USA. Dieci tesi sull’autoritarismo reazionario di Trump * MPS

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


Donald Trump ha vinto ancora una volta le elezioni presidenziali, diventando il solo secondo presidente nella storia degli Stati Uniti dal 1892 a vincere la rielezione dopo aver perso in precedenza. Inoltre, a differenza del 2016, ha vinto anche nel voto popolare, una situazione che non si verificava per i repubblicani da più di vent’anni. Una vittoria completata dalla maggioranza repubblicana al Senato e al Congresso, che sommata al controllo conservatore della Corte Suprema, conferisce a Trump un potere quasi autocratico, almeno per i primi due anni di legislatura, fino alle elezioni di midterm.

La vittoria di Trump ha colto di sorpresa molti osservatori che si aspettavano una vittoria di Kamala Harris o almeno un risultato più di stretta misura. Ha dimostrato ancora una volta la dissociazione che esiste tra l’establishment mediatico degli opinionisti e il voto di un elettorato sempre più arrabbiato che ha trovato nel trumpismo un modo per incanalare la propria rabbia. In questo testo intendo fornire almeno dieci tesi su una vittoria che dimostra come Trump non sia un incidente di sistema ma la logica conclusione di un cambiamento epocale.

1. Un voto di protesta

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Un exit poll della CNN ha rivelato una statistica molto rivelatrice: “Il 72% di coloro che hanno votato si dice insoddisfatto o arrabbiato per come vanno le cose negli Stati Uniti”. Una rabbia che, ancora una volta, è stata la chiave del successo di Donald Trump, che ha ripetuto la formula del 2016, attirando e mobilitando un voto di protesta trasversale tra le classi popolari e medie, soprattutto bianche. Anche se in questa occasione ha conquistato un’alta percentuale di voti tra settori tradizionalmente democratici come i latinos e, in misura minore, gli uomini di origine africana.

Un voto di protesta contro l’establishment rappresentato dai democratici di Kamala Harris e in qualche misura anche in ciò che resta del vecchio apparato repubblicano. Questo ha permesso a Trump di continuare a presentarsi come un outsider della partitocrazia americana. Un “non politico”, un uomo d’affari di successo, un manager, un riflesso delle aspirazioni sociali dell’americano medio. Proprio questa immagine non politicamente corretta è stata uno degli elementi chiave della vittoria di Trump e del suo successo dal 2016.

Una rabbia che sta generando terremoti politici che non si vedono, o non si vogliono vedere. Un conflitto che non nasce nel vuoto, ma è profondamente segnato dalla radicalizzazione neoliberista prodotta sulla scia della crisi del 2008, dell’emergenza climatica e delle sue conseguenze: un aumento brutale delle disuguaglianze, l’accelerazione della distruzione dei resti del Welfare State e l’espulsione di milioni di lavoratori dagli standard di cittadinanza prestabiliti. In altre parole, una serie di profondi eventi economici e sociali che hanno scosso brutalmente la politica, distruggendo i vecchi ancoraggi e il consenso dei partiti e producendo spostamenti tettonici e riallineamenti imprevedibili nell’arena elettorale.

2. Autoritarismo e stile di vita americano

La geografia del malcontento, che si esprime soprattutto nelle aree che hanno vissuto un prolungato declino economico – ex aree industriali, città medie e piccole e aree rurali – ha portato alla diffusione di un ampio voto di protesta. Una geografia del malcontento che non si riduce al malessere economico. Si spiega anche con una crisi culturale e identitaria, la perdita dei valori americani di fronte ai processi di omologazione globale. La grande vittoria di Trump è stata quella di incorporare una visione autoritaria dell’American Way of Life quando sembrava ferita a morte. Nel momento in cui la promessa del sogno americano sembra più difficile da realizzare a causa della scomparsa dell’American Way of Life, emerge un personaggio che incarna l’immagine del trionfo americano in tutto il suo splendore e i suoi eccessi.

