Le centrali idroelettriche italiane rischiano di finire in mani straniere. L’appello al governo Meloni: «Settore strategico a rischio, salviamolo»

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Nel 2022 il governo Draghi diede il via libera alla liberalizzazione del settore, ma in Europa quasi nessuno ha raccolto le disposizioni di Bruxelles

Imprese, sindacati, associazioni di categoria, consumatori e organizzazioni no-profit. Tutti insieme per chiedere al governo Meloni di salvare l’idroelettrico italiano. L’oggetto del contendere sono le concessioni delle 4.600 centrali distribuite lungo la Penisola, che rischiano di finire nelle mani di aziende straniere, nonostante il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (il Copasir) abbia definito il settore «strategico» per l’Italia. «In un contesto in cui non sussiste, nemmeno a livello europeo, chiarezza sui principi da seguire nell’assegnazione delle concessioni – si legge nell’appello al governo pubblicato su diversi quotidiani cartacei – l’Italia ha avviato procedure concorrenziali che hanno stimolato e stimoleranno l’interesse e la partecipazione di operatori europei e non europei, con grandi incertezze sulle prospettive del settore e sugli investimenti negli impianti».

Tutti i numeri dell’idroelettrico in Italia

I dati di Terna, aggiornati al febbraio 2024, dicono che in Italia sono presenti 4.860 impianti per la produzione di energia idroelettrica. La maggior parte è concentrata lungo l’arco alpino, con 1.092 centrali in Piemonte, 891 in Trentino-Alto Adige, 749 in Lombardia e 408 in Veneto. Nel 2023, gli impianti idroelettrici hanno generato una quantità di energia in grado di coprire i consumi di elettricità di oltre 15 milioni di famiglie, generando un giro di affari di circa 2 miliardi di euro e impiegando – direttamente e indirettamente – circa 12mila lavoratori. L’idroelettrico, inoltre, è una fonte di energia rinnovabile e pulita e a differenza di solare ed eolico può anche essere programmata per rispondere in modo più efficace alle variazioni della domanda di elettricità.

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Il governo Draghi e la liberalizzazione delle centrali

L’80% degli impianti idroelettrici presenti in Italia è gestito da otto operatori del comparto energetico: Enel (che possiede il 37% delle centrali), A2a (10%), Alperia (9%), Dolomiti Energia (8%), Edison (6%), Cva (6%), Iren (3%), Acea (1%). La polemica relativa alle concessioni risale al 2022, quando il decreto Concorrenza approvato dal governo di Mario Draghi spianò di fatto la strada alla liberalizzazione del settore. L’apertura dell’idroelettrico a procedure concorrenziali era considerata infatti tra gli obiettivi da conseguire per poter ricevere dalla Commissione europea la terza rata del Pnrr. D’altronde, è da diversi anni che Bruxelles chiede a tutti i governi di liberalizzare la gestione delle centrali idroelettriche.

Roberto Cingolani, ex ministro alla Transizione ecologica, e Mario Draghi, ex premier, in Senato (ANSA/Fabio Frustaci)

Le asimmetrie in Europa e la beffa per le aziende italiane

Il problema è che, ad oggi, ben pochi Paesi hanno raccolto l’appello dei vertici comunitari. In Austria vige un sistema di regole per cui la durata della concessione può durare fino a 90 anni, in Portogallo 35 anni (estendibili fino a 70), in Francia tra i 30 e i 40 anni. Questa situazione rischia di trasformarsi in un boomerang per l’Italia, che ha aperto alla possibilità di far gestire le proprie centrali idroelettriche ad aziende straniere, persino quelle che provengono da Paesi dove le imprese italiane non possono fare domanda per ottenere una concessione. Tra le altre (poche) eccezioni c’è la Spagna, dove infatti di recente l’italiana Enel ha comprato 34 centrali idroelettriche, investendo circa 1 miliardo di euro.

L’appello a Giorgia Meloni

La richiesta rivolta al governo è di tutelare il comparto dell’idroelettrico e introdurre «meccanismi di assegnazione delle concessioni che non consentano la partecipazione degli operatori di Paese che non presentano reali condizioni di apertura e di accesso al mercato». In altre parole: se un Paese non consente alle aziende italiane di ottenere concessioni idroelettriche, l’Italia dovrebbe fare altrettanto. Il manifesto in difesa dell’idroelettrico italiano porta la firma di numerose associazioni di categoria (Anie, Confagricoltura, Elettricità Futura), sindacati (Cgil, Cisl, Uil), sigle ambientaliste (Kyoto Club, Amici della Terra, FareAmbiente) e istituzioni (Anci). La richiesta rivolta a Giorgia Meloni, dunque, è di «tutelare il comparto adottando con effetto immediato gli opportuni provvedimenti normativi». Solo così, scrivono i firmatari del manifesto, si può salvare «una risorsa essenziale per decarbonizzare il Paese».

Cosa farà ora il governo?

La polemica sulle concessioni idroelettriche agita da tempo la politica. Nel 2022 Fratelli d’Italia era in prima linea nel criticare il governo Draghi per la liberalizzazione del settore idroelettrico e parlava di «colonizzazione» e «resa incondizionata alle imprese straniere». Ma dopo più di due anni trascorsi tra i banchi della maggioranza, il partito di Giorgia Meloni non ha ancora rimesso mano a quel decreto Concorrenza tanto criticato negli anni passati. «Ritengo che la posizione espressa dai promotori del manifesto “Uniti per l’idroelettrico italiano” pubblicato oggi da tutti i principali quotidiani italiani, e le motivazioni alla base di questa iniziativa siano ampiamente condivisibili», ha detto oggi Riccardo Zucconi, responsabile Energia di FdI.

A commentare la presa di posizione di aziende, associazioni e sindacati è anche il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto, che dice di condividere «lo spirito propositivo e le preoccupazioni» contenute nell’appello al governo. «Da due anni – spiega Pichetto – siamo impegnati a trovare soluzioni percorribili, che non pregiudichino gli obiettivi del Pnrr valorizzando allo stesso tempo la volontà di liberare gli investimenti sul territorio. Il governo perseguirà ancora ogni strada, nel confronto fattivo con la nuova Commissione europea, per un sistema più bilanciato di quello che oggi disciplina le procedure di assegnazione delle concessioni».

In copertina: La diga ad ovest del bacino idrico Lago di Fedaia, sotto la Marmolada (Dreamstime/Jiří Kasal)



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