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Alessandro Giacoletto e Cristina Masera, suicidi dopo la figlia – ANSA / Courtesy L’Eco del Chisone
Nessuna parola detta, nessuna decisione presa resta senza conseguenze. Nel bene e nel male, continuerà a farsi strada per un tempo che a nessuno è dato prevedere. «Ferma il mio dir se non dico il vero», cantava il poeta Clemente Rebora. «Poni, Signore, una custodia alla mia bocca» pregava, molti secoli prima, il salmista. Un uomo non sa gestire i suoi istinti, decide di cogliere un frutto proibito, per un attimo di piacere illecito, rischia il carcere e la gogna. Non si ferma. Va avanti. Cede. Stupra una ragazzina. Nessuno se n’ è accorto. La ragazza – ne è convinto – di certo non parlerà . Forse – e dico forse – dopo avrà provato vergogna di sé stesso. O, forse, no, ha rimosso tutto; non lo sapremo mai, perché, nel frattempo, quell’uomo è morto.
Passano gli anni. Chiara cresce, diventa donna. Nessuno lo sa, ma quel segreto continua a farle male. Parla, Chiara, parlane con i tuoi genitori, con le amiche; chiedi aiuto al medico di famiglia, fatti consigliare un esperto in materia. Liberati da questo fardello infame. Non hai da vergognarti di niente. Ti hanno fatto, non hai fatto, male. Hai solo da essere amata e coccolata.
Non lo fa. Si chiude in sé stessa. Forse anche noi ci portiamo qualche segreto dentro che solo a sfiorarlo riprende a ferirci. E preferiamo tacere. Parlare, confidarsi, chiedere aiuto, aprirsi, fidarsi, dialogare, sono le uniche cose da fare. Subire uno stupro è un dolore devastante che deve, assolutamente, essere condiviso con chi ci vuole bene. Insieme ce la faremo meglio a portarne il peso.
Chiara fa fatica a tenere a bada quel ricordo che, come un fiume carsico, scompare e ricompare. In uno di quei momenti angoscianti, che la vita non risparmia a nessuno, la ragazza cede. Mette fine alla sua stupenda vita. Lei vola in paradiso, per i genitori inizia la notte del calvario. I cuori stanno a grappoli. La gente dimentica, chi ama, no.
Ed ecco che la morte della figlia getta nella depressione nera il papà , Alessandro e la mamma, Cristina. Un medico e una farmacista, professionisti avvezzi a confrontarsi con la sofferenza e la morte. Da quel giorno, da quando la loro figliola ha deciso di andarsene per mettere fine al suo tormento, per loro, continuare a vivere, è una fatica immane. Avrebbero bisogno anch’essi di essere aiutati. Quel dolore lacerante è un patrimonio che non può, non deve andar perduto. Chiede di essere indirizzato verso il bene. La morte di un figlio apre una voragine che può essere colmata solo dalla fede in Dio, dalla speranza della risurrezione e dall’impegno a fare qualcosa di bello per i fratelli e le sorelle indigenti. Il tempo che scorre inutilmente diventa insopportabile.
Abbiamo bisogno di dare un senso alle nostre giornate. Accendere un sorriso su un viso spento, vestire gli ignudi, dar da mangiare agli affamati, consigliare gli afflitti, aprire le porte a una famiglia che vive sotto i ponti, servire alla mensa dei poveri, è un toccasana. Lo ha detto Gesù. Dobbiamo crederci con tutte le forze. Abbiamo bisogno di farne esperienza. Dobbiamo ripetercelo senza paura.
Quante volte ci siamo sentiti dire da qualcuno, in un momento difficile: «Se hai bisogno di me, chiama». Forse noi stessi abbiamo sussurrato queste parole a una persona cara, senza insistere, per non essere indelicati. Non basta. Troppo poco. La persona in difficoltà non lo farà , è troppo debole, teme di infastidire. È convinta che la croce cascata sulle proprie spalle è solamente sua. Che da nessuno può ricevere un valido aiuto. Non è vero. Ripetiamolo con forza: non è vero. Non bisogna temere di essere invadenti, se forziamo dolcemente la volontà di chi rifiuta di essere aiutato. L’amore ci insegnerà le vie da imboccare per correre in aiuto a un amico, un parente, un collega di lavoro. Non è facile ma è possibile. Proporre, invitare, programmare, essere caparbi, osare. Farsi accanto. L’uomo è e rimane un mistero a se stesso.
Alessandro e Cristina hanno ceduto anch’essi. Insieme si sono lasciati andare. E a noi non resta che piangere e pregare. Riposate in pace, fratello e sorelle. Che la vostra straziante tragedia familiare possa spingerci a seminare sempre e solamente amore.
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