Sassari, Teatro Comunale: “La Bohème” – GBOPERA

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Sassari, Teatro Comunale – Stagione Lirica 2024
LA BOHEME”
Scene liriche in quattro quadri. Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Mimì MARTA MARI
Rodolfo VALERIO BORGIONI
Musetta EVGENIYA VUKKERT
Marcello CHRISTIAN FEDERICI
Schaunard MICHAEL ZENI
Colline TIZIANO ROSATI
Benoit/Alcindoro MATTEO PEIRONE
Parpignol CLAUDIO DELEDDA
Sergente dei doganieri GIUSEPPE LISAI
Un doganiere ANTONELLO LAMBRONI
orchestra, Coro e voci bianche dell’ Ente Marialisa e Carolis
Direttore Leonardo Sini
Maestro del coro Francesca Tosi
Maestro del coro di voci bianche Salvatore Rizzu
Regia, scenografia, costumi Alberto Gazale
Luci Tony Grandi
Nuovo allestimento Ente de Carolis
Sassari, 18 dicembre 2024
La Bohème ha nella sua popolarità una delle principali difficoltà: se si hanno ambizioni artistiche e mediatiche superiori a quelle di una compagnia di giro va fatta come si deve, avendo alle spalle una montagna di ottimi e anche discreti esempi. L’altro grosso problema è che si tratta di un’opera difficile, musicalmente e scenicamente, piena di complessità e dettagli che richiedono una lettura assolutamente chiara e analitica, al di là del drammone commovente che finisce poi per oscurare tutto. L’allestimento conclusivo della stagione lirica sassarese è inciampato prima di tutto su tali problematiche e, in seconda battuta, nelle leggi del teatro, a partire dal taglio generale dello spettacolo: regia/scenografia indicativa-simbolica oppure realistica? Rigorosamente rispettosa del libretto e della sua ambientazione oppure reinterpretata con una forte idea nuova? Il direttore artistico del de Carolis, Alberto Gazale, al suo secondo allestimento della stagione, palesemente non ha le idee chiare per scegliere e imposta uno spettacolo dall’aspetto vagamente d’epoca ma in realtà chiaramente incoerente in vari dettagli scenografici e di arredo; poi su tutto spande la solita spolverata “moderna” metateatrale che, oltre a essere vista e rivista, se non portata avanti con logica è solo un inutile e ridondante appesantimento. Quindi la soffitta, con terrazzini tirolesi interni e modella del pittore, ha un sipario/teatrino centrale con palchetti sullo sfondo, ma anche sgabelli moderni e proiettore luci in proscenio. Perché, qual è il senso? Nessuna nota esplicativa. Nel secondo atto il caffè Momus è una paratia essenziale con porta centrale e praticabile che sostituisce il teatrino (e su cui si esibisce Musetta) mentre nel terzo c’è il solito presepio tradizionale con la neve ma non c’è traccia di “teatro nel teatro”. A ciò vanno aggiunti il misero aspetto generale ed errori di valutazione: mancanza di quinte, con uscite allora da tende laterali, l’insegna “Momus” visibile solo dalla platea, mancanza di rifiniture ecc. con un’incoerenza del tutto, che appare frutto di casualità più che di una logica organica nella progettazione e design. Non va meglio nei movimenti e nelle geometrie registiche: ha senso che tutti siano schierati e rivolti verso il pubblico per salutare la ritirata mentre il corteo militare entra dalla parte opposta, dal fondo del caffè Momus? Difficile inoltre vedere scene topiche come la ricerca della chiave, nel primo atto, il dialogo sentito di nascosto nel terzo o la morte di Mimì gestite così goffamente, gelando situazioni che sono nella storia del teatro; incomprensibile pure la scelta di spot di luce fissi e crudi. Va meglio per fortuna nella direzione musicale: Leonardo Sini si fa carico della narrazione e lo fa in maniera fluida, logica e convincente, con tempi giusti, agogiche elastiche ed espressive, dinamiche ben calibrate ed efficaci. È stato ben assecondato dalla buona orchestra del de Carolis, con qualche scarto col palcoscenico nel solito secondo atto, probabilmente dovuto alla cronica mancanza di prove in rapporto all’effettiva difficoltà dell’opera. Una compagnia di canto giovane ha dato freschezza alla produzione, con qualche distinguo; la protagonista Marta Mari, già sentita quest’anno in Tosca, conferma le ottime doti legate alla sontuosa vocalità, la buona tecnica e un’uguaglianza del registro di rara efficacia. D’altra parte il ruolo valorizza meno le sue caratteristiche e richiederebbe un’espressione più ricca di sfumature espressive e dinamiche; canta comunque tutto molto bene, pur con un colore che non sempre appare ideale per il personaggio. Al contrario Valerio Borgioni, nel ruolo di Rodolfo, mostra una vocalità notevole, un timbro chiaro e fresco naturalmente empatico per la parte, ma sono evidenti alcuni limiti tecnici negli acuti che appaiono piuttosto aperti, specialmente su certe vocali; si nota inoltre qualche impaccio scenico, forse attribuibile alla regia, ma le doti naturali sono indiscutibili e meritano un lavoro più approfondito. Buona anche la coppia Musetta – Marcello: Evgeniya Vukkert e Christian Federici hanno mostrato maturità vocale e soprattutto scenica in uno spettacolo che ha faticato da questo punto di vista. Da segnalare a questo proposito il classico valzer del secondo atto, cantato con ironia e la svagata leggerezza necessaria. Ben centrato il Colline di Tiziano Rosati, applaudito come sempre in Vecchia zimarra, e sono apparsi interessanti più scenicamente che vocalmente Michael Zeni e Matteo Peirone. Completavano professionalmente la compagnia Claudio Deledda, Giuseppe Lisai, Antonello Lambroni e una menzione va doverosamente riservata ai cori del de Carolis, preparati meticolosamente da Francesca Tosi e Salvatore Rizzu, alle prese con una delle opere più ingrate del repertorio nel rapporto tra fatica ed effetto per il coro. Applausi generosi alla fine per tutti, con netta preferenza per Mimì e qualche freddezza sulla regia.



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