L’oppositore ugandese Kizza Besigye è l’ultimo di una lunga lista di attivisti e rifugiati sequestrati e riportati forzatamente nei loro paesi di origine
Dalla Turchia al Rwanda, dall’Uganda al Sud Sudan sono almeno 42 quest’anno i casi documentati di persone sequestrate e riportate nei paesi da cui si erano allontanate per motivi politici. Alcuni avevano ottenuto lo status di rifugiati e avrebbero dovuto essere per questo ancor più tutelati. Ma la pratica dei sequestri, rimpatri forzati e sparizioni va avanti da anni
L’ultimo caso riguarda uno storico leader dell’opposizione ugandese, Kizza Besigye, rapito a Nairobi il 16 novembre scorso insieme ad un suo aiutante, Hajji Lutale Kamulegeya. I due sono riapparsi in Uganda alcuni giorni dopo. Erano dietro le sbarre di una gabbia in un tribunale militare di Kampala, la Makindye General Martial Court.
Sono stati accusati di essere in possesso di due pistole e di chiedere “supporto logistico in Uganda, Grecia e altri paesi allo scopo di compromettere la sicurezza nazionale del paese” e perciò trattenuti.
Per quanto accaduto, Besigye ha intentato causa ai governi dei due paesi presso il tribunale di giustizia dell’Africa orientale, sostenendo che il Kenya ha aiutato le forze di sicurezza ugandesi a organizzare un “sequestro di persona extraterritoriale”, un fatto che, a suo parere, viola diverse disposizioni della Costituzione del Kenya, in vigore dal 2010, e il Trattato costitutivo della Comunità dell’Africa orientale (EAC).
Il caso ha fatto ovviamente scalpore. Il segretario generale del ministero degli Esteri e della diaspora del Kenya, Korir Sing’Oei, ha ammesso che Besigye è stato rapito a Nairobi ma ha negato che ci fosse la complicità del suo governo. «Il Kenya è un rifugio sicuro per molta gente, lo è stato per molti anni nel passato e lo sarà per gli anni futuri», ha dichiarato. Ma non ha convinto.
Proteste internazionali
Volker Türk, alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha definito il caso come un sequestro di persona coordinato tra i governi del Kenya e dell’Uganda.
Amnesty International ha usato espressioni simili dicendo che il politico ugandese era stato sequestrato illegalmente.
L’Ufficio per gli affari africani del governo degli Stati Uniti ha fatto sapere, attraverso X, di seguirne attentamente il sequestro e l’estradizione, chiedendo trasparenza sulle cause che le hanno determinate e completa protezione legale.
Simili episodi si sono verificati ripetutamente nel paese.
Una lunga lista
La BBC, nell’articolo ‘We live in fear’ – forced expulsions taint Kenya’s safe haven image (‘Viviamo nella paura’ – espulsioni forzate macchiano l’immagine del Kenya come rifugio sicuro), ne elenca diversi avvenuti nel corso di quest’anno.
In ottobre il caso più clamoroso: quattro turchi, con lo stato giuridico di rifugiati politici, sono stati sequestrati ed estradati in Turchia, che li accusa di tradimento.
I quattro sarebbero membri del movimento fondato da Fethullah Gülen che il presidente turco Erdogan accusa di aver orchestrato un colpo di stato per rovesciarlo. Le autorità kenyane hanno ammesso ufficialmente di averli estradati in Turchia su richiesta del governo turco.
Korir Sing’Oei, nell’occasione, ha dichiarato: «Ospitare elementi sovversivi accusati di attività dannose per un paese amico ha posto al Kenya un dilemma diplomatico ed umanitario». Alla fine ha deciso di agire «bilanciando in modo cruciale gli interessi per un bene più grande». Cioè la realpolitik ha trionfato, anche in forza degli accordi di cooperazione militare stipulati in luglio con Ankara.
Dalla Turchia al Rwanda, dall’Uganda al Sud Sudan
Nell’articolo si dice anche della complicità della polizia nelle estradizioni illegali.
Si cita il caso di 36 ugandesi, membri del Besigye’s Forum for Democratic Change party (Forum di Besigye per il Partito per un cambiamento democratico) arrestati in luglio a Kisumu dove erano arrivati per un training ed estradati illegalmente. Ora sarebbero detenuti in Uganda in pessime condizioni con l’accusa di attività sovversive sotto copertura, ovvero terrorismo.
Non si sa nulla invece di un difensore dei diritti umani rwandese, Yusuf Ahmed Gasana, sequestrato a casa sua lo scorso maggio.
Il 4 febbraio 2023 è stato il turno del rifugiato sudsudanese Morris Mabior Awikjok Bak, fermato a Nairobi da uomini in divisa della polizia ed estradato in Sud Sudan, dove è stato detenuto per 18 mesi e accusato di diffamazione direttamente dall’ex potente capo dei servizi di sicurezza, Akol Koor Kuc.
In passato, altri rifugiati sud sudanesi sono stati sequestrati a Nairobi e rimandati in Sud Sudan. Era il gennaio del 2017 e il caso è stato all’attenzione anche del gruppo di esperti dell’ONU che si occupano di sparizioni.
Si tratta di Dong Samuel Luak, attivista per la difesa dei diritti umani con lo stato di rifugiato per ragioni politiche, e di Aggrey Idri Ezibon, presidente del comitato per gli affari umanitari del maggior gruppo di opposizione al governo di Juba, l’SPLM-IO. Entrambi sarebbero stati giustiziati sommariamente.
L’elenco sarebbe, purtroppo, ancora lungo.
Cosa dicono le leggi?
L’11 dicembre il sito The Conversation (network di mezzi di comunicazione non profit) ha pubblicato un lungo articolo – ripreso il giorno dopo dal Daily Nation, il quotidiano più diffuso del paese – in cui si chiede se ci siano basi legali per questi rimpatri forzati: Kenya has moved people out of the country illegally: what the law says about extraordinary rendition (Il Kenya ha spostato gente fuori dal paese illegalmente: che cosa dice la legge su queste estradizioni straordinarie).
L’articolo precisa che per “estradizione straordinaria” si intende una pratica in cui una persona è estradata senza la possibilità di opporsi legalmente. Si tratta, in partica, di trasferimenti extragiudiziali.
Secondo l’autore dell’articolo, Oscar Gakuo Mwangi, professore associato di scienze politiche all’Università del Rwanda, la pratica sarebbe possibile in forza del Security Laws Amendment Act del 2014, che permetterebbe alle forze di sicurezza di condurre operazioni segrete per le quali sono previste anche limitazioni al diritto di accesso alle informazioni.
Tuttavia la pratica è contraria alla Costituzione stessa del Kenya che garantisce il diritto alle libertà personali per tutti, comprese le persone arrestate o imprigionate. È anche contraria a diverse convenzioni internazionali firmate dal paese. In particolare alla convenzione internazionale di Ginevra del 1951, sul diritto al rifugio, che esclude l’estradizione.
Ma, nonostante la legislazione che dovrebbe tutelarli, molti rifugiati e richiedenti asilo non si sentono più sicuri nel paese, dice l’articolo della BBC citato sopra, tanto che almeno in 3mila hanno chiesto la protezione del Refugee Consortium of Kenya (Consorzio del Kenya per i rifugiati) un’organizzazione non governativa nata nel 2000, a causa del graduale peggioramento dei diritti dei rifugiati e richiedenti asilo nel paese.
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