L’idrogeno verde affronta sfide legate ai costi elevati rispetto all’idrogeno grigio. Entro 25 anni, il suo prezzo potrebbe scendere, ma restano ostacoli tecnologici, economici e politici da superare per renderlo competitivo.
L’idrogeno verde potrebbe rappresentare un alleato insostituibile alla transizione energetica, soprattutto in quei settori in cui non è possibile pensare al passaggio all’elettrico.
Ma affinché questo avvenga è necessario superare un limite che al momento frena l’espansione di questa tecnologia: il costo.
Secondo una recente analisi di BloombergNEF (società che si occupa di ricerche strategiche nei settori dell’energia, dei trasporti e dell’industria) la parità di prezzo tra idrogeno verde e idrogeno grigio è ben lontana per tutte le economie del mondo. Solo India e Cina potranno raggiungerla ma non prima del 2050.
Ma cos’è l’idrogeno verde? Cosa l’idrogeno grigio? E perché dal costo di questi ultimi dipenderà una buona parte della transizione ecologica mondiale? Andiamo con ordine.
Idrogeno verde, di cosa si tratta?
Prima di capire qual è la differenza tra idrogeno verde e idrogeno grigio bisogna tenere ben presente che l’idrogeno non è una fonte energetica, ma un vettore energetico.
Una fonte energetica è qualcosa da cui si ricava energia direttamente, come il petrolio, il gas naturale, il sole, il vento o l’acqua. Questi elementi contengono energia intrinseca che possiamo sfruttare.
Un vettore energetico, invece, è come un “contenitore” o un “mezzo” che trasporta energia da un luogo all’altro o da un momento all’altro. Non “contiene” energia di per sé, ma la conserva dopo essere stata prodotta da una fonte primaria.
E dunque l’idrogeno deve essere prodotto attraverso l’utilizzo di un combustibile.
“L’idrogeno verde si definisce come quell’idrogeno prodotto utilizzando fonti energetiche rinnovabili, come l’energia eolica o fotovoltaica. Queste fonti generano energia elettrica rinnovabile, che viene impiegata nei sistemi di elettrolisi per scindere le molecole di acqua dolce in idrogeno e ossigeno”, ha spiegato a TeleAmbiente il professor Marco Torresi del Politecnico di Bari.
La differenza con l’idrogeno grigio è che questo viene prodotto tramite il processo di steam reforming del metano, una tecnologia che richiede elevate quantità di calore e utilizza il vapore per scindere le molecole di metano, ottenendo idrogeno e anidride carbonica.
Ad oggi più del 90% dell’idrogeno viene prodotto in questo modo. Quindi attraverso l’utilizzo di un combustibile fossile il che lo rende poco adatto alla transizione energetica.
“Una variante di questo processo è l’idrogeno blu, in cui alla produzione di idrogeno grigio si abbina un sistema di cattura e stoccaggio della CO₂”, continua il professor Torresi.
Il ruolo dell’idrogeno nel processo di decarbonizzazione
“Se l’idrogeno dovesse essere utilizzato su larga scala per l’industria pesante, come quella siderurgica, chimica e della raffinazione petrolifera, oltre che per la mobilità e il riscaldamento, sarebbe necessaria una quantità di energia elettrica equivalente al 50% della produzione annua di energia elettrica italiana”, spiega il professor Torresi.
Ma perché, allora, si continua a guardare all’idrogeno come alleato alla decarbonizzazione? Perché esso può essere molto utile nei settori “hard to abate”, cioè in quei settori difficili da decarbonizzare, dove ridurre le emissioni di CO₂ è particolarmente complesso.
Se è facile pensare all’elettrificazione del settore auto o delle nostre abitazioni, non possiamo fare lo stesso per altri settori, come l’industria pesante (in particolare la produzione di acciaio e cemento), i trasporti pesanti (camion, navi, aerei) e il riscaldamento industriale (dove serve una grande quantità di calore).
In questi settori, è molto difficile sostituire i combustibili fossili (come il carbone o il gas naturale) con energia rinnovabile, perché i processi richiedono molta energia e alte temperature che non possono essere facilmente ottenute con fonti rinnovabili tradizionali.
Qui l’idrogeno entra in gioco come alternativa per alimentare questi settori in modo più sostenibile.
Ma perché sia davvero sostenibile, come abbiamo visto, l’idrogeno deve essere prodotto attraverso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Al momento, però, il costo per la produzione di idrogeno verde è assai maggiore rispetto a quello dell’idrogeno grigio.
Idrogeno verde, una questione di costi
Oggi il costo dell’idrogeno verde varia tra 3,74 e 11,70 dollari al chilo, con una grande differenza dovuta al costo dell’energia rinnovabile necessaria per produrlo. Al contrario, l’idrogeno grigio, ottenuto da fonti fossili senza recupero della CO2, costa tra 1,11 e 2,35 dollari al chilo, risultando circa il 30% più economico.
Secondo BloombergNEF, tra 25 anni l’idrogeno verde avrà un costo compreso tra 1,60 e 5,09 dollari al chilo, ancora molto più alto dell’idrogeno grigio, che probabilmente rimarrà stabile. Le previsioni negative sul calo dei costi dell’idrogeno verde dipendono da quattro fattori:
- Costi più alti degli elettrolizzatori
- Mancanza di economie di scala
- Difficoltà per alcune industrie di adattarsi
- Dipendenza da incentivi governativi
L’idrogeno bianco
E poi c’è la possibilità di trovare l’idrogeno in natura, pronto all’uso. Il cosiddetto idrogeno bianco.
Guarda l’approfondimento di Rapporto Mondo sull’idrogeno bianco con l’intervista a Chiara Boschi, prima ricercatrice dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa.
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