Meloni pensa all’Albania mentre il paese affonda tra crisi industriale ed emergenza sanità. Un promemoria per la sinistra

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 


Mentre Giorgia Meloni fissa tra le sue priorità del 2025 l’utilizzo forzato dei centri per i migranti in Albania – “funzioneranno dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano”, ha urlato qualche giorno fa dal palco della convention del suo partito – e la guerra totale contro la magistratura con tanto di separazione delle carriere, gli italiani si avviano verso il nuovo anno con ansia crescente per altre emergenze. Due sono in cima a tutte le altre: il lavoro e la salute. Sono due temi che non stanno a cuore alla destra di governo che è convinta che negli ultimi due anni si siano moltiplicati i posti di lavoro – un milione o forse due milioni, più di quanti ne avesse promessi quel funambolo di Silvio Berlusconi – e che i fondi per la sanità siano i più alti dall’inizio della storia del mondo. Lo dicono e pare che ci credano sul serio.

Sono 118 mila i posti di lavoro a rischio

Ma la realtà, come si sa, ha la testa dura e non si conforma ai desideri o alle propagande di governo. Sappiamo, infatti, che la struttura industriale del nostro paese è ormai diventata un colabrodo e che presto le diverse crisi aziendali aperte produrranno tanti disoccupati o cassintegrati che andranno ad ingrossare l’esercito dei senza lavoro. Uno studio della Cgil ha fornito il dato, drammatico: 118 mila posti a rischio nei prossimi mesi. Si tratta degli occupati nelle fabbriche il cui stato di crisi è aperto presso il ministero delle imprese e del made in Italy (purtroppo si chiama proprio così). Dall’inizio dell’anno il numero degli addetti che si trovano in questa zona rossa è raddoppiato. Erano 58 mila, sono diventati 106 mila, a cui vanno aggiunti i 12 mila dipendenti delle piccole imprese che il lavoro lo hanno già perduto. I settori coinvolti sono quelli che un tempo erano la locomotiva dell’industria italiana: l’auto, l’energia, gli elettrodomestici, l’abbigliamento. Se pensiamo che la produzione industriale nel nostro paese sta subendo un crollo di mese in mese (a settembre l’Istat ha registrato un -4% su base annua) il quadro complessivo si mostra in tutta la sua drammaticità.

Anche i bollettini Istat sull’occupazione, che ogni giorno fanno suonare le trombe del governo, vanno letti con molta attenzione. Ci dicono infatti che è vero che l’occupazione cresce, di poco ma cresce. Tuttavia, la crescita è concentrata nella fascia degli over 50 uomini, mentre sia le donne che i giovani under 34 restano penalizzati. In ogni caso il tasso di occupazione resta il più basso d’Europa: il 62,5% contro il 75,3 della media europea. Ma soprattutto cresce in Italia la quota degli inattivi. E cresce più degli occupati: 378 mila contro 363 mila. In totale sono 12,5 milioni le persone inattive, il 33% della forza lavoro. A questo aggiungiamo il dato sul “lavoro povero”, cioè quel fenomeno per cui pur lavorando non si è in grado di soddisfare le esigenze della famiglia: in Italia sono oltre 4 milioni le donne e gli uomini che sono occupati ma ogni anno portano a casa meno di 12mila euro lordi, neanche mille euro al mese. Sono numeri che non fanno stare tranquilli e che sono un’ulteriore dimostrazione della situazione precaria del nostro paese.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Il problema principale sul fronte dell’industria e dell’occupazione è che una politica che ragiona con la logica del “presentismo” non è più capace di scelte strategiche. Si pensa a ciò che si può dire o fare oggi, in questo istante nel tempo di un tweet, senza pensare a ciò che si dovrebbe dire o fare per costruire il futuro. Da quanto tempo non si discute dell’assetto industriale e di quali settori privilegiare in funzione dei mercati europei e globali? Si è favorita, restando a braccia conserte, una diffusa dismissione e non si è contrastata una altrettanto diffusa delocalizzazione. Con il risultato che si è creato una specie di deserto industriale che, a cominciare dal settore dell’auto, condiziona pesantemente lo sviluppo del paese.

