L’accelerazione sulla riforma della giustizia: «Separare le carriere, da ieri, è ancora più urgente». Le centinaia di messaggi e chiamate, dagli alleati sovranisti Orban e Le Pen ma pure da «politici di sinistra». E anche da Pier Silvio Berlusconi, che in uno scambio di battute definito «cordiale» dallo staff leghista ricorda al vicepremier «le battaglie per una giustizia giusta» combattute dal padre. Infine, la zampata sul Viminale: guidarlo di nuovo sarebbe «stupendo», sì, ma «sto bene dove sto. Per ora». Domani, chissà. Dopo la pioggia di Palermo, Matteo Salvini si gode il sole di Roma. E soprattutto si prende il primo bagno di folla dopo l’assoluzione sul caso Open Arms che «mi ripaga di tante amarezze».
La calca accerchia lui e Francesca Verdini, che lo accompagna proprio come nell’aula bunker del carcere Pagliarelli. Si sventolano i giornali coi titoloni sul verdetto della sera prima, ed è un attimo che davanti al gazebo della Lega di largo Argentina parte il coro: «Mat-te-o!». Qualcuno gli consegna uno striscione, che il ministro dei Trasporti espone agli obiettivi: «Il fatto non sussiste». È la grande festa del Carroccio e del suo segretario, che oggi replica a Milano. E che ora rilancia. A cominciare da quella che sembra essere ormai la riforma prioritaria tra le tre avviate dal centrodestra, più urgente dell’autonomia e del premierato: la Giustizia.
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DOPPIO FRONTE
Una sfida su un doppio fronte, per Salvini. Da un lato, la separazione delle carriere già approdata alla Camera, su cui l’obiettivo è stringere i tempi. «In tribunale a Palermo ho visto una corretta, giusta e sana separazione di chi giudica rispetto a chi indaga», risponde ai cronisti il leader della Lega. «Ma non sempre è così». Dunque, avanti tutta. Con l’avallo dei penalisti, che dopo le assoluzioni di Renzi e Salvini quasi in contemporanea invocano una «organica riforma costituzionale» per mettere fine all’«uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura». Una «deriva» che, avverte in una nota l’Unione camere penali, «ha avuto nel nostro Paese tratti eversivi» e «non è mai cessata» (per l’Anm, invece, la sentenza su Salvini dimostra l’autonomia dei giudici).
L’altra partita che interessa al vicepremier è la responsabilità civile per i magistrati. «Per chi sbaglia con dolo – avverte – è fondamentale». Un vecchio cavallo di battaglia, per il vicepremier, convinto che chi nelle decisioni prende abbagli gravi debba «pagare i danni, sì, ma di tasca propria». «Il processo Open Arms – ribadisce – è costato milioni di euro degli italiani». Una legge in questo senso, per la verità, esiste già, ed è stata pure riformata nel 2015 in senso più stringente per i giudici per quanto riguarda il dolo e la colpa grave. Ma si calcola che il 99% dei procedimenti avviati finisca in un nulla di fatto: dal 2010 al 2022, su 644 azioni di rivalsa nei confronti dei magistrati le condanne sono state solo 8. Ecco perché, è convinto il vicepremier, si deve intervenire.
Un argomento che Salvini ha toccato anche nella telefonata con Pier Silvio Berlusconi, di cui il vicepremier ha «particolarmente apprezzato l’attenzione e la gentilezza». L’ad di Mediaset non è stato l’unico a farsi sentire: «Ho centinaia di messaggi da leggere», racconta Salvini. «Giorgia è stata una delle prime a chiamarmi». E «mi ha fatto piacere ricevere anche tanti messaggi di politici di sinistra». I cronisti lo incalzano: chi? «Sindaci, governatori, ex parlamentari. Un conto è la battaglia politica, un altro volere il male degli altri. E io – prosegue – non riesco ad augurarmi di vedere Conte, Renzi o Schlein in galera».
I MESSAGGI
Ma sul telefonino ci sono anche le congratulazioni di Marine Le Pen e Jordan Bardella, del Rassemblement National, di Orbán, del leader di Vox Santiago Abascal e così via. Fino al ministro degli Esteri israeliano. E Trump? «No, non credo che il presidente eletto degli Stati Uniti abbia tempo per chiamarmi», sorride lui. Mentre «mi ha fatto molto piacere il sostegno di Musk, persona che ritengo illuminata». Le opposizioni lo attaccano per le parole sull’attentato a Magdeburgo, a opera di un sostenitore dell’ultradestra tedesca dell’Afd. Lui tira dritto: «Quando non si vigila sull’immigrazione nel nome di una autolesionistica “tolleranza” si mette a grave rischio la sicurezza di tutti». E rivendica i porti chiusi, su cui i giudici di Palermo hanno messo il timbro di legalità: «È il riconoscimento che una politica seria di contrasto all’immigrazione clandestina non solo è legittima ma è doverosa. Non pretendevo medaglie, ma neanche sei anni di carcere». E poi: «Sicuramente la sentenza non metterà più nessun ministro in difficoltà nel suo lavoro». Oggi Piantedosi. Domani – sembra quasi suggerire –, magari, qualcun altro.
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