Contratto intermittente sempre valido per lavoratore con meno di 25 anni

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Una lavoratrice, assunta in forza di un contratto di lavoro intermittente a tempo determinato per lo svolgimento dell’attività di operatrice di call center in bound, ha contestato la legittimità del contratto, affermando l’insussistenza dei requisiti richiesti dalla legge che consentono il ricorso al lavoro intermittente. In particolare, richiamando la risposta ad un interpello resa dal Ministero del lavoro (n. 10 del 25 marzo 2014), viene contestato che l’attività di operatrice di call center in bound non possa essere compresa tra le attività discontinue individuate con decreto ministeriale. La dipendente ha evidenziato, inoltre, che il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non aveva una disciplina specifica del lavoro intermittente. Pertanto, in difetto del requisito oggettivo dello svolgimento di un’attività discontinua riconducibile a quelle individuate con decreto ministeriale, il ricorso al contratto di lavoro a chiamata deve ritenersi illegittimo.

La società datrice di lavoro ha respinto la contestazione della lavoratrice evidenziando che per tutto il periodo di svolgimento del rapporto di lavoro intermittente era stato rispettato il requisito anagrafico richiesto dalla legge, atteso che la dipendente, al momento dell’assunzione, aveva 22 anni e non aveva ancora superato il limite anagrafico di 24 anni. Inoltre, non è stato superato il limite temporale di quattrocento giornate di lavoro effettivo nell’arco di tre anni solari.

Il rapporto di lavoro intermittente

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Nel rapporto di lavoro intermittente (o a chiamata) il lavoratore si rende disponibile a rendere la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.

Le parti possono concordare che il lavoratore sia tenuto a rispondere alla chiamata del datore di lavoro – nel qual caso il primo ha diritto al pagamento di un compenso anche per il periodo non lavorato (c.d. indennità di disponibilità) – oppure possono prevedere la facoltà del lavoratore di rispondere, o meno, alla chiamata del datore. In quest’ultimo caso, nessuna indennità economica sarà corrisposta al lavoratore nel periodo di tempo in cui non è effettivamente impiegato dal datore.

Il contratto intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e deve contenere, oltre alle informazioni di cui all’art. 1, c. 1, D.Lgs. 152/1997, i seguenti elementi:

  • natura variabile della prestazione;
  • durata;
  • ipotesi, oggettive o soggettive, che ne consentono la stipulazione;
  • luogo e modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore;
  • trattamento economico e normativo spettante al lavoratore (ivi inclusa l’indennità di disponibilità eventualmente dovuta;
  • forme e modalità con cui il datore può chiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, nonché le modalità di rilevazione della prestazione;
  • tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità;
  • misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività lavorativa;
  • eventuali fasce orarie e giorni predeterminati in cui il lavoratore è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa.

Le ipotesi di ricorso al contratto intermittente

I casi di ricorso al lavoro a chiamata sono individuati dai contratti collettivi o, in mancanza di specifica disciplina, con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Ai sensi dell’art. 13, c. 2, D.Lgs. 81/2015 il ricorso al contratto di lavoro intermittente è, in ogni caso, ammesso, con lavoratori che abbiano meno di 24 anni (purché le prestazioni siano svolte entro il venticinquesimo anno di età) oppure più di 55 anni.

I due requisiti, oggettivo e soggettivo, tuttavia non devono necessariamente coesistere. L’interpretazione letterale delle disposizioni normative sul contratto a chiamata porta, infatti, a ritenere che le due condizioni (oggettiva e soggettiva) che legittimano la stipulazione di contratti di lavoro intermittente siano disgiunte e non necessariamente concorrenti.

L’espressione utilizzata dal secondo comma dell’art. 13 D.Lgs. 81/2015 per cui è possibile “in ogni caso” stipulare un contratto di lavoro intermittente con soggetti di età inferiore a 24 o superiore a 55 anni deve essere interpretata nel senso che sia consentito stipulare contratti di lavoro intermittente qualunque sia l’esigenza che giustifica la chiamata del lavoratore, anche al di fuori delle attività discontinue individuate dai contratti collettivi o dal decreto ministeriale.

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Peraltro, anche nel testo dell’art. 15 D.Lgs. 81/2015 – con l’elenco degli elementi che devono essere riportati in forma scritta ai fini della prova – è richiesto di indicare gli elementi oggettivi o gli elementi soggettivi, suggerendo che i due elementi non debbano necessariamente essere indicati entrambi.

Questa interpretazione è coerente anche con l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha affermato che non è contraria alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea la normativa nazionale che autorizza un datore di lavoro a concludere un contratto di lavoro intermittente con un lavoratore che abbia meno di 25 anni, qualunque sia la natura delle prestazioni da seguire.



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