IL COMMENTO Ischia, il turismo come un capitone – Il Golfo 24

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DI LUIGI DELLA MONICA

In tema natalizio il capitone rievoca tradizioni culinarie antiche e stimola la fantasia dei bambini: un pesce di colore scuro, viscido come un serpente, che ricorda la murena, ma non è altrettanto aggressivo, che è difficile da afferrare e da uccidere, per inserirlo nella padella della nonna, o della mamma, per essere degustato dopo la frittura nell’olio bollente. Nel teatro napoletano simboleggia vagamente lo spirito di sopravvivenza, in altri termini la resilienza, che gli abitanti di un territorio tanto bello e tanto baciato dalla bontà del creato divino manifestano rispetto agli eventi catastrofici naturali ed umani. Si convincerà alla fine che questo è un paese i cui abitanti gli somigliano, gente non meno infelice e strenua di lui, che va nel Mare dei Sargassi ma non ci resta, che viene sbattuta contro i suoi muri o contro i suoi sogni dalle disgrazie, che viene fatta a pezzi ma in ogni pezzo si agita, che muore solo quanto basta per essere benedetta e seppellita, facendosi, così, meglio gustare nel ricordo? Tratto articolo de “Il Mattino” 18.12.2020 – frase di Giuseppe Marotta, 1948, “San Gennaro non dice mai di no”, ed. Alessandro Polidoro. Da questo autore il Maestro Vittorio De Sica ideò la celebrazione del capitone nel suo lungometraggio “l’Oro di Napoli”, per significare la gioia della ritrovata serenità familiare di Totò, il modesto pazzariello, che aveva trovato il coraggio di scacciare la prepotenza e la violenza del guappo, ospite indesiderato in casa sua.

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E qualche anno prima, l’ingenuo Lucariello Cupiello, interpretato dal Genio Eduardo De Filippo, nella prima rappresentazione del Natale 1931, ci mostrava il simbolismo del gesto di ammazzare il capitone come catarsi della sofferenza patita da una famiglia per un intero anno che stava volgendo a termine, per evitare di vedere una tragedia che si stava per manifestare sulla scena, il tradimento coniugale delle figlia e la sua imminente morte per un colpo apoplettico. Ancora, Luciano De Crescenzo, nel 1982, con il suo “Così parlò Bellevista”, lascia campo libero a Marina Confalone di dialogare con il capitone, che non vuole morire. Nella tradizione cristiana, immanente alla cultura napoletana ed ischitana, il taglio della testa a questo scivoloso ed energico serpente di mare simboleggia la vittoria di Cristo sul Male, impersonificato dal capitone. Di tutti questi sentimenti, altalenanti fra la gioia ed il dolore, è intrisa la comunità isolana, che sta vivendo una svolta epocale nel suo modo di intendere l’economia turistica ed il conseguenziale benessere economico.

Le prove, a mio sommesso avviso, si rintracciano nelle iniziative del comune di Forio e nel recente “sold out” conseguito dalla notte bianca ed auspichiamo che tale esperimento si moltiplichi esponenzialmente nei vari territori insulari. In pratica, a fronte di una crisi epocale molto forte, coraggiosi tentativi di resilienza politico economica sortiscono risultati positivi. La medicina non è quella però di rintracciare colpevoli o innocenti, nelle altre amministrazioni, ma semplicemente stringersi a coorte nell’interesse del bene comune di tutto un territorio, ricco di risorse umane e naturali.

Il guappo “Don Carmine” nell’Oro di Napoli è certamente, paragonato al turismo isolano nel suo complesso, iconografia di quella congettura ormai trapassata remota del turista consumista e scostumato, quale forma di sussistenza per l’economia dei sei comuni ischitani nel trimestre estivo. Proprio a questo capitone bisogna avere il coraggio di tagliare la testa, come fece il pazzariello magistralmente interpretato da Totò, il quale mima nel sospiro della liberazione tutta la soddisfazione della fine della sua schiavitù da quel losco personaggio dispotico e pernicioso per il suo benessere familiare. Spesso odo mezze parole a denti stretti di concittadini ischitani rivolte a certi turisti campani, che ci “deliziano” durante le ferie agostane, ma ritengo che queste frasi sgradevoli dovrebbero indirizzarsi viceversa a casa nostra, proprio contro quegli albergatori o quei proprietari di seconde case che non selezionano la propria utenza. I primi, mossi dalla angoscia di avere le stanze vuote, si vendono i pacchetti online ai motori di ricerca degli operatori turistici, oppure si incrementano le formule “roulette” per avere sempre il pieno di presenze.