3. Amplificare il linguaggio della protesta di destra

La difesa dell’americano medio, il risentimento contro le élite progressiste, le fantasie vittimistiche di persecuzione statale a ritmo di musica country, ecc. ha recuperato il cosiddetto populismo del piccolo imprenditore, eminentemente funzionale alle logiche neoliberiste. Nelle parole del giornalista Thomas Frank“Il piccolo imprenditore incarna il volto del conservatorismo perché il suo rifiuto delle multinazionali e dei loro referenti politici coincide con i tempi (…)”. Il piccolo imprenditore “è diventato l’uomo che rende seducente l’utopia capitalista”.

Così, il contadino come immagine mitizzata che incarna i valori della nazione viene sostituito dall’imprenditore o dal piccolo uomo d’affari, che appare come l’emblema del sogno americano. Essi sono i veri eroi che hanno reso grande l’America, favorendo un individualismo che incolpa i perdenti del sistema per i mali della nazione, permettendo al malcontento popolare di essere incanalato verso il basso anziché verso l’alto.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

4. La lotta sindacale dei milionari

Nel 1934, subito dopo la grande crisi e nel quadro del New Deal di Roosevelt, nasce l’American Liberty League, un’organizzazione di miliardari che viene soprannominata il “sindacato dei milionari”. Ogni ciclo elettorale porta più soldi, e ogni campagna supera il record di quella precedente. Una tendenza che si è accelerata dal 2010, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha reso più facile per i gruppi esterni aumentare le spese per le campagne elettorali, sia direttamente che indirettamente. Una decisione che ha inaugurato l’era dei mega-donatori, un ciclo di spese politiche senza precedenti, in cui i milionari, così come le aziende, influenzano la politica come mai prima.

September 16, 2024, Renton, Washington, USA: Workers carry picket signs outside the Boeing Company’s Renton Factory during an ongoing strike of the company’s approximately 33,000 machinists, in Renton, Washington, USA, on Mon., Sept. 16, 2024. The machinists are members of the International Association of Machinists and Aerospace Workers union and last week voted overwhelmingly (94.6% in favor) to reject a contract offered by Boeing and to strike (96% in favor). The workers walked out of their shifts last Friday morning at 12:01am and have been picketing around the clock since. (Credit Image: © Scott Brauer/ZUMA Press Wire

La vittoria di Trump nel 2016 ha rappresentato un ulteriore giro di vite nell’oligarchizzazione della politica americana, con l’aumento esponenziale delle spese per le campagne elettorali aggravato dall’effetto mimetico generato dai candidati miliardari di Trump.
In questa campagna elettorale va aggiunto l’appoggio diretto di Elon Musk, la persona più ricca del mondo, che non solo ha speso moltissimo per sostenere la candidatura di Trump – si stima trecento milioni di dollari, arrivando persino a comprare voti in stati chiave come la Pennsylvania – ma ha utilizzato senza mezzi termini X, il social network da lui acquistato nel 2022, come potente arma elettorale a favore di Trump.
In questo senso, uno studio dei professori Timothy Graham e Mark Andrejevic ha scoperto un cambiamento strutturale nelle metriche dell’algoritmo di X dal gennaio 2024 per esporre gli utenti ai contenuti voluti da Musk. In questo modo, il proprietario della piattaforma X ha dimostrato di avere il privilegio di acquistare la capacità di adattare il mondo ai suoi interessi economici e alle sue inclinazioni ideologiche. È un altro passo verso un sistema plutocratico.

5. I neoreazionari

I neoreazionari sono un movimento guidato da miliardari del settore tecnologico che si definiscono antidemocratici, antiliberali, antilluministi, antiegalitari o accelerazionisti, cioè cercano di provocare tensioni per scatenare conflitti e forzare un cambio di regime politico. Tra questi spicca Peter Thiel, cofondatore di PayPal e primo investitore di Facebook, che ha finanziato campagne di politici di estrema destra per accelerare il conflitto negli Stati Uniti.

