Aeroitalia, l’ad Intrieri: «Noi, il terzo incomodo sui voli nazionali, puntiamo su Borsa e alleanze»

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La compagnia italiana (con capitali francesi) chiude il suo secondo anno di voli di linea con 2,5 milioni di passeggeri e 230 milioni di ricavi. Nel 2025 vuole raddoppiare. Sullo sfondo il contenzioso con Ita e la lite tra azionisti

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Con 3,4 milioni di posti offerti nel 2024 Aeroitalia — vettore italiano con capitali francesi — è balzato al terzo posto sui voli «domestici», cioè quelli interni al nostro Paese. A una certa distanza da Ryanair e Ita Airways, ma davanti a easyJet e Wizz Air. Nei primi sei mesi del 2025 — secondo i dati forniti dalla piattaforma specializzata Cirium — i sedili in vendita saliranno di un altro 37% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. «In poco tempo siamo diventati una realtà significativa nei cieli italiani», racconta al Corriere Gaetano Intrieri, amministratore delegato di Aeroitalia. 

Dal ministero al vettore

Intrieri, diventato famoso per essere stato consulente dell’allora ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli (governo Movimento 5 stelle-Lega), non è uno che si sottrae alle domande. Nemmeno a quelle che riguardano alcuni aspetti delicati per l’azienda: dal contenzioso con Ita sul marchio alla disputa legale sulla proprietà del piccolo vettore passando per le liti con alcuni aeroporti per presunti accordi commerciali disattesi (che il manager respinge al mittente).




















































Come pensate di chiudere il 2024 in termini di passeggeri e fatturato?
«Con circa 2 milioni e mezzo di passeggeri, 230 milioni di euro di ricavi e un Ebit intorno ai 18 milioni».

E l’ultima riga del bilancio?
«Circa 12 milioni di utile».

Per il 2025 cosa prevedete?
«L’obiettivo è raggiungere circa i 4 milioni di passeggeri e i 450 milioni di ricavi».

Quanti lavorano oggi nella compagnia?
«Circa 500 dipendenti che probabilmente già nel 2025 arriveranno a 700 dipendenti».

Le attività di Aeroitalia vedono una fetta significativa dedicata alla continuità territoriale con la Sardegna, con voli tra Roma Fiumicino/Milano Linate e Cagliari/Olbia. Quanto pesano gli oneri di servizio pubblico per voi?
«In termini di passeggeri e ricavi la continuità territoriale sarda rappresenta il 50-55% del totale. A livello finanziario la rotta Fiumicino-Olbia è la più profittevole del nostro intero network».

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E le operazioni in Sicilia?
«Si stanno rivelando in utile anche i voli su Catania e Palermo. Lì abbiamo una quota di mercato di circa il 23% e ricordo che ce la dobbiamo vedere con Ryanair, Ita Airways».

Avete però pochissima offerta internazionale.
«Siamo concentrati molto di più sul mercato nazionale. Abbiamo messo in vendita da poco dei voli per Lublino, in Polonia, e avremo probabilmente Istanbul, cercando magari di fare accordi con la low cost turca Pegasus».

Ha annunciato l’intenzione della quotazione in Borsa. Con che tempistiche?
«Direi il quarto trimestre del 2025 o il primo trimestre del 2026».

Aeroitalia conta 9 Boeing 737. Tempo fa lei aveva spiegato che avreste preso anche dei 787 Dreamliner per i voli intercontinentali. Volete ancora farlo?
«Intanto arriverà un decimo 737 nelle prossime settimane. Il piano c’è ancora, ma i noti problemi di Boeing fanno sì che i tempi di attesa siano di tre, quattro anni».

Ma avete ancora intenzione di avviare i collegamenti di lungo raggio?
«Sì, ed è anche uno dei motivi per cui vogliamo quotarci in Borsa: la compagnia deve sbarcare anche sul lungo raggio».

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Da mesi siete ai ferri corti con Ita Airways: vi accusa di aver copiato — nella fonetica e nei colori — il marchio «Alitalia» che è di loro proprietà.
«Per noi non è così e infatti abbiamo vinto in primo grado».

Ita si è appellata.
«Si è tenuta l’udienza alcuni giorni fa, aspettiamo il verdetto. Io francamente non so perché quelli di Ita ce l’abbiano così tanto con noi».

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Si è fatto un’idea?
«Forse ci sono persone là dentro che il successo di Aeroitalia lo vedono quasi come un incubo. È un atto ostile di una compagnia italiana nei confronti di un’altra compagnia italiana che è partita con pochi capitali e che per lo Stato oggi è stato un affare di oltre 150 milioni tra tasse pagate e le quasi 500 persone prese dalla cassa integrazione. Aeroitalia andrebbe premiata piuttosto che vessata da una compagnia peraltro dello Stato quindi pagata coi soldi nostri».

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Siete stati a un passo dall’avviare gli accordi di codeshare con Ita. Vorrebbe ancora collaborare con loro a livello commerciale?
«Ma certo. Oggi siamo una realtà pesante perché portiamo a Fiumicino quasi 2 milioni di passeggeri sul totale dei 2 milioni e mezzo di passeggeri. Stiamo negoziando con diverse aerolinee importanti, è chiaro che oggi noi diventiamo un punto un punto importante per un vettore che vuole fare feederaggio (per portare viaggiatori sui voli intercontinentali e viceversa, ndr) da Fiumicino».

