Federmeccanica riapre a confronto ma resta nodo salari

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Scioperi a tappeto e il rinnovo del contratto collettivo al palo. È così che si chiude il 2024 per i metalmeccanici, senza una quadra per far ripartire la trattativa tra sindacati e Federmeccanica-Assistal su un’intesa che riguarda 1,6 milioni di lavoratori. Dopo il naufragio del tavolo negoziale il mese scorso, Fiom, Fim e Uilm hanno proclamato una mobilitazione articolata in una serie di scioperi territoriali, che finiranno il 15 gennaio. A quel punto, si dovrebbe tornare al confronto. Sul rinnovo sono tutti d’accordo: lo vogliono i datori, lo vogliono le tute blu, ma sulla base di partenza le frizioni non si attenuano.

Da un lato i sindacati rivendicano le richieste nella piattaforma unitaria tra cui – i nodi principali – l’aumento di 280 euro in busta paga e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Dall’altro, Federmeccanica e Assistal continuano a ribadire che quelle istanze sono infattibili, tornando alla carica con la loro controproposta che, ribadiscono, “è equa e manda un messaggio chiaro: il rinnovo va calato nel contesto attuale”. E il contesto attuale non è roseo. “Le imprese soffrono e i dati sul 2025 sono una sentenza: sarà un anno difficilissimo”. A tracciare il perimetro delle reali possibilità delle aziende è proprio il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, che con l’AndKronos non usa mezze parole quando dice: “La realtà è sempre quella, anzi forse è ancora più complicata. Ogni trimestre è sempre peggio”.

A fronte di questi “scenari foschi” gli industriali hanno fatto la loro contro-offerta: “garantiamo l’adeguamento dei minimi tabellari all’inflazione Ipca-nei, che nel nostro caso ha determinato incrementi senza precedenti”, sottolinea Franchi, ricordando che le retribuzioni del comparto hanno avuto negli un tasso di crescita superiore del 40% al complesso dell’industria, “prevediamo un’ulteriore redistribuzione laddove si generano adeguati profitti e non ci siano già premi di risultato, valorizziamo la continuità professionale” e ci sono “importanti misure di welfare come la tutela della non autosufficienza a vita intera” tale da “raddoppiare quanto previsto dallo Stato”, o “gli incentivi per flexible benefits e il miglioramento dell’assistenza sanitaria integrativa per le fasce più deboli, fino al rafforzamento della previdenza complementare per tutti e ancor di più per i giovani e il personale femminile”.

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Ma i sindacati non arretrano. “Il punto è semplice: si negozia a partire dalla piattaforma che i lavoratori hanno votato. Federmeccanica e Assistal possono avere le loro posizioni ma non possono chiederci di negoziare sulla loro piattaforma”, afferma il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, evidenziando che negli ultimi anni “la curva dei profitti delle imprese è cresciuta”. In un recente studio presentato da Corso d’Italia si segnala un utile per le aziende metalmeccaniche pari a oltre 30 miliardi, a cui fa da controcanto una flessione della voce ‘costi del personale’ (che passa dal 65% del 2019 al 58% nel 2023). I salari sono aumentati? Sì, ma “per effetto del sistema previsto nel ccnl che loro vogliono mettere in discussione” nonostante il costo del lavoro in Italia sia “al di sotto della media europea”, continua il segretario, citando i dati Eurostat del 2021 (secondo cui, per esempio, nella metallurgia il costo del lavoro nella media Ue si attesta a 31,33 e in Italia al 30,95). “Le aziende non rischiano di chiudere per il costo del lavoro, è una bugia, ma perché non fanno investimenti, distribuendo gli utili tra azionisti. La crisi non si scarica sui lavoratori”.

“Continuare con questo muro contro muro è dannoso sia per il sistema industriale che per i lavoratori, conto che Federmeccanica e Assistal lo capiscano e modifichino la propria posizione”, chiosa dal canto suo il leader dei metalmeccanici via Lucullo, Rocco Palombella, osservando che un acuirsi dello scontro “non sarebbe auspicabile”. Il contratto infatti “riguarda milioni di lavoratori e va rinnovato perché darebbe la fiducia necessaria a far ripartire i consumi. Ma noi – ammonisce poi il segretario – non andremo col cappello in mano”.

L’ombra del conflitto, quindi, torna ad allungarsi sulle fabbriche anche nel 2025. “Se resterà questa chiusura saremo costretti a mettere in campo altre iniziative e proseguiremo in maniera più serrata a livello decentrato”, avverte il leader Fim, Ferdinando Uliano, auspicando che lo stallo “venga superato da un senso di responsabilità che porti alla coesione nel settore”. Le distanze però sono “enormi, evidenti” sia sui salari che sulla parte normativa. Sui salari “avevamo fatto una richiesta precisa, mentre da parte loro non c’è una proposta salariale, si sono limitati a dire che gli aumenti dipendono dall’inflazione”. Non solo. La proposta, secondo le sigle, è peggiorativa: “stabilisce un meccanismo secondo cui se l’inflazione ha uno scostamento dell’1% gli aumenti si spostano di 6 mesi, cosa che non è mai avvenuta”, puntualizza Uliano. Non va meglio nemmeno sugli altri temi. Per esempio, sui permessi retribuiti, la proposta datoriale punta a “toglierne la disponibilità ai lavoratori per gestirli in maniera collettiva che è l’opposto di quanto avevamo chiesto”, appunta il segretario, che poi conclude: “è proprio il loro approccio ad aver posto distanze enormi”.



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