Nel confronto di mercoledì in Senato in vista del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Meloni ha preso di petto alcuni temi sensibili sollevati dai senatori. L’ha fatto in un modo vivace e al tempo stesso rispettoso. Questi dialoghi diretti tra premier e Parlamento furono introdotti per legge nel 2012, quando lo spread elevato che gravava sull’Italia era dovuto anche allo scollamento tra il dibattito politico interno e le grandi questioni europee. Oggi, con un premier che comunica spesso con l’opinione pubblica, ma preferisce modalità unilaterali ai confronti in conferenze stampa tradizionali, queste occasioni parlamentari che obbligano al dibattito assumono un interesse ancora maggiore. Tre punti ho trovato particolarmente rilevanti, nella replica di Giorgia Meloni: «Voglio un’Europa più forte»; «Non prendo ordini da nessuno»; «Concentrazioni economiche che agiscono senza regole». Li riprendo brevemente, nella speranza che la premier, cercando risposte a queste grandi sfide, voglia farlo in modi che uniscano, anziché spaccare ancora di più, la sua Nazione. Un Paese coeso è più forte.
«Voglio un’Europa più forte». Su questo la presidente Meloni potrebbe unire gran parte del Parlamento e del Paese.
Molti la seguirebbero anche quando dice «l’Europa deve occuparsi di meno cose e farlo meglio». La seguo anch’io. Quando mi occupavo di concorrenza, nel 2003 decidemmo che gran parte delle decisioni antitrust, prima accentrate tutte a Bruxelles, venissero devolute alle autorità nazionali, mentre la Commissione si sarebbe dedicata sempre più ai grandi casi di concorrenza a livello globale (come quelli cui la premier si è riferita mercoledì nel suo punto sulle concentrazioni). In questi vent’anni, il nuovo sistema decentrato ha funzionato benissimo. E avvalora la sua tesi di oggi.
Per altro verso, come afferma Giorgia Meloni, ci sono cose che possono essere fatte solo a livello europeo. Tra queste, drammaticamente urgente, la politica estera comune (premessa anche per una politica comune della difesa). Ma qui la presidente Meloni dovrebbe impegnarsi, con l’aiuto del vice presidente e ministro degli Esteri Tajani che ha già manifestato il suo consenso, per convincere Fratelli d’Italia e la Lega (e poi alcuni dei partiti a lei vicini in Europa) che è necessario superare il diritto di veto per almeno alcune decisioni di politica estera comune.
Se lei dovesse ribadire, come ha già fatto in due di questi utili nostri dibattiti in Senato, che lei è invece risolutamente a favore del mantenimento del veto — non solo per gli Stati membri attuali, ma anche per quelli dei futuri allargamenti — allora possiamo smettere di parlare di politica estera comune e di un’Europa più forte. Meglio tacere che illudere i cittadini.
«Non prendo ordini da nessuno». Ho anche apprezzato la risposta che la presidente del Consiglio ha dato al forte disagio espresso da alcuni senatori, tra cui il sottoscritto, per la vicinanza invadente, impertinente e alquanto maniacale alle vicende italiane da parte di Elon Musk, che si professa suo amico: come se si sentisse investito di un «protettorato morale» sull’Italia. L’ho apprezzata per la franchezza, la risposta: «Io mi confronto con tutti, ma non prendo ordini da nessuno». Aggiungerei che può essere molto positivo per il Paese che il capo del governo sia una figura riconosciuta e affermatasi in breve tempo come uno dei protagonisti della politica internazionale. Troppe volte all’Italia sono mancate personalità prese in seria considerazione sulla scena internazionale.
Da parte mia, non penso che Giorgia Meloni abbia «preso ordini» o che potrebbe prenderne. Se mai, spererei che, soprattutto nell’Unione europea, riesca a diventare lei più assertiva e convincente nell’orientare le decisioni comuni. Queste doti sarebbero state utili all’Italia, e alla stessa Europa, se avessero bloccato nel marzo 2023 la decisione del Consiglio europeo, sotto pressione congiunta di Germania e Francia, per una maggiore flessibilità negli aiuti di Stato, che ha favorito le imprese tedesche e penalizzato quelle italiane; o sul finire del 2023 per modificare sostanzialmente o bloccare la nuova formulazione del patto di stabilità e di crescita.
Comunque, proprio perché non penso che prenderebbe ordini dall’amico Musk, persona certo straordinaria e di genialità unica ma forse meno provvista di saggezza, potrebbe invitarlo a rispettare l’Italia. Quando una ministra francese disse che il suo governo avrebbe collaborato con l’Italia ma sarebbe stato «molto attento al rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto» da parte del governo Meloni, quest’ultima con un comunicato giustamente infuocato parlò di «inaccettabile minaccia di ingerenza contro uno Stato sovrano». Gli ormai ripetuti e aggressivi interventi di Musk su questioni italiane forse meriterebbero, una volta per tutte, un fermo e pubblico invito da parte della presidente Meloni a desistere da tali pratiche.
«Concentrazioni economiche che agiscono senza regole». Ecco un tema, di grandissima importanza economica, politica e civile, sul quale è meritevole che la presidente Meloni attiri l’attenzione di tutto il Parlamento. In questo ho notato, e me ne sono molto rallegrato, una risonanza tra le preoccupate parole di Giorgia Meloni in Senato e l’ampia parte che — con rigore, profondità e visione sistemica — il capo dello Stato Sergio Mattarella aveva dedicato a questi temi nel suo discorso del giorno prima al Quirinale. Sono problemi — dalle concentrazioni di potere economico e politico, all’intelligenza artificiale, al monopolio pubblico della forza militare e della moneta, alle conseguenze sulla democrazia — che richiedono, per essere affrontati proficuamente, una vera e propria «agenda», che delinei le connessioni logiche, le azioni politiche necessarie, una cooperazione internazionale rinvigorita. Uscendo quella sera dal Quirinale mi sono detto: «Il presidente ci ha proprio dato un’Agenda». L’indomani in Senato, ascoltando i passaggi che in modo e con stile diversi la premier Meloni ha pronunciato su alcuni di questi temi, ho avuto la confortante impressione che su temi così cruciali per il futuro dell’Italia, e che richiedono come minimo un quadro europeo, lo sguardo della politica italiana e dell’intera società potrebbe alzarsi, trovando terreni di dialogo ben più importanti di quelli che alimentano le desolanti polemiche quotidiane, palla di piombo per il nostro Paese.
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