Con chi state parlando?
«Ci sono varie interlocuzioni, la più avanzata è quella con Air France».

Quando lei cita Air France è inevitabile pensare a Delta Air Lines che con i francesi ha incroci azionari importanti.
«Penso che incontreremo presto anche gli americani».

Per avviare un codeshare o pensare a un’operazione industriale?
«Il futuro di Aeroitalia, al di là di Air France, è avere un partner industriale. Prima la quotazione in Borsa, poi l’M&A».

E guardando fuori dall’Europa?
«Abbiamo firmato con Qatar Airways un accordo di interline, a partire da fine gennaio, e forse nel tempo si trasformerà in un codeshare. Ci sono anche compagnie cinesi con cui stiamo negoziando».

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Qual è il senso del network di Aeroitalia? Lo chiedo perché nei mesi scorsi c’è stata un po’ troppa variabilità, con rotte aperte e chiuse subito dopo, insomma molta instabilità.
«Sulle rotte per noi capisaldi — Palermo, Catania, Cagliari, Olbia, e fino a poco tempo fa Alghero — non abbiamo chiuso e continuiamo a volare. E mi sembra che lo stiamo facendo sia da Bergamo, sia da Roma, con una puntualità e una regolarità impressionante».

Però mi riferivo ad altre tratte, con meno traffico sì, ma che hanno portato a screzi con le società di gestione aeroportuale, tipo Ancona…
«Siamo partiti con 5 milioni di euro di capitale».

E questo cosa significa?
«Che non ci possiamo permettere di volare in perdita, perché se lo facciamo il capitale si riduce ed è un problema. Ma poi le posso dire una cosa?».

Prego.
«Ryanair in questo meccanismo di apertura e chiusura delle rotte è campione del mondo». 

Questo non credo sia verificabile…
«Ma in ogni caso non capisco perché se lo fa Aeroitalia non va bene, se lo fa Ryanair è tutto normale».

Quindi avete chiuso subito le rotte in perdita?
«Quei collegamenti magari avrebbero portato anche a qualche utile. Una rotta bisogna valutarla dopo minimo un anno. Ma se la vede nel contesto di Aeroitalia, che ripeto è partita con 5 milioni di euro, allora vuol dire che non possiamo fare esperimenti».

Si diceva che Aeroitalia sarebbe decollata con 75 milioni, però. Dove sono finiti 70 milioni?
«Non sono mai arrivati».

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Scusi?
«Quello che doveva essere l’investitore principale, German Efromovich (ex patron di Avianca che si era fatto avanti per rilevare Alitalia, ndr), non ha mai versato 70 milioni. E così siamo rimasti con i 5 milioni dell’imprenditore francese Marc Bourgade che è l’unico azionista».

Efromovich però ha avviato un contenzioso nel Regno Unito contro Aeroitalia.
«No, il contenzioso è contro Bourgade. Efromovich sostiene di avere diritto ad avere una parte di Aerotalia».

E invece l’operazione in Romania che ha portato all’acquisizione di Air Connect?
«Con il vettore avevamo un accordo che ci consentiva di usare i loro Atr per la continuità territoriale di Ancona. Ma siamo stati quasi costretti a comprarlo perché era in una situazione disastrosa e i proprietari degli aerei minacciavano di riprenderseli».

Quanto l’avete pagata Air Connect?
«Quattro milioni, inclusi i tre di debiti. Ma alla fine non ci è costata niente perché quegli aerei comunque avremo dovuto pagarli per il servizio di leasing».

Cosa ne pensa dell’operazione Ita-Lufthansa?
«Ci sono due ragionamenti da fare. Il primo: penso che si sarebbe dovuta e potuta gestire meglio l’amministrazione straordinaria di Alitalia per ristrutturarla e farla ripartire. Purtroppo non è stato fatto».

Il secondo ragionamento?
«Chiusa Alitalia è stata fatta partire Ita Airways, peraltro piena di limitazioni imposte dalla Commissione europea. In questo ambito l’operazione con Lufthansa è l’unica razionale e in grado di tenere i piedi questo soggetto. Penso che meglio di così oggi non si sarebbe potuto fare».

Alitalia è fallita anche perché il sistema Paese negli ultimi anni forse ha fatto poca attenzione ai cieli che ha portato al dominio delle low cost?
«Direi di una low cost in particolare, Ryanair».

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Lei è sempre critico nei loro confronti.
«Perché l’Italia vive una distorsione di mercato che non c’è in nessun altro Paese democratico. Qui c’è un unico player che ha una posizione stra-dominante in parte per meriti suoi, in parte per demeriti altrui che hanno consentito a Ryanair di fatto di trovare delle autostrade. Cosa che non è accaduta in Germania o Francia».

Ma Ryanair si muove in un contesto di mercato. Se la deve vedere anche con Wizz Air, easyJet, Ita, voi e altre decine di aviolinee.
«Ma è in Italia che abbiamo un problema serio. C’è un signore (Michael O’Leary, ceo del gruppo Ryanair, ndr) che viene qui e impreca contro un ministro — come è successo un anno fa — e chiede addirittura le dimissioni del presidente dell’Enac. Le sembra una cosa normale? Ma se si comporta così è perché per lui l’Italia è solo un terreno di conquista».


24 dicembre 2024 ( modifica il 24 dicembre 2024 | 08:58)



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