C’è la tregua, anche se Israele non la sta rispettando del tutto: è comunque un segnale, sostanziale, seppur minimo, di speranza. Ma gli sfollati che, dopo l’accordo per il cessate il fuoco, hanno cercato di tornare alle loro abitazioni si sono trovati davanti solo cumuli di macerie e sono costretti a vivere nei giardini di quelle che erano le loro case, senza avere rassicurazioni sui mezzi finanziari e sui tempi per la ricostruzione. La speranza del Natale, spiega Mounir Khairallah, vescovo cristiano maronita di Batroun, quella di cui la comunità cristiana vuole essere testimone fondandola sulla fede in Gesù Cristo e prendendo forza dall’anno giubilare che si sta aprendo, si scontra con una realtà che per molti è durissima e che impone alla comunità internazionale di adoperarsi per ricostruire il Libano, che, da parte sua, deve cominciare a ridare dignità alle sue istituzioni, a partire dal presidente: il 9 gennaio il parlamento si riunirà per eleggerlo, potrebbe essere un segnale che il Paese vuole ripartire davvero.
La tregua in Libano sta reggendo? Ci sono dei passi avanti verso una vera e propria pace, una soluzione dei problemi con Israele?
Il cessate il fuoco regge da parte del Libano, ma non da parte di Israele, che continua a bombardare il sud del Paese. Contiamo sul Comitato di supervisione, soprattutto su Stati Uniti e Francia, per poter contenere un po’ Israele e far rispettare il cessate il fuoco, applicando la risoluzione 1701 dell’ONU. Puntiamo su di loro, che si sono offerti come garanti. E poi speriamo che tutto questo porti a un accordo di pace.
Come sono i bombardamenti di Israele?
Non come prima, anche se già nei primi giorni di tregua gli israeliani hanno continuato a colpire. Non hanno ancora abbandonato i villaggi del sud, anche se l’esercito libanese, piano piano, sta prendendo piede.
Dopo l’euforia iniziale, una volta proclamata la tregua, la gente come sta vivendo questa situazione?
Gli sfollati sono tornati dove vivevano, ma non hanno trovato niente: tutto è stato distrutto e bruciato. Stanno aspettando di poter ricostruire, di rivivere nella loro terra: ora, però, non possono fare altro che sistemarsi nei giardini delle loro case distrutte. È positivo che vogliano ricominciare, incoraggiante dal punto di vista della loro volontà, ma le persone sono quasi disperate per il fatto che non hanno trovato più niente di quello che avevano lasciato.
Hezbollah ha accusato il colpo?
Parla di vittoria, ma ancora non vuole riconoscere questa nuova situazione. I libanesi del sud e della Bekaa, comunque, sono disperati: nessuno di loro voleva questa guerra e hanno perso tutto.
Le comunità cristiane hanno moltiplicato l’impegno per gli sfollati: i bisogni sono ancora quelli di prima necessità?
Hanno molto più bisogno di prima. Per aiutarli nella vita quotidiana ci sono la Chiesa, la Caritas, ma anche le organizzazioni internazionali. Il problema, però, sarà la ricostruzione: occorrono miliardi, dove possono andare a prenderli? Il governo libanese non ha la disponibilità e non è neanche il governo che dovrebbe ricostruire, contando che i danni sono stati provocati da una guerra che i libanesi non volevano. Occorrono accordi internazionali, oltre che far pressione per l’elezione di un presidente.
Non ci sono segnali concreti che possano far pensare a una elezione a breve di un nuovo presidente libanese?
Aspettiamo il 9 gennaio, quando è fissata una seduta del parlamento proprio con questo ordine del giorno.
Le comunità cristiane in questo clima come stanno vivendo il Natale?
Stiamo vivendo il Natale della speranza. C’è stata l’apertura dell’anno giubilare, che è l’anno della speranza, quella che non delude, quella di Gesù Cristo. Noi vogliamo essere testimoni di questa speranza nella vita quotidiana. La nostra tradizione è di festeggiare il Natale soprattutto a livello spirituale: al di là delle Messe ci sono state le processioni, la novena delle preghiere, alla quale la gente partecipa in gran numero, e che si è conclusa il giorno della Vigilia. Ci sono stati anche dei recital. Coinvolgiamo i giovani, i bambini, e tutti partecipano. Quello che conta è il livello spirituale: a livello materiale non vale la pena, la gente non può farlo e comunque il Natale non ci interessa da questo punto di vista.
Anche la tregua, comunque, un po’ di speranza l’ha riportata?
Certo, una speranza che però va vissuta ancora con cautela. Da questo punto di vista possiamo solo aspettare per capire cosa succederà l’anno prossimo.
(Paolo Rossetti)
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