“Chiusa Giano nelle Marche, ora si riparte la strada è People Promise, più valori per i giovani”

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Si è chiusa, dopo mesi di trattative, la vicenda delle cartiere Fedrigoni di Fabriano. Lo storico stabilimento Giano che produceva risme di carta per ufficio cessa l’attività e i quasi 200 dipendenti saranno tutelati tra cassa integrazione temporanea e successivo ricollocamento in altre aziende del gruppo.

I licenziamenti collettivi sono stati ritirati ed il personale tira un sospiro di sollievo, schivando la crisi che ha colpito la produzione di carta comune in un mondo dove ormai tutto diventa sempre più digitale e sempre meno materiale. Anche Marco Nespolo, ad di Fedrigoni, è sollevato: “Tutelare le persone per noi resta la priorità assoluta – spiega – con Giano abbiamo resistito per anni ma è stato impossibile; da qui una decisione presa non a cuor leggero. L’anno che abbiamo davanti ci darà il tempo di identificare nuove opportunità occupazionali”.

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Nespolo, superata la tempesta proviamo a parlare di futuro. Voi guardate avanti accrescendo la presenza nei settori strategici del politape, delle etichette, degli imballaggi, degli adesivi. Le cifre istituzionali parlano di un’Italia che cammina, ma sono tante le crisi aziendali e molti giovani se ne vanno all’estero. Che succede? Vanno via solo perché il Paese non attira e paga poco?
“No, non è solo per quello. Certo, la retribuzione, è un fattore molto rilevante. Però non decisivo. Quando noi trattiamo con nostri dipendenti che manifestano dubbi sul rimanere o meno in azienda, e offriamo per prima cosa un aumento di stipendio, spesso ci sentiamo rispondere: “Se la vostra risposta al mio malessere è solo ti aumentiamo la paga, beh, è un buon motivo per andarsene”.

E allora? Nespolo lei guida Fedrigoni dal 2018: un gigante della carta con 6mila dipendenti, 80 centri di produzione, un catalogo di 25mila prodotti. Un gruppo presente in 135 paesi, un enorme melting pot che ha però un denominatore comune: assumere gente per crescere, e motivarla per farla lavorare bene. Poi però bisogna farla restare. E anche le aziende debbono cambiare…
Noi da tempo siamo impegnati a capire e contrastare il trend della fuga dei giovani proprio perché siamo stati costretti ad avviare un grande processo di trasformazione interna, il che vuol dire cambiare molto. E incentivare la gente a restare con noi. Come? Quanto più giovani sono i candidati e tanto più diverse e specifiche le loro attitudini, tanto più specifici sono i modi di parlargli e di attrarli. Non solo lo stipendio è molto meno importante di prima, ma anche il percorso di carriera é meno importante di prima. Ci serve un gancio valoriale: Chi intende lavorare per noi vuole sapere sapere come l’azienda si prende dei dipendenti, come li fa crescere sulle cose che per loro contano, che tipo di ambiente troveranno, che cultura c’è al suo interno interno. I reclutatori mi dicono che spesso chiedono cosa fa Fedrigoni per la sostenibilità.

L’azienda come una collettività, insomma
Quasi. Chi cerca lavoro oggi cerca di plasmare la vita in azienda o comunque la professione con la propria vita privata o comunque i propri interessi. É molto diverso dalle precedenti generazioni, quando si faceva la gavetta e si accettava qualsiasi cosa per il lavoro. Una volta c’era il posto fisso e la scrivania, adesso c’è la flessibilità sulla location, sugli orari. Oggi i candidati che vogliono lavorare con noi si informano sulla cultura in azienda, sulla qualità delle persone con cui lavoreranno, quali strumenti di crescita professionale e di wellbeing hanno a disposizione, perchè ritengono il benessere molto importante. Di queste aspettative abbiamo fatto, come si dice, di necessità virtù, e c’è meno turnover: il 65% del personale è in azienda da meno di 5 anni. Si è messa in moto una macchina di recruiting importante, che ha dovuto alzare le antenne in tempo e adeguarsi.

Nel 2030 le aziende dovranno adeguarsi, nei bilanci, ai criteri di sostenibilità definiti a livello europeo. E dimostrare di aver fatto quello che serviva anche dal punto di vista social e governance. Voi ci siete?
Noi, producendo carta, siamo un’azienda energivora di gas e acqua e trattiamo molto il tema rifiuti e sicurezza. Ma abbiamo sviluppato una cosa che chiamiamo People Promise, in cui spieghiamo cos’è la socializzazione interna all’azienda e della spinta, velocità e intensità che devi avere se vuoi venire qui. É come un manifesto politico se vogliamo definirlo così”

E se si convincono e li assumete?
“Se li assumiamo cominciano i programmi di onboarding. Training fisici e digitali, meccanismi di socializzazione e scambio di idee.

Quello accade un po’ dappertutto, davanti alle macchinette automatiche...
Eh no…. Noi li abbiamo strutturati perchè ognuno possa contribuire, proprio in materia di sostenibilità. Abbiamo i cosiddetti high coffee talks, che sono di fatto delle colazioni in giro per le nostre sedi, dove la gente, chiunque arriva, trova cornetti, brioche, cappuccini eccetera E condivide idee per migliorare le nostre performance di sostenibilità. Le idee non si calano dall’alto. E si parla di social wellbeing sui temi di inclusion diversity e di multiculturalità. Così nascono idee, tanta gente contribuisce, quindi tutti si sentono diciamo proattivi e ascoltati. E noi ovviamente selezioniamo le idee migliori e le mettiamo in pratica. Il nostro scopo è permeare l’organizzazione di queste cose. Perchè se la carta vuole sopravvivere ha bisogno di creatività.

Parliamo di diversità . Voi avete 3mila persone che lavorano in tanti paesi del mondo. Una volta la diversità era guardata un po con con diffidenza, donne e uomini portatori di handicap. Oggi?
Per noi la diversità è ricchezza, possibilità di apprendimento diverso in un’azienda globale come siamo. Ci si fertilizza a vicenda nei vari reparti in giro per il mondo . E sul fronte di diversità di genere ci siamo dati l’obiettivo di portare la percentuale di ruoli manageriali ricoperti da donne dal 19 al 35% .

Un altro tema importante nella politica social di un’azienda è cosa questa restituisce al territorio dove opera. Voi che fate?
Noi non abbiamo centri unici di produzione come Luxottica ad Agordo, ma abbiamo tante comunità. E qui cerchiamo di avere iniziative tipo “family day” domenica nelle fabbriche sia finanziando iniziative locali che vanno dagli interventi nelle Università o nelle fondazioni . Abbiamo supportato comunità di donne che aiutano quelle di loro che hanno subito violenza, organizziamo tour di donne che vanno in paesi dove la condizione femminile è difficile a spiegare nelle scuole di come sia possibile per loro fare un percorso di crescita importante sul lavoro.

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Questo riesce a frenare l’esodo dei giovani dall’Italia?
“Bisogna offrire coerenza. Noi , essendo internazionali, abbiamo la possibilità di offrire anche carriere internazionali e gestire la rotazione tra paesi. Ma intendiamoci: i giovani se ne vanno, ma non è un capriccio: sta ai manager e agli imprenditori italiani creare le condizioni per non farli andare via”.



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