Quando non ci sono più lacrime

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In Ucraina tre morti ogni nuovo nato, a Gaza il più alto numero di civili coinvolti. Strage di operatori umanitari

Nel 2024 che si sta per chiudere, le lacrime del mondo non bastano più. Piangere sui conflitti che provocano distruzione e morte e sui disastri dei cambiamenti climatici che spazzano via addirittura intere città è diventata una triste e macabra routine. Che sembra non avere fine.

Lacrime se ne dovrebbero versare tante anche per ogni singolo dato di un rapporto — realizzato dalla fondazione Cooperazione e Sviluppo (Cesvi) comparando i dati di altre organizzazioni ed istituzioni internazionali — che tira le somme di un Annus horribilis forse senza precedenti nel recente passato.

Ogni cifra fa inorridire, come quella che dà conto di quanti uomini, donne e bambini hanno perso la vita a causa delle guerre ancora in corso e degli stravolgimenti della natura spesso violentata e abusata: oltre 200.000, quasi come tutta la popolazione di Firenze. Ai quali vanno aggiunti i circa 120 milioni di sfollati nel mondo: per avere un’idea plastica ed immediata, è come se, più o meno, gli abitanti dell’Italia e della Francia messi insieme iniziassero a peregrinare senza meta dopo aver perso tutto per colpa delle bombe o della siccità estrema causata dall’insensato sfruttamento del pianeta.

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A far accapponare la pelle è anche la cifra dei focolai di guerra che praticamente non risparmiano alcun continente: oltre 56, una delle cifre più alte dal periodo della seconda guerra mondiale.

Lacrime non ce ne sono più neanche per piangere le vittime dei disastri naturali, terremoti e tsunami in testa, che quest’anno hanno raggiunto il ragguardevole numero dei 100, una media di uno ogni tre giorni. Ne sanno qualcosa gli operatori umanitari che nel 2024 hanno aiutato almeno 116 milioni di persone mettendo a rischio la propria vita. «Quelli morti sul campo sono stati oltre 280, più del doppio rispetto a cinque anni fa e quattro volte il numero delle vittime registrate vent’anni fa» rivela Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi.

Una strage che, stando alle statistiche, si è consumata soprattutto a Gaza dove hanno trovato la morte 178 volontari mentre invece tra Sudan e Ucraina sono stati 36 quelli che hanno perso la vita. «È una violenza inconcepibile —ammonisce Piziali — che contravviene il diritto internazionale umanitario che dovrebbe proteggere gli operatori impegnati in zone di conflitto. Situazioni di forte pericolosità si riscontrano proprio in Ucraina, dove le aree vicine al fronte sono soggette a continui attacchi. La popolazione civile, così come gli operatori umanitari, sono costretti a passare lunghe ore nei bunker per proteggersi dai bombardamenti».

La crisi che colpisce le organizzazioni umanitarie, entra nel dettaglio il direttore generale del Cesvi, paralizza anche la consegna dei beni di prima necessità: «In molte situazioni, come a Gaza dove Cesvi è presente dal 1994, l’accesso stesso agli aiuti è ora gravemente compromesso: i corridoi umanitari spesso rimangono bloccati e i convogli non riescono a raggiungere le popolazioni in difficoltà. Gli operatori locali inoltre vivono in una condizione di doppia vulnerabilità, essendo essi stessi sfollati ma anche responsabili degli interventi di aiuto».

Dal 2021 ad oggi, le aree di conflitto sono aumentate del 65%. Se si volesse calcolare la superficie di tutti i luoghi dove si sta consumando questa terza guerra mondiale a pezzi, evocata spesso da Papa Francesco, si dovrebbero raddoppiare le dimensioni dell’India. Un’enormità.

Quasi scontato, ma tragico, il primo posto dell’Ucraina nella classifica delle nazioni più violente del 2024: nei primi sei mesi dell’anno, per ogni nuovo nato sono morte tre persone mentre il bilancio totale supera i 37 mila morti. «I bambini — afferma ancora Piziali — sono tra le prime vittime, 3 milioni sono in stato di bisogno, 1,5 milioni soffrono di problemi di salute mentale. Si calcola, inoltre, che i bambini delle zone vicine al fronte abbiano passato nei bunker un numero di ore che equivale a 7 mesi della loro vita».

Il territorio con il maggior numero di vittime civili risulta essere Gaza. Da gennaio, i morti sono stati 35.000 ed i feriti hanno superato i 100.000. Il direttore del Cesvi mette in evidenza anche che «in 14 mesi sono stati distrutti più di 70.000 edifici e nella Striscia ci sono quasi 2 milioni di persone sfollate. Le forniture idriche continuano ad essere limitate. In questo momento stiamo installando cisterne per l’acqua potabile e bagni per gli studenti e lo staff dei centri educativi, unici luoghi di aggregazione rimasti per bambini e ragazzi». Davvero: le lacrime del mondo sono proprio finite. 

di Federico Piana

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