Emergenza casa, interista al nuovo assessore regionale Giovanni Paglia

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Il ravennate Giovanni Paglia (Avs): «Non bastano le agenzie con aiuti pubblici, servono nuovi immobili a disposizione, ma senza consumare suolo. Publico e privato lavorino insieme»

Ex deputato, ai vertici di Sinistra Italiana, bancario di professione, il ravennate Giovanni Paglia è da pochi giorni il nuovo assessore regionale a Lavoro, Politiche giovanili, Diritto allo studio e Casa. Paglia è entrato nella giunta De Pascale in quota Avs, la lista più a sinistra della coalizione che in regione ha conquistato il 5,3 percento (tre consiglieri).

Lo contattiamo, al suo secondo giorno di lavoro in via Aldo Moro, per parlare proprio della delega alla Casa, nella cornice dell’approfondimento che la redazione ha dedicato al tema sull’ultimo numero dell’anno del settimanale.

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Assessore, il tema casa è stato al centro della vostra campagna elettorale e ora è una sua delega. Soddisfatto?
«Abbiamo chiesto con forza di poter avere la delega perché è un tema centrale, si tratta di un’emergenza sociale già esistente e destinata ad aggravarsi e pensiamo quindi che si debba affrontare con idee e soluzioni innovative, quelle in atto non bastano più. Fino a cinque anni fa era un tema che riguardava quasi esclusivamente le città metropolitane, ma è già diventato o sta per diventare una questione di ogni singola comunità».

Perché è diventato o sta diventando un’emergenza sociale?
«Le cause sono diverse: da un lato ci sono salari sempre più bassi a fronte di affitti che invece non hanno smesso di crescere, ma è diventato anche più difficile l’acquisto della casa perché sono calati i risparmi e oggi è più difficile per le famiglie di origine aiutare i figli con l’acquisto, i mutui quindi diventano sempre più gravosi per i giovani. Poi c’è il tema degli affitti brevi, non solo turistici, rivolti a chi ha bisogno di trasferirsi per ragioni di studio o lavoro. Si tratta di case che sono state tolte dal mercato degli affitti a famiglie e utilizzati per altri scopi».

La questione della casa è intrecciata anche con la sempre più pressante questione della demografia?
«Sicuramente. Tanti giovani italiani in realtà fanno figli, ma all’estero, dove trovano condizioni per poter lavorare remunerati adeguatamente e, quindi, si possono permettere una casa. Un accesso più facile a un’abitazione potrebbe essere un fattore in grado di trattenere in Italia i nostri ragazzi al termine degli studi e metterli in condizioni, se lo vogliono, di creare una famiglia».

In Regione esiste già un Patto per la casa, grazie al quale per esempio il Comune di Faenza ha dato vita all’Agenzia per la casa, è questa la soluzione?
«Il Patto per la casa è certamente parte della risposta. Il tema è cosa si fa con le Agenzie per la casa: sono luoghi che incentivano l’incontro domanda-offerta e offrono garanzie pubbliche per chi decide di affittare la propria casa, a fronte di un canone concordato. Questo può funzionare con i locatari che oggi non affittano perché hanno paura di insolvenze e spese di ripristino. Si tratta quindi di uno strumento pubblico che va bene, ma potrebbe non essere sufficiente. È anche necessario aumentare la disponibilità di immobili per le fasce di reddito medio-basse».

Costruendo nuove case popolari? Ripristinando quelle vuote?
«Sì e sì, ma non solo e a patto che non vi sia ulteriore consumo di suolo. Da un lato quindi bisogna guardare al patrimonio residenziale pubblico non utilizzato per cui è necessario reperire capitali per i lavori di ristrutturazione. Immagino anche società miste pubblico-private raccogliendo ad esempio la disponibilità più volte espressa dalle associazioni degli imprenditori, perché loro stessi subiscono le conseguenze dell’emergenza casa. Come fa una persona a trasferirsi per lavoro se non ha la possibilità di trovare un alloggio?».

Quindi il pubblico potrebbe mettere gli spazi e il privato i soldi per poter assicurare un’abitazione ai lavoratori?
«È sicuramente una riflessione da fare, visto che nel pubblico i capitali non sono sufficienti. Ma ripeto, non si può pensare al vecchio schema per cui il pubblico metteva i terreni e il privato i capitali, perché l’ottica è quella del consumo zero di suolo. Ma penso anche a come si potrebbero valorizzare gli immobili di enti previdenziali e fondazione bancarie».

Ma mica si possono requisire né si possono obbligare i privati…
«Certo, infatti quello su cui dobbiamo ragionare, e davvero sono aperto a proposte e idee, è come garantire un’utilità anche per chi investe. Come pubblico possiamo usare leve che hanno a che fare con sgravi e destinazioni d’uso, per esempio. Inoltre possono essere coinvolti anche i futuri potenziali residenti».

Come con l’autocostruzione?
«Non pensavo a questa formula, piuttosto a una sorta di impegno finanziario del locatario a prezzo calmierato in cambio, per esempio, di un’occupazione dell’immobile per 99 anni. Possono esistere più formule».

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Acer potrebbe trasformarsi in un ente misto?
«Mi sembra che Acer al momento vada bene così com’è».

E le esperienze di cohousing, condomini sociali e simili che si stanno pian piano diffondendo che ruolo debbono avere?
«Sono tutte ottime esperienze e molto diverse tra loro. Vanno incentivate e finanziate, ma rispondono a bisogni anche diversi da quelli di cui abbiamo parlato fino ad ora. Una casa è un diritto fondamentale, come l’alimentazione e la salute e va garantito. Vorrei aggiungere che se parlare di casa significasse solo occuparsi di dare una risposta alle situazioni di estrema fragilità, non avremmo l’enorme problema che abbiamo, potremmo quasi farcela. Ora tuttavia siamo in un momento simile a quello in cui fu concepito il piano Fanfani (anni ‘50, ndr). L’emergenza riguarda anche le persone che lavorano ma non possono permettersi i prezzi del libero mercato».

Come Avs, in campagna elettorale, avete parlato anche di salario minimo a 9 euro, in qualche modo potrebbe anche questo essere una risposta?
«Nel programma abbiamo messo il salario minimo a 9 euro lordi per tutti coloro che lavorano con l’ente regionale, penso alla catena di appalti e subappalti, nella speranza che anche altri enti locali seguano l’esempio. Tuttavia, devo dire, non credo che sarà questa la misura che permetterà a tante famiglie l’accesso alla casa; è una misura essenziale, ma non sufficiente. In questi primi giorni ho lavorato soprattutto come assessore al Lavoro, seguendo diversi tavoli di crisi. Ma da gennaio intendo convoncare gli assessori e le Acer di ogni provincia per capire su cosa bisogna intervenire. Qualche idea ce l’ho, ma è necessario ragionare senza pregiudizi e senza preconcetti con un orizzonte chiaro che è garantire a tutte e tutti il diritto alla casa in modo sostenibile».

Quando incontrerà l’assessore di Ravenna parlerete del progetto di via Cicognani che non potrà realizzarsi per l’aumento dei costi, nonostante fosse stato finanziato quasi totalmente dalla Regione?
«L’aumento dei costi per l’inflazione è un problema che ha riguardato tutti i cantieri pubblici. La speranza è che la tendenza si inverta e si possano quindi riprendere progetti che sono stati congelati. Il tutto, dobbiamo tenerlo ben presente, con un governo centrale che del tema casa non parla e non se ne occupa. Noi ovviamente chiederemo e proveremo a porre la questione per avere un adeguamento dei finanziamenti, ma di certo non possiamo farci molto affidamento».

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