L’altra figura di spicco è lo stesso Elon Musk, che ha investito miliardi nell’acquisto di X per influenzare in modo decisivo e avvelenare il dibattito pubblico, come abbiamo visto nei pogrom di estrema destra in Inghilterra nell’estate del 2024. Miliardari tecnologici contro la democrazia, che stanno investendo miliardi e le loro stesse aziende tecnologiche per condizionare i risultati elettorali a favore dei loro interessi economici e ideologici, una vera e propria rivolta dei privilegiati.

6. Il campione della nuova destra cristiana

Prestito personale

Delibera veloce

 

In un paese come gli Stati Uniti, dove l’81% della popolazione crede in Dio, le questioni religiose hanno un peso molto importante nell’elettorato. Sembrava difficile che un candidato come Trump – due volte divorziato e tre volte sposato, con numerosi scandali sessuali (condannato per aver cercato di nasconderli), ostentato e arrogante – potesse presentarsi come un uomo che guidava la sua vita secondo valori religiosi. Tuttavia, una delle chiavi del suo successo elettorale è stata la capacità di conquistare l’elettorato evangelico.
Nonostante gli scandali, la comunità evangelica più conservatrice è arrivata a giustificare il proprio sostegno politico a Trump paragonandolo al “moderno Ciro” e al “candidato di Dio per il caos”. Per gli evangelici, “Ciro è il modello del miscredente che Dio sceglie per realizzare gli scopi dei fedeli”. Questi gruppi accolgono con favore la volontà di Trump di rompere con le norme democratiche per combattere le minacce che sentono per i loro valori e modi di vita, al fine di compiere “la missione di Dio sulla terra”. Vedono Trump come il più vicino alla loro agenda, capace di attuare un programma nazionalista cristiano che rappresenta i loro interessi politici e morali.

7. La sconfitta del neoliberismo progressista

La teoria del “meno peggio”, è una particolare forma di antipolitica promossa dall’establishment, intesa come voto contro un candidato per aggirare sempre il male, quello che si considera il male maggiore, ammesso che si accetti il pedaggio di un male minore. Il meno peggio riferito a Kamala Harris è stato, in un certo senso, un tentativo di salvare il relitto di quello che Nancy Fraser ha definito “neoliberismo progressista”, la combinazione da parte dei governi democratici di politiche economiche regressive e liberalizzanti con politiche di riconoscimento apparentemente progressiste.

In realtà, l’elezione di Trump è una di una serie di insubordinazioni politiche contro il neoliberismo progressista. Non perdiamo di vista il fatto che la rottura con lo status quo conferisce un notevole sex appeal e una certa aura di antisistema, in un momento in cui il sistema è generatore di diversi disagi.

Il “meno peggio” è, in un certo senso, l’ultima ancora di salvezza per gli apparati politici tradizionali che hanno gestito le politiche neoliberiste negli ultimi quattro decenni. Il trumpismo ha sconfitto per la prima volta lo stesso establishment del partito repubblicano, quando è riuscito a vincere, contro i pronostici, le primarie per le elezioni del 2016. Da allora il trumpismo ha trasformato il partito a sua immagine e somiglianza, adattandolo a una nuova era.
In questo senso, la sconfitta del “meno peggio” che Harris rappresentava è una sconfitta esistenziale per i Democratici e per il loro apparato di partito, un altro sintomo che stiamo entrando in una nuova era, quella del neoliberismo autoritario, dove la strada del male minore è stata la via più rapida per il male maggiore.

