Immigrati, giustizia, riforme, Salvini: buone vacanze premier Meloni

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Aveva augurato a “chi può farlo” buone vacanze Giorgia Meloni, ma la premier è impegnata sul fronte immigrati, giustizia, riforme e tasse


Vacanze lunghe per la premier Meloni. «Riposiamoci, chi può farlo – ha auspicato negli auguri social della vigilia – che il 2025 sarà un altro anno impegnativo per garantire al Paese la crescita e il ruolo che ci spettano».
Le scarne informazioni da palazzo Chigi parlano di una sua assenza fino al 6 gennaio. Vero? Falso? Dove? Con chi? Notizie riservate tutelate da una giusta privacy. Non possiamo però esimerci dal notare che la lista dei compiti a casa di queste vacanze è lunga e insidiosa: dall’immigrazione alla giustizia, dalla riforme istituzionali al caro vita passando dai rapporti con la sua maggioranza. Qualcosa di più ne sapremo il 9 gennaio, quando è prevista la tradizionale conferenza stampa di fine anno, per il secondo anno di fila rinviata ad anno nuovo iniziato.
Dichiarazioni e impegni istituzionali lasciano pensare che il suo primo obiettivo si chiami “Albania”, e cioè il controllo dell’immigrazione irregolare. Che poi lei e i suoi, sbagliando, confondono con la sicurezza nella nostre città, perseverando nell’equazione errata + immigrazione = + insicurezza. Solo la propaganda può intrecciare le due cose fino a definire l’una conseguenza dell’altra.

IL NODO IMMIGRAZIONE

Il penultimo atto collegiale, a livello di ministri, prima delle vacanze è servito proprio a fare il punto sui centri albanesi di Gjader e Schengjin che, inaugurati il 14 ottobre, hanno finora ospitato 18 immigrati, ma solo per poche ore. La premier sta rilanciando per almeno tre motivi. Il primo: dall’ultimo vertice europeo (19-20 dicembre) si aspettava risultati più concreti. Che invece – o forse come al solito – non sono arrivati. Il 20 mattina Meloni ha presieduto una riunione informale di undici Paesi a cui era presente Ursula von der Leyen.
L’opzione di Bruxelles restano le «soluzioni alternative, per esempio con hub in Paesi terzi» che però dovranno essere valutate da una serie di organismi internazionali a cominciare da Unhcr, Organizzazione internazionali dei migranti, Croce rossa, e dopo una serie di pareri legali.

I motivi di rilancio

Il primo dei quali è la Corte di giustizia Ue che ha sollevato questioni sul concetto di “Paese sicuro” dove rimpatriare rafforzando decisioni già prese dai nostri tribunali dell’immigrazione per vietare le “procedure di espulsione accelerata” previste negli hub albanesi.
È chiaro che la Ue, che ha promesso anche nuove regole comunitarie per le espulsioni, non dirà una parola certa prima della primavera. Troppo tardi per la premier. Per quello che è il secondo motivo del rilancio: la Corte dei conti. La magistratura contabile sta già esaminando denunce per sospetto danno erariale, visto che i centri albanesi costano circa 800 milioni in quattro anni e comunque tutte le spese sono state per decreto (dl flussi) coperte dal segreto di stato. Terzo motivo di rilancio: la premier ha promesso e giurato davanti alla platea di Atrjeu che «questi centri funzioneranno perché io vigilerò, perché così sarà cascasse il mondo».
L’hanno anche convinta che una sentenza della Cassazione (20 dicembre) sarà di aiuto al governo, visto che ha ribadito che «ciascun governo è autonomo nello stilare la lista dei Paesi sicuri». Ma non è mai stato questo il punto controverso, che invece riguarda l’applicabilità dopo aver valutato ogni singolo caso. Per chiarezza: non è la Tunisia il problema, ma il singolo cittadino tunisino in fuga da quel Paese per specifici motivi.
Così come l’hanno convinta che aver coinvolto di nuovo la Corte d’appello nella valutazione delle domande d’asilo renderà più omogenea la risposta dei giudici. Quasi a sottintendere un pregiudizio ideologico nei tribunali di primo grado.

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LA BATTAGLIA SULLA GIUSTIZIA

Una situazione esplosiva che porta dritti a un altro dossier del più complesso file “compiti a casa”: la giustizia. I magistrati, almeno in parte, sono il nemico giurato di questa maggioranza. L’esito di alcuni processi – il proscioglimento di Renzi&co nell’udienza preliminare Open e l’assoluzione di Salvini nel processo Open arms «perché il fatto non costituisce reato» – hanno armato le truppe di tutta la maggioranza – e non solo – motivata più che mai ad approvare la riforma costituzionale della separazione delle carriere tra giudici e pm.
Un altro abbaglio, se è lecito dire: proprio queste due inchieste dimostrano che il sistema ha in sé gli anticorpi per difendersi da errori – in questo caso della pubblica accusa – rispetto alla quale sorge il dubbio che ci sia talvolta un eccesso di protagonismo anche politico. Non c’è dubbio che la scena politica nel centrosinistra sarebbe stata diversa se Italia viva non fosse stata gambizzata dall’inchiesta Open a due settimane dalla sua nascita.
«Il 2025 sarà l’anno delle riforme» ha promesso Meloni che, come tutti i coach, deve sempre alzare l’asticella motivazionale degli obiettivi per la sua squadra. La magistratura, però, non ci sta: il presidente dell’Anm, Santalucia, ha lasciato la guida del sindacato delle toghe che si stanno compattando al grido “giù le mani dalla giustizia”. Il problema sono sempre i tempi della giustizia, non le inchieste. Non è mai un buon indizio quando uno dei tre poteri dello Stato si sente insidiato nella sua autonomia e si chiude a testuggine per proteggersi.

L’ASSEDIO DELLA LEGA E IL DOSSIER ECONOMICO

Un altro file nel dossier “compiti a casa” si chiama Matteo Salvini e Lega. Respinto il primo attacco del leader leghista, che vorrebbe tornare al Viminale convinto che solo il tema sicurezza-immigrazione gli restituirebbe un po’ del consenso perduto, Meloni sa che dovrà respingere a breve altre due questioni delicatissime per la Lega: Salvini ha perso la sua arma più “forte” degli ultimi mesi che è stato il vittimismo giudiziario, in primavera dovrà affrontare il congresso del partito (in Lombardia il suo candidato ha perso) e poi ci sarà il nodo Veneto, Regione che Fratelli d’Italia vuole far sua.
Ultimo qui, ma primo in ordine di importanza sebbene rifiutato dalla maggioranza, il dossier economico: il caro vita, gli stipendi bassi, l’aumento delle tasse e dell’energia (cresceranno le bollette così come i pedaggi e altre tariffe), la produzione industriale che da ventuno mesi è in calo costante. Tra oggi e domani il Senato licenzia definitivamente la legge di Bilancio. Che non risponde a nessuna di queste domande.
Quindi, sì: buone vacanze, presidente Meloni.


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