Il 22 dicembre, decine di migliaia di persone si sono riunite a Belgrado per chiedere giustizia e responsabilità politica dopo il crollo del tetto della stazione ferroviaria di Novi Sad, avvenuto il 1° novembre. La tragedia ha causato la morte di quindici persone, tra cui bambini e anziani, scatenando una mobilitazione di proteste in Serbia che continua a crescere in tutto il Paese.
Il crollo di Novi Sad: una tragedia annunciata
La stazione ferroviaria di Novi Sad, recentemente ristrutturata nell’ambito di controversi progetti infrastrutturali, è crollata durante i lavori lo scorso primo novembre, provocando la morte di quattordici persone sul posto e di una quindicesima successivamente in ospedale. L’incidente ha evidenziato gravi lacune nei controlli sulla sicurezza e sospetti di corruzione legati agli appalti, spesso affidati a società statali cinesi. La notizia ha scosso profondamente l’opinione pubblica, innescando settimane di proteste in Serbia, colpendo sopratutto la capitale del Paese.
Le proteste in Serbia di queste ore non sono però una novità: già dalle settimane scorso, nelle piazze e nelle strade si poteva toccare l’aria di fermento sociale, rabbia e frustrazione per il Governo in carica. Centinaia di studenti si erano radunati a Belgrado, aumentando il malcontento contro il governo populista del Presidente Vučić. Anche nelle università serbe le lezioni sono state sospese, colpendo più di 40 facoltà.
Le richieste dei manifestanti: dimissioni e giustizia
La manifestazione del 22 dicembre, iniziata con quindici minuti di silenzio in memoria delle vittime, ha visto la partecipazione di circa 29mila persone secondo il ministero dell’Interno. I manifestanti hanno occupato piazza Slavija, paralizzando il centro di Belgrado, e hanno chiesto le dimissioni del primo ministro Miloš Vučević e del sindaco di Novi Sad Milan Đurić. I cori di “Avete le mani sporche di sangue!” hanno riecheggiato nella piazza, accompagnati dalla richiesta di processare i responsabili del crollo.
Una protesta che coinvolge tutta la Serbia
Le manifestazioni e le proteste in Serbia non si sono limitate alla capitale Belgrado. Eventi simili si sono tenuti anche a Niš e in altre città come Kragujevac. A Belgrado, la presenza di attori, intellettuali e rappresentanti di diverse categorie professionali ha trasformato la protesta in un simbolo di resistenza collettiva. Tra i manifestanti, anche studenti e agricoltori, che hanno unito le forze contro il governo conservatore e nazionalista del presidente Aleksandar Vučić.
Corruzione e trasparenza: i nodi della crisi politica
Il governo di Vučić è accusato di aver favorito un sistema corrotto che mette a rischio la sicurezza pubblica. Dopo il crollo, tredici persone sono state arrestate, tra cui l’ex ministro Goran Vesić, dimessosi pochi giorni dopo l’incidente.
Il 27 novembre le accuse contro Vesić sono state ritirate, alimentando ulteriore scetticismo sull’efficacia delle indagini e sul sistema giudiziario serbo.
La risposta del governo: repressione e concessioni
Nonostante le crescenti pressioni, Vučić ha mantenuto una posizione rigida e autocratica, come il Governo che detiene, dichiarando di non essere disposto a cedere alle richieste dell’opposizione. Tuttavia, per contenere le proteste, il governo ha annunciato la chiusura anticipata delle scuole e l’estensione delle vacanze invernali. Questa decisione, ufficialmente motivata da questioni di sicurezza, è stata interpretata come un tentativo di indebolire le mobilitazioni studentesche.
Un movimento che non si arresta
Le proteste in Serbia hanno visto un coinvolgimento trasversale, con studenti che hanno occupato università e cittadini di ogni ceto sociale che si sono uniti alle manifestazioni. Non sono mancati episodi di violenza: gruppi filogovernativi hanno cercato di interrompere le proteste, mentre le autorità hanno confiscato trattori utilizzati dagli agricoltori per le manifestazioni. Nonostante ciò, il movimento continua a crescere, sostenuto anche da personalità pubbliche e accademiche.
La tragedia di Novi Sad ha rappresentato una crisi di credibilità per il governo serbo, già accusato di autoritarismo e limitazione delle libertà democratiche. I partiti di opposizione hanno proposto la formazione di un governo di transizione per organizzare elezioni libere, ma Vučić ha respinto ogni compromesso, inaugurando nuovi progetti infrastrutturali come segnale di forza.
Con un Paese diviso tra il desiderio di giustizia e il consolidamento del potere governativo, il futuro politico della Serbia rimane ancora poco certo e in pericolo di un’ulteriore deriva autocratica. Le proteste in Serbia hanno dimostrato che la società civile è pronta a sfidare lo status quo, chiedendo maggiore trasparenza e responsabilità.
Lucrezia Agliani
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