SERVIZIO SANITARIO NAZIONALECala la spesa per la sanità, aumentano i tempi di attesa

Se ora volgiamo lo sguardo verso il mondo della sanità ci accorgiamo che anche in questo campo le cose stanno lentamente e inesorabilmente precipitando verso un “sistema dimezzato” che ormai garantisce sempre meno servizi con tempi pericolosamente lunghi. Al contrario di quello che racconta la premier la spesa sanitaria, in percentuale rispetto al Pil, è diminuita e soprattutto è notevolmente al di sotto degli altri paesi europei. In Germania si investe in sanità il 10,9% del Pil, in Francia il 10,1, da noi appena il 6,8. Nel 2022 la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è stata di 2.208 euro, contro i 5.086 euro della Germania e i 3.916 euro della Francia.

La carenza di personale (sia medici che infermieri) sta provocando uno smottamento nei servizi sanitari di moltissimi ospedali italiani: i pronto soccorso, soprattutto nelle grandi città, sono quasi ingestibili, i tempi di attesa per esami importanti si dilatano (fino a 750 giorni per un ecodoppler cardiaco all’ospedale di Magenta o 645 giorni per una colonscopia in una Asl di Chiavari, solo per fare due esempi). Questo stato di cose fa aumentare sensibilmente il ricorso ai privati o, in alternativa, il numero di persone che si trovano in condizioni economiche precarie e di conseguenza compiono la scelta drammatica di non curarsi. Nel frattempo i bassi salari del personale sanitario stanno causando un esodo verso altri paesi europei e extraeuropei oppure verso il privato. Siamo in presenza di una situazione allarmante che si scarica di fatto su medici e infermieri che pagano con continue aggressioni il prezzo delle mancate scelte del governo.

Chi si occupa di questi problemi? Certo non una premier in perenne campagna elettorale, occupata a studiare gli slogan più efficaci per attaccare l’opposizione con toni sempre più esagitati piuttosto che cercare di capire quali sono i veri problemi dell’Italia. Certo, non un vicepremier in camicia verde che ora spinge per tornare al Viminale da dove proseguire, con strumenti più adatti, le sue campagne demagogiche contro i migranti, le “zecche rosse”, i sindacati e i magistrati e a favore di un costosissimo ponte che non vedrà mai la luce. Certo, non un altro vicepremier in camicia bianca che, a dispetto della sua asserita moderazione, accetta senza battere ciglio il radicalismo estremista dell’uno e dell’altra partner di governo e si batte, con impeto berlusconiano, per mettere i bastoni tra le ruote alla magistratura. E certo, nemmeno ministri, sottosegretari e famigli vari impegnati come sono a fare la ola al proprio capo partito e a tentare di contrastare con le leggi – dall’autonomia differenziata, al premierato, al decreto sicurezza – il pieno dispiegarsi della democrazia e dei diritti previsti dalla nostra Costituzione antifascista.

elly schlein 2Che cosa serve al centrosinistra per ridare fiducia

Ce ne sarebbe di lavoro per una sinistra che voglia non solo contrastare – come è giusto e necessario che sia – le scelte sbagliate del governo Meloni ma che si impegni a costruire un progetto alternativo, che si faccia portatrice di un’altra idea di paese, che sappia indicare un orizzonte di cambiamento vero. Anche mettendo severamente in discussione le proprie vecchie scelte (basti pensare alla flessibilità del lavoro e all’ubriacatura liberista degli anni Novanta del secolo scorso) che hanno contribuito in parte a complicare la vita degli italiani.

Bisogna riconoscere che il Pd guidato da Elly Schlein sembra aver capito qual è la direzione da prendere per incontrare di nuovo il mondo del lavoro, per stare dalla parte dei più deboli, per rappresentare la parte meno protetta della società e fare in modo che l’iniziativa privata delle imprese non si svolga “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, come recita l’articolo 41 della Costituzione. Speriamo che, come è invece accaduto troppo spesso in passato, questo ritrovato vigore politico non venga soffocato nel 2025 dai soliti balletti politicisti sui centri, sui centrini e sulla ricerca di più o meno affascinanti (nella mente dei proponenti) federatori del centrosinistra. Il centrosinistra non ha bisogno di federatori ma di esploratori. Che sappiano avventurarsi in quei territori abbandonati dove la politica non ha più cittadinanza e l’astensionismo è legge. Per ridare fiducia e offrire una speranza: che voltare pagina è possibile.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link