8. Il trumpismo in carne e ossa, il Maga

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Maga è l’acronimo dello slogan Make America Great Again, già utilizzato da Reagan nella campagna del 1980, di cui Trump si è appropriato nella campagna del 2016 e che è mutato in una sorta di movimento e persino in un’ideologia reazionaria. Lo stesso Trump, nel suo discorso della notte della vittoria elettorale, non ha fatto riferimento nemmeno una volta al partito repubblicano, ma ha fatto diverse allusioni al movimento Maga, definendolo “il più grande movimento politico che questo paese abbia mai visto”. Il movimento Maga è diventato una corrente politica che per il momento rimane elettoralmente all’interno del partito repubblicano, ma con Trump alla Casa Bianca la sua evoluzione è imprevedibile. Per il momento, è diventato un elemento chiave dell’agitazione sociale e della mobilitazione elettorale

Infatti, se nelle elezioni del 2016 la cosidetta Alt Right ha portato l’elemento più radicale, giovanile e controculturale alla campagna di Trump, questa volta è stata la “Dark Maga”. Il lato più giovanile e radicale del movimento trumpista, che attraverso i meme e con un’estetica cupa che ricorda i film di fantascienza distopica, è riuscito a connettersi con i giovani elettori. Non possiamo separare la figura e le campagne di Trump dall’elemento controculturale reazionario che è diventato un potente costrutto propagandistico.

9. Guarire un paese chiudendo le frontiere

Non è un caso che Trump abbia fatto riferimento nel suo discorso di vittoria a uno dei suoi temi feticcio, la chiusura delle frontiere e l’espulsione dei migranti. La retorica anti-immigrazione non è solo uno dei temi preferiti di Trump, ma anche uno degli elementi più comuni tra le principali formazioni di estrema destra. Praticamente tutte le organizzazioni di questo eterogeneo ambiente politico indicano gli immigrati, preferibilmente poveri e non occidentali, come capro espiatorio di un presunto degrado socio-economico e culturale.
In questo contesto, recinzioni, muri… non sono solo un efficace elemento di propaganda politica immediata che rende visibile l’operato concreto dei governi, ma sono anche un potente strumento simbolico per costruire un immaginario di esclusione tra la comunità e l’alterità, gli stranieri. Il muro è un simbolo prepotente che è diventato un’icona della preferenza nazionale, generando identità di esclusione, ma anche di protezione della comunità.
Si può parlare di un vero e proprio populismo dei muri, elemento efficace non solo per la costruzione di identità predatorie ma anche per il recupero dell’idea di sovranità, legando il controllo migratorio al suo recupero (si ricordi il famoso slogan della Brexit del take control). In questo senso, la politologa californiana Wendy Brown sottolinea che i riferimenti di Trump al muro con il Messico tentano di “curare le ferite di una sovranità ferita dall’assalto neoliberale”.
Così, per il trumpismo, il controllo delle migrazioni non funziona solo come elemento di salvaguardia delle identità, di protezione della comunità o di recupero della sovranità, ma è anche un pretesto per incanalare i mali e le paure che le politiche neoliberiste generano contro l’anello più debole e fragile: la popolazione migrante. Favorendo una logica di guerra tra ultimi e penultimi nella contesa di fronte a risorse scarse.

10. La vittoria di Trump non è un incidente

Infine, la vittoria di Trump ci offre alcune indicazioni per osservare meglio il nuovo ciclo in cui siamo entrati con questa corsa verso l’abisso che è diventata la crisi sistemica del capitalismo. In questo senso, non dobbiamo vedere Trump solo come il Frankenstein dei repubblicani, ma come l’espressione di un fenomeno, l’autoritarismo reazionario, che trascende i confini americani.

Infatti, se la vittoria di Trump ci insegna qualcosa, è come la rabbia venga autoalimentata, articolata ed esacerbata dall’alto con nuovi dispositivi mediatici, fake news o intossicazioni. Un’altra cosa è ciò che sta sotto le tristi passioni che il trumpismo alimenta; è proprio qui che risiede la crisi del regime che il capitalismo sta vivendo. È quindi essenziale analizzare la vittoria di Trump non come un incidente della politica americana, ma più in generale come un fenomeno politico che è il prodotto di un tentativo di stabilizzazione della crisi strutturale del capitalismo. E come il trumpismo sia il sintomo che stiamo entrando in una nuova era, quella dell’autoritarismo reazionario.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

*già eurodeputato, attivista di Anticapitalistas e membro del Consiglio consultivo di della rivista Viento sur. Articolo apparso sul El salto diario.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link