Reggio Calabria, gli audio degli stupri di gruppo e le lacrime di fronte alla polizia. «Non vivevo più»

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di Carlo Macrì, inviato a Seminara (Reggio Calabria) 

La ragazzina coraggio: «Così ho deciso di denunciare». «I miei fratelli avevano scelto il centro di cure mentali per me, volevano farmi tacere»

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SEMINARA (REGGIO CALABRIA)  La sua determinazione, mista a rabbia, è tutta in una frase che Clelia (nome di fantasia) ha postato sulla sua pagina Facebook: «Credi in te stesso e in tutto ciò che sei. Sappi che c’è qualcosa dentro di te che è più grande di qualsiasi ostacolo». 

Lei, da minorenne, è riuscita ad andare oltre gli ostacoli più grandi: la violenza sessuale con tanto di filmati, i ricatti e le minacce subite ripetutamente da parte di un gruppo di ragazzi, bulli e pregiudicati di Seminara (Reggio Calabria), e poi il silenzio, l’omertà, interrotti talvolta solo dallo scherno. 




















































Solo la madre e una sorella l’hanno aiutata a ribellarsi, altri due fratelli invece le avevano detto di uccidersi, di andare da uno psichiatra. Ma lei ha parlato, è riuscita poi a convincere anche un’altra amica che subiva la stessa situazione, loro due hanno permesso alla polizia di arrivare a 16 arresti.

Clelia studiava in una scuola superiore di Palmi, a pochi chilometri da Seminara: un paese, il suo, di poco più di duemila abitanti, a sud della piana di Gioia Tauro. Zona difficile, con infiltrazioni pesanti della ‘ndrangheta. E la polizia è arrivata a lei, la ragazza minorenne di Seminara, piazzando cimici e facendo intercettazioni sulle auto di una serie di ragazzi, ma per altre vicende criminali. 

Così i poliziotti, a partire da febbraio 2021, hanno ascoltato e carpito diversi momenti degli stupri, delle violenze. Sono stati loro a chiamare Clelia, a cercarla, a portarla davanti al pubblico ministero. Lei, la prima volta, ha ascoltato gli audio delle intercettazioni, tremendi, c’erano «loro» che si vantavano di quello che facevano, delle violenze, lei che veniva offesa in ogni modo. Ha ascoltato ed è scoppiata a piangere. Ha riconosciuto le loro voci. 

Gli investigatori della polizia, a quel punto, l’hanno assistita in ogni modo, l’hanno fatta parlare con uno psicologo, lei si è sbloccata, aveva solo 15 anni nel 2021. E sono iniziati i suoi racconti. «Non solo ho subìto abusi di gruppo, ripetutamente, ma mi minacciavano di continuo, facevano anche questo». 

Ma come è iniziato il tutto? Il suo fidanzato di allora aveva un approccio maschilista, violento, «mi ha fatto incontrare gli altri, ha consentito che tutto avvenisse». Spesso dopo gli stupri c’era qualcuno degli aguzzini che inviava ad altre persone sui social i video delle violenze, anche con il numero di telefono di Clelia. «Ricevevo continuamente telefonate per appuntamenti — ha raccontato lei —. Non vivevo più. È iniziato il periodo in cui tentavo di far sapere alla mia famiglia quello che stavo subendo. Ma una mia sorella e un mio fratello mi hanno zittita. E poi c’era la vergogna: a scuola non ne parlavo con nessuno».

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Parlare con gli investigatori e far sapere che l’aveva fatto è stato uno dei problemi più grossi. «Nella mia famiglia sono iniziate forti contrapposizioni. Mia madre mi ha supportata, così ha fatto anche una delle mie sorelle, con suo marito. Invece gli altri due fratelli, anche in virtù dell’amicizia che li lega al mio ex fidanzato, hanno dimostrato la loro avversità per ciò che avevo deciso di fare. Cioè denunciare i miei stupratori. Quello che era il mio ragazzo mi ha poi lasciata e, per di più, per offendermi, ha iniziato a raccontare in tutto il paese quello che mi era accaduto». Ancora peggio: in famiglia «era già stato individuato lo psichiatra dove mandarmi. Volevano che mi rivolgessi al centro di salute mentale di Taurianova, quello più vicino era proprio a Seminara».

Volevano il silenzio, ma c’era qualcuno in ascolto, nel silenzio di una stanza per le intercettazioni telefoniche. E c’è stata Clelia, che agganciata da quegli investigatori, ha trovato i posti e i momenti giusti per ribellarsi, per evitare che tutto potesse sembrare anche solo minimamente normale, nonostante la chiusura del suo paesino, i problemi della zona, la paura della ‘ndrangheta. 

Restano gli arresti, c’è la sua vita lontano, in un posto protetto, ci sono i viaggi che oggi ama fare. Ma restano ancora i segnali del silenzio: a Seminara questa vicenda sempre non interessare a nessuno. Il parroco don Domenico Caruso dice di essere impegnato e non intende rispondere al telefono. Il sindaco tace. In piazza, una signora di mezza età, che naturalmente chiede di restare anonima, torna a quell’idea, dei familiari: «Dovevano farla sottoporre a visita psichiatrica per farla dichiarare pazza».

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22 dicembre 2024 ( modifica il 22 dicembre 2024 | 21:32)

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