l’avessi fatto – ha proseguito Napolioni – probabilmente sarei finito in prima pagina non solo su ‘La Provincia’ ma anche su media nazionali, però avrei usato Gesù e anche la dignità umana di quei bambini, e perciò non l’ho fatto». Poi un’altra confidenza: «Qualche giorno fa don Alberto (Mangili, nda) celebrando la messa con i ragazzi della Cremonese ha ricordato di aver visitato una famiglia e di aver visto il presepio fatto dai figli con due Bambinelli. Uno dei bambini ha spiegato che uno era per lui e l’altro per suo fratello..».

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Un desiderio buono e opposto alla realtà di quei «fagotti di morte che invocano giustizia, pace e salvezza, che chiedono un amore più grande dell’amore dei propri genitori» e che il vescovo vorrebbe mettere «in braccio a Gesù…perché possa consolarli, ridare fiducia nella vita ad un mondo che rischia di avere più fiducia nella morte e nella guerra», e perché il presepio non venga ridotto a «coreografia»: «i bambini lo sanno, noi adulti lo dimentichiamo». Anche per questo c’è bisogno del Giubileo, che ci dà respiro se gli permettiamo di toccare le note più profonde del nostro cuore; c’è bisogno di pace e di speranza a partire da se stessi e non solo per gli altri».

Così «la porta spalancata dal Papa renderà questo tempo un Natale prolungato», un anno per «mendicare e accogliere quel Bambino in noi», consapevoli che la nostra «carne e corporeità -del bambino, del giovane, dell’adulto, della politica, dell’economia e della grandi scelte – è talmente fatta a immagine di Dio che solo in Lui respira, trova senso, riprende forza e inventa le vie della giustizia e della pace; altrimenti queste corporeità imputridiscono e si ammalano».





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