Luca Palamara. E chi se, non lui? Con chi altro si può provare a fare un bilancio autentico dell’anno giudiziario trascorso, se non con l’autore de Il Sistema, il magistrato a capo della magistratura associata radiato in ossequio a un equivoco, maldestro e intempestivo pudore istituzionale?
Questo 2024 è stato un anno di riequilibri nella “storia” di certi processi. Quello contro la giunta di Parma, iniziato nel 2012, si è concluso con un nulla di fatto e Vignali è stato eletto in consiglio regionale E-R.; Stefano Esposito dopo sette anni di calvario, estromesso dalla politica, è stato completamente scagionato da tutte le accuse. E Open, dopo cinque anni si è risolto come diceva Renzi: un grande bluff senza alcuna prova di colpevolezza. C’è un’aria nuova, una maggiore laicità garantista su certe inchieste?
«È indubbio che le vicende in questione evidenziano una autonomia di giudizio tra requirente e giudicante. Ma dare questa risposta sarebbe troppo semplicistico perché nel nostro Paese le cose, purtroppo, funzionano diversamente: le indagini che riguardano i politici, ancora prima dei giudizi, sovente alimentano un processo mediatico con l’evidente intento di una strumentalizzazione finalizzata alla eliminazione dalla scena pubblica del politico di turno sgradito. Il tutto si realizza secondo un meccanismo che vede una azione concertata tra taluni pubblici ministeri, polizia giudiziaria e giornalisti di riferimento. Ovvio che essendo questo meccanismo oramai disvelato ci siano giudici indipendenti che vogliano sottrarsi a tale schema».
Processo a Salvini, finito bene. A Palermo MD è sottorappresentata, è forte Magistratura Indipendente. Le sensibilità politiche delle correnti hanno inciso sulla decisione?
«Non voglio entrare nel merito di questa decisione ma svolgere un discorso di carattere generale. In linea di principio posso dire che è inevitabile che gli orientamenti culturali dei giudici finiscano poi per incidere sulla terzietà ed imparzialità dello stesso. Il “mantra” della sinistra giudiziaria secondo cui ciò che conta è l’imparzialità della decisione è una favoletta degli anni Sessanta alla quale, a parte i reduci di quel periodo, non crede più nessuno. Ciò che è accaduto nelle recenti decisioni sui “paesi sicuri” in materia di diritto di asilo ne è una plastica testimonianza».
Dimissioni Santalucia, ha la sensazione che ci sia un po’ di maretta interna a Anm?
«Lo statuto dell’ANM prevede che ogni quattro anni debbano essere svolte le elezioni; quindi, mi sembra abbastanza ovvio che in vista delle prossime imminenti elezioni ci siano altri magistrati che ambiscano a quella carica. Non dimentichiamo che fino al 2007 la regola interna all’associazione nazionale magistrati era quella della turnazione annuale per consentire ad ogni corrente di avere il proprio presidente. Inevitabile che la regola dei quattro anni crei una eccessiva personalizzazione del ruolo mal sopportata dalla base dei magistrati».
Chi è l’incumbent, c’è un predestinato? Come vede cambiare gli equilibri interni alla magistratura associata?
«Prematuro dirlo ora, perché inevitabilmente occorrerà attendere gli esiti delle elezioni. Solo i risultati potranno far comprendere gli orientamenti culturali interni alla magistratura».
“Il Sistema” compirà quattro anni a gennaio. Denunciava l’emergenza dello strapotere delle correnti, è cambiato qualcosa?
«Fino a quando il sistema resterà invariato è inevitabile lo strapotere delle correnti; fermi restando gli sforzi di voler cambiare in meglio e di privilegiare il merito dei magistrati candidati a questo oppure a quel posto, la realtà è che senza accordi tra le correnti difficilmente si può gestire il governo della magistratura».
E secondo lei si riuscirà a mettere mano alla riforma del Csm? Come, e quando?
«Su questo sono piuttosto ottimista perchè penso che oramai una riforma del Csm sia ineludibile e ciò ancor di più dopo il fallimento – sul punto – della legge Cartabia che si proponeva di risolvere i problemi aumentando il numero dei componenti. Ciò detto, ritengo che l’unico modo per riformare il Csm sia quello di portare al governo della magistratura una nuova classe dirigente svincolata dai meccanismi correntizi e l’unico antidoto, da questo punto di vista è quello del sorteggio, se del caso attraverso una riforma costituzionale».
Il Ministro Nordio avrebbe i numeri per metterci mano. Avrà anche il coraggio, ne avrà la forza?
«È ovvio che il presupposto di una riforma è un chiaro accordo ed una forte convergenza tra le forze politiche che hanno a cuore il tema della giustizia nel nostro Paese, colpevolmente lasciato in mano alla fazione giustizialista. Sul punto, tanti cittadini italiani hanno espresso in maniera chiara una volontà di cambiamento. Se la politica dovesse disattenderla sarebbe un tradimento e sarebbe un tema da cavalcare facilmente nelle prossime elezioni politiche».
Sulla giustizia la maggioranza ha tre velocità. FI più decisa, la Lega intermedia, Fdi più attenta a non scontentare troppo le toghe. Poi c’è Crosetto, che è un caso isolato. Ha ragione lui quando dice che questa maggioranza deve temere soprattutto l’opposizione giudiziaria?
«La storia ci insegna che ogni qualvolta viene in rilievo una riforma della giustizia, sistematicamente si materializza uno schieramento che, coinvolgendo la parte più politicizzata della magistratura associata e gli organi di informazione di riferimento, mira ad impedire qualsiasi volontà di cambiamento. Questa è l’opposizione giudiziaria da cui il Paese deve liberarsi».
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