di Simona De Ciero
Un’operatrice: «Possono pure cambiare software ma il problema è il servizio che non c’è»
Ripubblichiamo questa intervista di Simona De Ciero a un’operatrice del call center che gestisce il Cup, una delle più apprezzati dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024.
Lucia (nome di fantasia) è un’operatrice del call center che gestisce il Cup Piemonte, numero unico per le prenotazioni telefoniche del servizio sanitario nazionale. L’abbiamo intervistata nei giorni in cui si discute l’apertura sette giorni su sette del Centro prenotazioni.
Da quanto tempo lavora al Cup?
«Da sempre. Ci sono entrata come interinale quando serviva solo i torinesi, l’ho visto allargarsi all’allora provincia. Negli anni poi sono stata stabilizzata, assunta prima da Diamante, società che vinse l’appalto quando fu esternalizzato il servizio. E sono ancora qui, ora che la gestione è affidata a Rekeep Digital e serviamo tutta la Regione».
La Regione assicura di rivoluzionare il servizio entro la primavera 2025, quando intende introdurre l’intelligenza artificiale nel sistema. La spaventa?
«No, ma sorrido».
Perché?
«Perché la questione cardine, a mio avviso, è che manca il servizio e, per quanto si lavori a nuovi software, io non credo saranno capaci di fare miracoli. Posso fare un esempio banale?».
Certo.
«Io amo il Giappone e lì è pieno ovunque di meravigliosi e innovativi distributori automatici di cibo. Se nessuno li rifornisce di panini, restano solo quello che sono: scatole vuote».
Tra un tramezzino e una visita specialistica c’è una bella differenza.
«Appunto, se il sistema non cambia a monte, e la sanità pubblica non è in grado di soddisfare la richiesta, le nuove tecnologie servono a poco. Peraltro, se devo dirla tutta, il sistema che usiamo attualmente è performante».
A quante chiamate risponde durante un turno?
«Lavoro quattro ore al giorno. A occhio, un centinaio».
A «occhio»: non avete un contatore?
«No. Lo avevamo in passato ma non ha mai funzionato un granché e alla fine ce l’hanno tolto».
Di queste cento chiamate, sa dire quante si concludono con una prenotazione?
«Francamente? Poche».
Quante?
«Tra il 30 e il 40%, non di più».
Quali sono le prestazioni per cui è più difficile trovare uno slot libero?
«Paradossalmente le più semplici: le visite oculistiche per esempio. Per non parlare di quelle dermatologiche».
Cosa intende?
«Sa che io non ho memoria dell’ultima volta che, interrogato il sistema, sono riuscita a prenotare una visita dermatologica? Sono mesi che è impossibile».
A proposito di visite specialistiche: ci sono slot disponibili al pomeriggio?
«Pochi».
Crede dipenda dal fatto che i medici, al pomeriggio, sono mediamente impegnati a far visite private?
«Io questo non lo so ma, se così fosse, temo che il destino di noi operatori resti quello di rispondere “mi dispiace, non c’è posto”».
Il sistema di call center offre una qualche opzione per monitorare l’andamento delle prestazioni? Fate attività di back office?
«Macché, noi operatori siamo gli ultimi soldati di fronte al nemico”; siamo quelli che fanno il lavoro sporco senza conoscere la strategia alla base della nostra attività».
Può spiegare come funziona un turno tipo?
«Prendiamo servizio, accendiamo il computer, apriamo il software e, chiamata per chiamata, interroghiamo il sistema sulla prestazione contenuta nell’impegnativa del cliente potendo scegliere se indagare in modo mirato una struttura o la prima disponibilità su area geografica».
A fine turno compilate una modulistica che metta in luce le principali criticità?
«No, nulla».
Quanti operatori siete?
«Tra la sede torinese e quella novarese, poco meno di 250».
Lavorate su turni?
«Sì, copriamo tutti i giorni della settimana dalle 8 alle 20. Ma la domenica il servizio è sostanzialmente inutile».
Perché?
«Perché gli ospedali di certo non aggiornano le agende nel weekend; per cui, la percentuale di chi ci contatta e chiude la chiamata senza successo è molto più alta, di quel 30-40% che raggiungiamo in settimana».
All’inizio del turno voi operatori sapete il numero di posti per liberi per singola specialità e per struttura?
«No, possiamo vedere se c’è posto o meno solo nel momento in cui facciamo una ricerca mirata».
Come spiega al cittadino che la chiama, che non può aiutarlo?
«Bella domanda. Il fatto è che non posso proprio spiegarglielo perché non ho alcun elemento aggiuntivo».
Le persone capiscono che l’eventuale disservizio non dipende da voi o, invece, vi ritengono direttamente responsabili?
«La maggior parte capisce la nostra posizione. Sa chi se la prende di meno?».
Chi?
«I malati cronici la cui unica replica, quando arriva, è relativa al sistema sanitario nel suo complesso. “È tutto finito, non esiste più nulla della sanità pubblica” ribattono, il più delle volte».
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