Germania, la crisi economica in cima alle preoccupazioni degli elettori. Costi troppo alti, investimenti e consumi al palo: perché la locomotiva è ferma

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La situazione economica è in cima alla lista delle preoccupazioni degli elettori tedeschi chiamati al voto il prossimo febbraio. In un sondaggio del 6 dicembre il 32% degli intervistati l’ha messa prima di immigrazione, energia e clima, guerra russo-ucraina e pure della forbice tra prezzi e salari. Risultati che danno la misura dello choc causato da un 2023 di recessione seguito finora da tre trimestri di sostanziale stagnazione e dalle previsioni con cui tutti i principali istituti economici e lo stesso Ministero dell’economia hanno ridotto le stime di crescita del pil per il 2025. Nel dibattito sulla fiducia al Cancelliere Olaf Scholz (SPD), il suo vice Robert Habeck (Verdi) ha sottolineato che l’economia tedesca non cresce praticamente più dal 2018. Secondo l’Ifo Institut di Monaco è ferma ormai da cinque anni. La produzione economica complessiva e le esportazioni sono più o meno le stesse del 2019, avverte il Leibnitz Institut für Wirtschaftsforschung di Halle. Il Fondo monetario internazionale mette la Germania al 39° posto tra le 41 economie avanzate in termini di crescita.

“Troppo pochi investimenti, troppa burocrazia, costi locali troppo alti: l’economia tedesca è bloccata. Sta perdendo il contatto con l’Europa e a livello internazionale”, ha riassunto Martin Wansleben, direttore generale della Camera di commercio e industria tedesca (Deutsche Industrie und Handelskammer, Dihk), commentando i risultati di un sondaggio condotto dalla sua organizzazione. Il 2025 sarà “il terzo anno consecutivo senza alcuna crescita reale del prodotto interno lordo”. “I problemi strutturali come l’aumento dei prezzi dell’energia in Germania, l’invecchiamento della forza lavoro e la carenza di lavoratori qualificati non sono facili da risolvere”, ha rincarato Oliver Holtemöller, capo del dipartimento di macroeconomia e vicepresidente dell’Iwh. Geraldine Dany-Knedlik, analista capa per lo sviluppo congiunturale del Diw, vede “un mix critico di recessione economica e problemi strutturali”.

Sotto accusa i prezzi dell’energia e il freno al debito – In questo quadro i 25mila imprenditori sondati dalla Camera di commercio e industria temono che la Germania “locomotiva d’Europa” sia ormai un pallido ricordo. Solo il 19% è ottimista. Più di un intervistato su due ritiene che le incertezze della politica economica (57%), il costo del lavoro (54%) o la carenza di manodopera qualificata (51%) siano rischi aziendali esplosivi. Nonostante il calo, per quasi la metà (49%) i prezzi dell’energia e delle materie prime rappresentano ancora un problema. La politica monetaria poi è un’incognita. “I segnali di deindustrializzazione stanno diventando sempre più evidenti. Gli scarsi investimenti dimostrano che la base di creazione di valore industriale sta diminuendo”, lancia l’allarme Wansleben. “Per una società che invecchia e vuole affrontare sfide come la decarbonizzazione dell’economia, l’aumento della produttività è l’unica via d’uscita. Ma ciò richiede investimenti decisamente maggiori”. Invece il freno all’indebitamento, che risale al 2009, ai tempi della Merkel, ha portato a un cronico sotto investimento nei servizi pubblici. Molti economisti vedono nel tetto dello 0,35% del Pil un ostacolo significativo alla crescita e la causa dietro le carenze infrastrutturali.

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La debolezza cinese e le minacce dagli Usa – La Germania, fortemente incentrata sul manifatturiero e orientata all’export, nonostante la graduale ripresa dell’Eurozona grazie al calo dell’inflazione è penalizzata dalla situazione mondiale. La robusta economia Usa nel 2026 potrebbe rallentare e pesa la minacciata introduzione di dazi doganali. La Cina non ha raggiunto l’obiettivo di crescita del 5% e la crisi immobiliare continua a gravare sulle sue finanze, penalizzando anche le importazioni dalla Germania. La produzione di autoveicoli ha registrato una flessione particolarmente drammatica. I costruttori tedeschi hanno perso competitività rispetto a quelli cinesi. Sono in ritardo nella trasformazione verso la mobilità elettrica, con costi elevati pur producendo localmente. Di conseguenza anche il 30% dei produttori di componenti e accessori, indica la Camera di commercio, è in difficoltà e fatica ad accedere a capitale esterno. Gli investimenti fissi lordi sono ancora ben al di sotto dei livelli pre-Covid. Un terzo delle aziende vuole ridurli in Germania e nell’industria la percentuale arriva addirittura al 40%.

Effetto domino sui consumi – Mentre le economie di tutto il mondo si stanno gradualmente riprendendo dopo la pandemia, le imprese manifatturiere tedesche perdono commesse soprattutto sui mercati extraeuropei. Secondo il Dihk solo un’azienda su cinque prevede un aumento delle esportazioni, quasi un terzo si aspetta un calo. Un quarto di tutte le aziende che hanno risposto al sondaggio vuole ridurre il numero dei dipendenti, contro un decimo che conta di assumere. In alcuni casi sta già succedendo. È solo la carenza di lavoratori qualificati a garantire ancora un mercato del lavoro relativamente stabile. Il rallentamento sta colpendo sempre più anche i servizi dell’indotto e tutto il mercato del lavoro. Davanti all’insicurezza del mantenimento del posto le famiglie risparmiano di più deprimendo la domanda interna.

La caduta del governo paralizza gli investimenti – La gestione provvisoria del bilancio causa caduta del Governo limita la spesa pubblica e i programmi pubblici di rilancio. In attesa di conoscere l’indirizzo del futuro esecutivo le imprese ritardano gli investimenti in nuove attrezzature, capannoni o progetti. Anche dopo le elezioni “non c’è da aspettarsi una forte ripresa”, avverte Holtemöller. Soprattutto se continueranno i tagli di posti di lavoro in larga scala e si arriverà a una guerra commerciale globale. Pessimisti pure gli analisti dell’IfW che prevedono un tasso di disoccupazione del 6,3% l’anno prossimo (nel 2023 era il 5,7%) e che il reddito reale delle famiglie non crescerà più impedendo ai consumi privati di avere grosso slancio.

Le vie di uscita – Come uscirne? La Confindustria tedesca (BDI) auspica riforme strutturali, a partire da una riduzione degli oneri fiscali sulle imprese portandoli al massimo al 25% e cancellando il contributo di solidarietà per la riunificazione nazionale e la compensazione dell’imposta sul commercio con quella sulle società. Poi bonus statali per incentivare gli investimenti e investimenti pubblici per almeno 315 miliardi per ristrutturare edilizia, trasporti, educazione e progredire nella digitalizzazione amministrativa e riduzione della burocrazia.

Anche il Consiglio di esperti del Governo nel suo rapporto annuale ha indicato la necessità di aumentare le spese orientate al futuro con un fondo per le infrastrutture e quote minime di spesa per istruzione e difesa. L’Ifo a sua volta ritiene necessario un pacchetto fatto di riduzione del carico fiscale sulle imprese, meno burocrazia e costi energetici, espansione delle infrastrutture digitali, energetiche e dei trasporti e aumento dell’offerta di lavoro, anche attraverso una maggiore partecipazione degli anziani e delle donne o una più facile immigrazione di lavoratori qualificati.

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