Dai ladri di frutta a chi offrì il pane al nemico: in un libro le fucilazioni sommarie nella Grande guerra

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Il fenomeno delle fucilazioni l’esempio durante la Prima guerra mondiale continua a far discutere. Recentemente, il nipote del generale Luigi Cadorna ha scritto al presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti lamentandosi della proposta di legge per la riabilitazione storica dei fucilati per l’esempio già passata in Commissione cultura dalla Regione Veneto. Il percorso è quello già tracciato dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia che con una norma del 2021 ha stabilito per il 1° luglio di ogni anno, nella data della fucilazione dei quattro alpini di Cercivento, una giornata di commemorazione per i giustiziati per l’esempio e le vittime delle decimazioni, nonché la nomina di una commissione di storici (di cui chi scrive fa parte) che indaghi il fenomeno e rediga un apposito albo con i nomi dei fucilati che erano nati nell’attuale territorio della regione, o che vi furono giustiziati.

«Non ci sarà alcun automatismo» ha risposto il presidente Ciambetti, spiegando che si tratta di rendere giustizia a soldati che l’attendono da più di un secolo, e non di riabilitare chiunque.

L’argomento, sollevato dal nipote di chi guidò l’esercito fino a Caporetto, che tra i fucilati con processo o per esecuzioni sommarie vi fossero anche spie, ladri, omicidi e stupratori pare del tutto strumentale. Le condanne a morte per questo tipo di reati furono residuali e non diedero quasi mai luogo a esecuzioni: due sole furono ad esempio le condanne a morte per reati sessuali, di cui solo una eseguita.

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Il lato più buio delle esecuzioni per l’esempio, oltre alle decimazioni, furono le fucilazioni sommarie, su cui l’editore Gaspari di Udine ha ora ripubblicato lo studio fondamentale degli storici Marco Pluviano e Irene Guerrini: Le fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale.

Come ricapitola Giorgio Rochat nella prefazione del volume, a differenza di quanto avveniva negli altri eserciti occidentali, Cadorna aveva autorizzato, anzi prescritto esecuzioni sommarie, sul campo, senza alcun processo, per dare un immediato e terribile esempio alla truppa. Fra i moltissimi casi scoperti e descritti da Pluviano e Guerrini vi sono ad esempio i 28 militari della gloriosissima Brigata Catanzaro fucilati ai primi di luglio 1917, senza processo, a Santa Maria la Longa a sud di Udine, colpevoli della più grande rivolta armata interna all’esercito generata dal rifiuto di ritornare per l’ennesima volta in prima linea.

Ma ci sono anche una serie di episodi veramente incredibili. A Maerne, nella terraferma veneziana, un sottotenente si imbatté su dei soldati che avevano rubato della frutta, non si sa se da un negozio o da un frutteto, e ordinò ad un sottoposto di aprire il fuoco su di essi, uccidendone uno e ferendone un altro (l’ufficiale venne processato e condannato). Sul Monte Grappa, il soldato Pietro Rosso venne fucilato perché aveva lanciato due pagnotte nella trincea nemica, colpevole di tradimento perché «col dono del pane di favorire la resistenza fisica dell’odiato nostro nemico”.

Il caso più famoso, che già all’epoca suscitò indignazione e generò un’ondata di rivelazioni di casi simili, fu quello che avvenne a Noventa vicino a Padova, il 3 novembre 1917. Nella piazza del paese, il generale Andrea Graziani, che era stato tra i pochi comandanti che aveva tenuto il proprio ruolo nella ritirata di Caporetto, si mise ad arringare i soldati, accorgendosi però che un soldato che lo ascoltava fumava il sigaro. Dopo avergli inutilmente intimato di togliersi il toscano dalla bocca, lo fece prendere e, per dimostrare ai borghesi che assistevano alla scena che ai suoi soldati faceva quello che gli pareva, lo sbatté davanti a un muretto e lo fece fucilare tra le urla delle donne inorridite.

La gran parte delle circa 300 fucilazioni sommarie descritte nel libro, e delle 750 condanne a morte emesse dai tribunali militari, riguarda però i reati di diserzione e sbandamento, quasi sempre in faccia al nemico. Sintomi di una situazione di esaurimento fisico e mentale di un esercito tenuto spesso in trincea per periodi lunghissimi, senza adeguato sostegno materiale e fisico, al quale erano assegnati riposi inferiori a quelli accordati negli altri eserciti. Su questi casi si abbatterono i «terribili inasprimenti» del generale Cadorna e la «violenza» con cui essi furono messi in pratica, che contrastava con la «longanime paterna disciplina tradizionale del nostro esercito». Così si esprime un’inchiesta militare del 1919, che conferma il dovere di approfondire la conoscenza di questo passaggio buio della nostra storia. —



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