Tra le Ancelle dei Poveri per scoprire il vero senso del Natale

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“Questa è la storia di una realtà silenziosa e ordinaria, dove con coraggio un gruppo di donne hanno iniziato un’avventura di reciproca salvezza”. Comincia così la lettera che Stefania Bruni, volontaria del carcere di Bologna, ha spedito alla nostra redazione, mettendo nero su bianco le sue emozioni rispetto ad una realtà che giorno dopo giorno “nel silenzio”, come dice lei, e con umiltà – aggiungiamo noi – porta avanti una missione di speranza per tante donne. Stiamo parlando dell’Istituto Missionario Ancelle dei Poveri di Bologna, di cui già abbiamo parlato in passato sulle pagine del nostro giornale.

“In una piccola palazzina della nostra città, pochi giorni fa – continua la lettera di Stefania – come anticipo alle prossime ricorrenze natalizie si è celebrata una festa di ‘riparazione’ per quella porta chiusa in faccia all’umile famiglia di Nazaret… perché non c’era posto per loro nell’albergo. Questa volta, proprio qui a Bologna le porte si sono schiuse, per accogliere chi difficilmente poteva trovare posto altrove”.

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Una cena all’Istituto Ancelle dei Poveri di Bologna

Bisogna proseguire di alcune righe per capire a chi si riferisca la volontaria: “Vi sono alcune donne vestite a festa con l’abito tradizionale del Pakistan e dell’India, altre con abiti occidentali provenienti dal Brasile, dalla Nigeria e da varie regioni d’Italia. Alcune sono anziane, partite ormai 60 anni fa come infermiere e missionarie laiche in Etiopia, altre sono giovani appena assunte nei nostri ospedali locali, alcune sono insegnanti in pensione, altre ancora nel pieno della loro attività professionale. Ognuna porta intorno alla mensa una preghiera nella propria lingua, con la propria fede: cristiana o islamica, sentendosi tutte sorelle unite nell’amore”.

Stefania descrive così la festa di Natale che le Sorelle dei Poveri hanno organizzato pochi giorni fa nel loro Istituto, che accoglie alcune donne detenute ed insieme a loro festeggia Natale, Pasqua e compleanno, nel rispetto completo della religione di appartenenza e dell’identità culturale di ognuna: “Queste ragazze sono una gioia per noi consorelle – spiega Philomina, ancella dei Poveri nata a Kerala, in India –, una parte effettiva della nostra famiglia. Passiamo il Natale e la Pasqua insieme, festeggiamo i compleanni davanti ad una bella torta e, come una famiglia vera, condividiamo tutto. In passato loro hanno sbagliato, ma ora stanno imparando a costruirsi una nuova vita, studiando e lavorando regolarmente”.

La rinascita parte… a tavola

Una seconda opportunità. Di più: una rinascita, nel pieno senso del Natale, che per ciascuno di noi dovrebbe significare prima di tutto questo, al di là della religione di appartenenza. “Una meravigliosa tavola imbandita – scrive ancora Stefania Bruni – invita i presenti a gustare le specialità delle varie cucine etniche e ad assaporare la ricchezza della convivialità delle differenze con alcune parole di condivisione delle proprie esperienze e canti natalizi di varie parti del mondo, intonati con spontaneità e semplicità. Solo conoscendo da vicino e accompagnando il percorso di alcune di queste donne dentro e fuori dal carcere, si può comprendere quanto sia preziosa l’ospitalità offerta e ricevuta e come sia potente l’opera trasformatrice di chi sceglie con coraggio di aprire le porte del proprio cuore a chi non trova posto, per offrire loro l’occasione di rinascere. Molte donne ristrette nella casa circondariale Rocco D’amato di Bologna, se solo trovassero un posto dove finire di scontare la propria pena, potrebbero accedere alle misure alternative al carcere, per riprendere in mano pian piano la propria vita. Con il necessario accompagnamento delle istituzioni deputate al recupero delle detenute e di tutte le persone di buona volontà, potrebbero fare un percorso verso una graduale riabilitazione sociale, che abbatta nei fatti la recidiva e restituisca alla comunità quello che prima e indebitamente gli era stato sottratto con i reati da loro commessi”.

Dal carcere alla libertà

Stefania descrive come “delicato” il passaggio dalla carcerazione alla libertà: “Il dolore della separazione dagli affetti, il tempo interrotto e sospeso della propria vita, così come i soldi spesi dallo Stato per la reclusione rischiano di essere stati inutili, se le persone private della propria libertà personale non trovano fuori dalle mura carcerarie un ambiente educativo favorevole al recupero integrale della persona. A casa delle missionarie Ancelle dei Poveri, le donne in trattamento extramurario trovano il calore di una vera famiglia, l’opportunità di prepararsi a entrare nel mondo del lavoro con un tirocinio formativo e la possibilità di essere supportate dai volontari nel loro cammino di reinserimento sociale verso l’autonomia abitativa.

Da parte loro le sopracitate proprietarie della casa, così come tanti altri istituti secolari e religiosi, avrebbero potuto in mancanza di nuove vocazioni chiudersi nella nostalgia a difesa di ciò che resta dei loro beni immobili e nella sola cura dei membri più anziani della comunità, rimpiangendo il tempo in cui la vita fioriva e la speranza verso il futuro era più semplice da coltivare. E invece no, queste sorelle ormai avanti nell’età hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo e con grande generosità si sono aperte alla collaborazione con altri enti e realtà che operano nella pastorale carceraria. Così facendo, le mura della propria casa si sono dilatate grazie all’accoglienza e alla gioia della condivisione”.



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