Il primo Natale nella nuova Siria. Cristiani tollerati, ma solo a Damasco

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Per i cristiani siriani quest’anno il tempo dell’Avvento ha coinciso con un fenomeno che con l’arrivo di Gesù sulla Terra c’entra poco: l’irresistibile ascesa al potere del gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham (HTS) e del suo leader Abu Mohammed al Jolani, al secolo Ahmad al Shara. Dal primo dicembre a Natale il già martoriato popolo siriano ha assistito impotente, tra la speranza e l’angoscia, alla roboante corsa al potere del gruppo, antitesi caricaturale della Nascita di un Bambino nel silenzio della notte.


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Dopo la cacciata del tiranno Assad, l’insediamento di un nuovo governo, la rinfrescata al look del sopraccitato soggetto (Wikipidia Italia denomina Ahmad al Shara “ex terrorista”) sono arrivate le prime rassicurazioni alle minoranze religiose, in particolare cristiani e alawiti: non vi faremo niente, rispetteremo i vostri culti e le vostre proprietà, potrete professare liberamente la vostra religione. Il Santo Natale, appuntamento centrale per i fedeli nonché momento di massima esposizione pubblica della cristianità, è un eccellente banco di prova per verificare quanto le promesse di HTS siano al momento mantenute.


Dato l’ingente e disordinato afflusso di notizie spesso confuse e contraddittorie che giungono dalla Siria, per  sapere come effettivamente hanno passato il Santo Natale i cristiani damasceni mi rivolgo a qualcuno del posto, in grado di restituire una fotografia veritiera di questi giorni. Kausar, la mia interlocutrice, è una fedele greco-cattolica originaria di Hama che vive a Damasco da molti anni. Nel quartiere a maggioranza islamica dove abita l’unica chiesa esistente è utilizzata a turno sia dalla sua comunità che da quella ortodossa.  Le chiedo come sono andate le festività natalizie in città per lei e per i cristiani in generale. «Fino al 19 dicembre le comunità cristiane erano riluttanti a celebrare il Natale per paura della reazione dei nuovi capi della Siria. Poi il governo ha dichiarato il 25 e 26 dicembre e l’1 e il 2 gennaio giorni di festività nazionale, dunque qui a Damasco i commercianti cristiani hanno allestito velocemente mercatini di Natale e iniziato a vendere merce natalizia; anche i commercianti di vini e liquori, che hanno più da temere da eventuali estremisti islamici. Sono stati allestiti alberi di Natale nel centro di Damasco ed anche in molti villaggi cristiani vicini alla città, come Bassir e Khabab».


Se, a quanto risulta, nella capitale siriana le decorazioni natalizie sono state rispettate, nel resto del Paese non è andata così. Proprio un albero di Natale ha dato origine a clamorose proteste di cristiani il giorno della Vigilia. Alcuni individui il 23 dicembre hanno dato fuoco all’albero allestito a Sqaylbiya, un villaggio nei pressi di Hama, nella Siria centrale, mentre alcune croci nel cimitero dello stesso villaggio sono state distrutte. Non si è trattato del primo episodio: già nelle settimane precedenti numerosi alberi di Natale in giro per la Siria, da Hama a Latakia,  erano stati vandalizzati; inoltre erano state abbattute decine di statue sacre, in particolare della Vergine Maria, così come le lapidi di diversi cimiteri. Ma in seguito all’episodio di Sqaylbiya  l’indignazione dei cristiani è infine sfociata in proteste la mattina del 24, a Damasco e a cascata in altre località.  Una manifestazione spontanea, al seguito di una grossa croce di legno posta in testa al corteo, ha sfilato attraverso la Capitale per denunciare le violenze e le vessazioni subite dalle varie comunità nelle ultime settimane.  “Siamo cristiani, non abbiamo paura di morire né di sacrificarci per la Croce” hanno scandito i manifestanti.


Il giorno di Natale migliaia di persone hanno invece sfilato per le strade di Tartus, Latakia, Jableh, città a forte componente alawita, la branca dello sciismo professata dalla famiglia Assad, per denunciare le violenze subite dalle minoranze religiose. Manifestazioni si sono tenute lo stesso giorno anche a Homs, Hama e Qardaha, città di provenienza degli Assad. Le proteste sono scaturite da un video circolato in rete relativo all’attacco ad Aleppo del  mausoleo dello Sheikh Abu Abdullah Al-Hussein bin Hamdan Al-Khasibi, uno dei più venerati capi religiosi alawiti, durante il quale sono state uccise cinque persone inermi. Il nuovo governo  ha asserito che l’oggetto del contendere fosse in realtà un video vecchio di più di due settimane, e uomini di Hayat Tahrir al Sham hanno represso le proteste. Secondo fonti siriane, negli scontri tra singoli individui armati e le nuove autorità a Tartus sono morte due persone e numerose sono rimaste ferite, mentre una donna è stata uccisa ad Homs. Che il video sia recente o recentissimo, la setta alawita teme una forte repressione da parte dei nuovi padroni, di fede sunnita come l’ottanta per cento dei siriani, sia per la sua natura di minoranza che per la vicinanza alla famiglia Assad. In questi ultimi giorni Ahmad al Shara ha dichiarato più volte alla stampa internazionale che chi sarà trovato colpevole di violenze, soprusi e atti vandalici sarà punito, in nome di un governo “inclusivo e aperto a tutte le comunità”.


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Tornando a Damasco, chiedo a Kausar se la situazione relativamente tranquilla della capitale, dove le proteste non sono state accompagnate da fatti di sangue, abbia favorito, almeno lì, un Natale sereno per i cristiani: «Ciò che ha penalizzato il nostro Natale, in realtà, è stata la mancanza  di elettricità, l’interruzione dei salari di moltissimi lavoratori, l’impossibilità di prelevare contanti dalle banche e di festeggiare degnamente la Nascita di Nostro Signore». Per quanto riguarda la componente strettamente religiosa del Natale, siete riusciti a seguire la Santa Messa e le funzioni religiose come al solito? «Beh, no.. Quest’anno l’assenza  di forze di polizia e il timore di incappare in borseggiatori e malviventi di vario genere ha costretto molte persone a restare in casa per Natale, soprattutto di notte». La maggior parte delle confessioni cristiane presenti a Damasco, infatti, ha anticipato la Santa Messa della notte di Natale alle cinque del pomeriggio. A quanto si apprende, solo l’Arcivescovo della comunità cattolico maronita, monsignor Samir Nassar, ha celebrato la tradizionale Messa di mezzanotte nella capitale.


Se è ancora presto per fare un bilancio ragionato del mese scarso di governo di HTS in Siria, da queste pur parziali ricostruzioni sembra evidente che il caos in cui il Paese è piombato con l’arrivo del gruppo islamista per ora non accenna a diminuire. Nonostante le rassicurazioni, combattenti o ex combattenti jihadisti continuano a molestare, o peggio, le minoranze religiose, probabilmente disobbedendo ai propri stessi capi. In un incontro avvenuto a Damasco nel giorno di Santo Stefano, l’inviato del Primo Ministro iracheno Mohammed Chia el-Soudani ha raccomandato a Ahmed al Shara e sodali «la protezione delle minoranze religiose e dei loro luoghi di sepoltura». La stessa raccomandazione ci aspettiamo facciano ai nuovi leader della Siria i delegati dei Paesi occidentali, spesso stranamente silenti davanti ai soprusi della nuova classe dirigente siriana.




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