Panama. Trump e il Canale: il ritorno agli Usa egemoni

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di Giuseppe Gagliano –

Con un colpo dritto al cuore della diplomazia americana recente, il presidente eletto Donald Trump ha riaperto un capitolo storico che molti consideravano chiuso: il controllo del Canale di Panama. Trump, di fatto tornato alla Casa Bianca, ha definito “ridicoli” e “un’imbroglio” i costi imposti dal Panama ai cargo statunitensi e ha criticato il trattato del 1977 che trasferì la gestione del canale al Panama. Non solo: ha suggerito che gli Stati Uniti potrebbero pretendere la restituzione del canale, qualora il governo panamense non ne garantisse una gestione “efficiente”.
Il Canale di Panama, costruito e controllato dagli Stati Uniti per gran parte del XX secolo, è stato per decenni il simbolo dell’egemonia americana sull’America Latina e sulle rotte commerciali globali. Con il trattato Torrijos-Carter del 1977, Washington decise di restituire al Panama il controllo del canale, completando il trasferimento nel 1999. Questa decisione è stata da sempre oggetto di critiche da parte di ambienti conservatori, che la considerano una rinuncia ingiustificata a un asset strategico cruciale.
Trump, che ha fatto della nostalgia per un’America forte e incontrastata uno dei pilastri della sua politica, ha definito quel trattato un errore storico. Le sue dichiarazioni non sono solo un attacco al passato, ma un messaggio chiaro: gli Stati Uniti devono riaffermare il loro dominio su un’infrastruttura considerata ancora oggi vitale per il commercio globale.
Il contesto attuale rende le parole di Trump ancora più significative. Negli ultimi anni, la Cina ha incrementato la sua presenza economica e politica in Panama, diventando uno dei maggiori utilizzatori del canale e un partner strategico per il governo panamense. Questo ha preoccupato Washington, che teme che la crescente influenza cinese possa minare la sicurezza e gli interessi americani nella regione.
Rivendicare un ruolo più attivo nella gestione del Canale di Panama, per Trump, non significa solo difendere gli interessi commerciali americani, ma anche lanciare un segnale geopolitico chiaro a Pechino: l’America non arretrerà nel suo “cortile di casa”.
Con queste dichiarazioni, Trump ripropone il suo stile diretto e muscolare, caratterizzato dalla centralità degli interessi americani e da un approccio unilaterale alla politica estera. La sua visione rifiuta la logica dei trattati multilaterali o delle concessioni diplomatiche, privilegiando il concetto di sovranità assoluta degli Stati Uniti.
Il messaggio al Panama è inequivocabile: o si rispettano gli interessi americani, o Washington interverrà. In un mondo multipolare, questa visione si scontra con realtà complesse, ma risuona con il suo elettorato, che vede in Trump il difensore di un’America forte e indipendente.
Costruito agli inizi del XX secolo, il canale è stato progettato per collegare l’Oceano Atlantico al Pacifico, riducendo drasticamente i tempi e i costi del commercio marittimo. Ancora oggi, questo stretto passaggio rappresenta uno dei pilastri del sistema economico internazionale.
Ogni anno, circa il 6% del commercio marittimo globale passa attraverso il Canale di Panama, con oltre 14.000 navi che trasportano merci per un valore di centinaia di miliardi di dollari. Il canale è particolarmente cruciale per:
Le rotte energetiche: È un passaggio chiave per il trasporto di petrolio e gas naturale liquefatto (GNL), soprattutto tra il Golfo del Messico e l’Asia.
La supply chain globale: I prodotti manifatturieri, alimentari e tecnologici che collegano le Americhe, l’Asia e l’Europa dipendono dal canale per tempi di consegna rapidi e costi contenuti.
Con l’ampliamento del canale nel 2016, che ha permesso il passaggio di navi più grandi (le cosiddette Neo-Panamax), la sua importanza è ulteriormente cresciuta. L’espansione ha reso il canale un elemento ancora più strategico per le rotte commerciali tra Cina, Stati Uniti e Sud America.
La rivendicazione del controllo sul Canale di Panama da parte di Trump non è solo una questione economica. È una dichiarazione di principio, che richiama l’epoca in cui gli Stati Uniti erano il centro indiscusso del potere globale. Ma è anche un segnale alla Cina, che si sta espandendo nella regione con forza crescente.
Trump, nel suo secondo mandato, non cerca compromessi: vuole riportare gli Stati Uniti al vertice, riprendendo il controllo simbolico e strategico di ciò che ritiene sia stato ceduto troppo facilmente. La sfida, ora, sarà capire fino a che punto questa politica possa essere tradotta in azioni concrete senza generare ulteriori tensioni internazionali.

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