Discorso a parte per i proprietari delle seconde case, che nel periodo scolastico incentivano i pendolari a prendere alloggio, ma all’alba del 01 giugno li invitano “garbatamente” ad uscire fuori, per fare ritorno al 01 ottobre successivo. A questo discorso non fanno eccezione gli stabilimenti termali, che rigorosamente chiudono i battenti il 31 ottobre per riaprire il 30 aprile dell’anno successivo. Eppure vi è una SPA ad Ischia, precisamente nel comune di Forio, che ha sbancato non appena circa due anni fa ha pensato di mantenere il servizio dodici mesi all’anno: evidentemente ha deciso di uccidere il capitone.

Un altro mostro marino da annientare è senza dubbio il lavoro interinale e la NASPI, che via, via, hanno determinato una fortissima migrazione delle eccellenze giovanili isolane verso altri Paesi, che nulla hanno da invidiare e da insegnare ad Ischia, salvo il Trentino Alto Adige, già da me osannato in altri scritti. Non mi interessa, a dispetto del pensiero di alcuni, fare il promoter silenzioso dei sudtirolesi, ma semplicemente scuotere le coscienze degli uomini di potere isolano, al fine di ispirare il coraggio del cambiamento. Infatti, nelle seconde case o nelle case vacanze affittate a prezzi molto elevati per settimana, si parla di circa 1000/1500 euro per una abitazione quattro posti, similari alla economia parassitaria del luglio\agosto ischitano, le agenzie, le pro-loco, le amministrazioni locali e gli stessi proprietari immobiliari immettono l’ospite in un circuito di conoscenza degli eventi, delle strutture e delle attività ricreative del territorio. Nel nostro mondo isolano, vi è una sorta di arrangiamento globale, nel senso che l’ospite che paga circa 4mila euro per mese, ma anche oltre, è lasciato a pascolare per forze endogene, di modo che, il solito sciagurato campanilismo nostrano, lo induce a pensare: “io ti assicuro il tetto, poi il vitto e le opportunità ricreative sono affari tuoi”. In questo messaggio si condensa tutta la improvvisazione del turismo isolano, che non è più quella del film “Vacanze ad Ischia”, (1957) dove bastavano un letto ed un tetto per divertirsi.

Tutto questo quadro si tinge di nero e grigio, se si riflette sul tanto desiderato rinnovo contrattuale collettivo nazionale del comparto turismo, che ha previsto considerevoli aumenti di stipendio e di diritti sindacali, nel contesto isolano, dove esistono diverse strutture recettive in decozione, dove si fa ampio ricorso alla NASPI ed al lavoro interinale, dove si fa fatica a reperire manodopera nostrana altamente qualificata, che scappa all’Estero, per rivolgersi ad una sempre più elevata offerta di bassa forza extracomunitaria, che per carità di Dio nessuno intende discriminare, ma che dequalifica sempre di più il target dei servizi di lusso, in nome di uno standard generalista, che ha fatto completamente eclissare il tanto speciale “brand” della ospitalità ischitana. Sarebbe ora di trovare il coraggio di uccidere il capitone di Ischia, significazione ideologica del vecchio sistema di fare economia, per fare posto ad un nuovo modo di fare squadra, privata e pubblica per migliorare una disfunzione dell’isola.

Se una spiaggia rischia di perdere l’arenile, i concessionari, invece di piangere per la perdita del loro privilegio tardo feudale, si dovrebbero consorziare anche con il Comune di riferimento per attingere ai fondi regionali preposti e non pietire con il cappello in mano al loro “patrizio” di riferimento per risolvere il problema dall’alto dei cieli di Roma; se un territorio durante le notti estive viene infestato da giovinastri abbandonati dalle loro famiglie invasate dalla pretesa del guappo dell’oro di Napoli di portare soldi e quindi il perdono per qualsiasi intemperanza, bisogna avere il coraggio di serrare i locali, di impedirgli opportunità di schiamazzo ed il mattino dopo di bussare alla porta del proprietario di casa per chiedergli di allontanare l’ospite indesiderato. Dobbiamo uccidere il capitone del metodo reazionario di fare turismo ad Ischia, che sta strozzando la bellezza del territorio e la speranza di viverlo in serenità dei nostri giovani. Senza coraggio non si potrà approdare alla net economy di cui Ischia ha tutte le potenzialità per approdarvi, meglio di altre realtà insulari.

* AVVOCATO

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