Quarant’anni fa la bomba sul rapido 904: le vittime furono 16, i feriti 267 – Attualità

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BOLOGNA – La strage del rapido 904, che il 23 dicembre di quarant’anni fa costò la vita a 16 persone e provocò 267 feriti, molti in gravi condizioni, è stata ricordata oggi con una cerimonia a San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino tosco-emiliano, alla quale hanno partecipato anche soccorritori dell’epoca e persone rimaste ferite nell’attentato.

L’ordigno, sistemato nella nona carrozza del convoglio, esplose con una carica radiocomandata mentre percorreva i 18 chilometri della galleria Direttissima, dieci anni dopo la strage dell’Italicus avvenuta nell’agosto ’74 (12 morti e 48 feriti).

Il treno era partito da Napoli ed era diretto a Milano, carico di persone in viaggio per le feste di fine anno. A chiamare i soccorsi, che ebbero difficoltà a raggiungere il luogo dell’esplosione per via del fumo e dei danni alla linea elettrica, fu il controllore Gian Claudio Bianconcini, al suo ultimo viaggio in servizio.

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“Fortunatamente dalla nostra parte non c’era fumo”, ha ricordato Paolo Vandelli, ex ferroviere, che con alcuni colleghi salì subito su un carrello per arrivare sul punto dell’attentato – non raggiungibile da Vernio, dal versante toscano, proprio a causa del fumo – caricando a bordo anche i vigili del fuoco del distaccamento di Castiglione dei Pepoli.

“Poi cominciammo a portare fuori i feriti. Ancora oggi, a distanza di quarant’anni, alcuni di noi fanno fatica a parlare di quell’evento”. “Questi accadimenti, anche quelli recenti, ci dimostrano che la pace, la giustizia e la democrazia, anche quando vengono conquistate, non lo sono per sempre – ha detto il sindaco di San Benedetto, Alessandro Santoni – È importante essere qui non solo per un giusto e importante riconoscimento nei confronti delle vittime e delle loro famiglie, ma anche per far crescere i nostri figli e i nostri nipoti con i giusti principi”.

Viene ricordata come “la strage di Natale”: era domenica il 23 dicembre 1984 quando, alle 19.08, un ordigno telecomandato sistemato sulla griglia portaoggetti della nona carrozza del treno rapido ‘904’ Napoli-Milano, un vagone di seconda classe, esplose mentre il convoglio transitava sotto i 18 km della galleria Direttissima nell’Appennino toscoemiliano, tra le stazioni di Vernio e San Benedetto Val di Sambro.

Luoghi non distanti da quelli della strage dell’Italicus compiuta nell’agosto di dieci anni prima.

Nell’attentato, che la Corte di Cassazione confermò essere di matrice ”terroristica mafiosa”, morirono 16 persone ed altre 267 rimasero ferite: a 40 anni di distanza, nonostante alcune certezze giudiziarie, c’è ancora un’inchiesta in atto, riaperta nei mesi scorsi che potrebbe aggiungere nuovi elementi. Intorno alla strage si sviluppò una complessa vicenda fatta di sei processi in otto anni – nel 1991 la prima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, annullò la sentenza della Corte d’Assise d’appello fiorentina – e ci sono state condanne passate in giudicato, fra cui quella all’ergastolo di Pippo Calò, fedelissimo di Totò Riina, e a 22 anni di Friedrich Schaudinn, il tecnico tedesco che avrebbe realizzato il congegno usato per l’esplosione.

Il procuratore di Firenze Filippo Spiezia ieri ha spiegato che a quattro decenni dall’attentato si sta ancora lavorando. In particolare sono stati acquisiti “atti dei Servizi declassificati presso l’archivio storico di Roma e anche atti presso varie autorità giudiziarie”.

Accertamenti che mirano a individuare altri presunti mandanti ed esecutori dell’attentato. Entro la primavera prossima la procura attende “una corposa informativa dei Ros”.

La nuova inchiesta si concentra sull’eventuale esistenza di un’area che legherebbe Calò all’estrema destra e ad esponenti dei servizi segreti. Obiettivo inoltre è quello di accertare chi abbia fornito l’esplosivo utilizzato, del tipo semtex.

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In precedenza, nell’aprile 2011 si aprì un nuovo capitolo che non è mai stato possibile concludere, con l’arrivo da Napoli di un’ordinanza di custodia cautelare per Totò Riina: il capo di Cosa Nostra era considerato il mandante della strage.

In primo grado a Firenze nel 2015 Riina fu assolto per mancanza di prove e nel 2017, due mesi prima della sua morte a Parma dove stava scontando ventisei ergastoli, arrivò lo stop all’appello e il rinvio a data da destinarsi del processo, poi estinto in conseguenza del decesso.

“La mafia, in quella strage, compì anche un’azione di valenza terroristica, tanto che proprio in questa indagine fu coniata per la prima volta la locuzione ‘terrorismo mafioso'”, disse il procuratore distrettuale di Firenze ed ex procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, che condusse l’inchiesta sull’attentato e fu pm al processo di primo grado.

Il rapido 904 era partito da Napoli carico di persone in viaggio per le feste di fine anno e aveva fatto sosta a Roma, per proseguire alla volta di Firenze, da dove era ripartito con 607 passeggeri. Secondo gli inquirenti fu alla stazione di Firenze che in due borse venne collocato sul vagone l’ordigno.

Rivendicarono l’attentato ben 23 organizzazioni di estrema destra, estrema sinistra e gruppi terroristici stranieri. Gli inquirenti però non diedero eccessivo credito ad una matrice esclusivamente politica, ritenendo più attendibile una “feroce risposta” alle rivelazioni di Tommaso Buscetta che proprio in quei giorni avevano “messo in ginocchio la mafia”.

Fu battuta anche una “pista napoletana”, che portò tra l’altro all’arresto del presunto boss della camorra del rione Sanità Giuseppe Misso e del parlamentare missino Massimo Abbatangelo, dapprima condannati all’ergastolo e poi assolti dall’accusa di strage.

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