Il capo dell’intelligence dell’Iraq, Hamid al Shatri, si è recato in missione a Damasco per incontrare la leadership siriana salita al potere a seguito della caduta del regime di Bashar al Assad. La visita, effettuata ieri, giovedì 26 dicembre, su ordine del primo ministro iracheno Mohammed Shia’ al Sudani, rientra nel quadro degli incontri internazionali organizzati da Ahmed al Sharaa (noto come Abu Muhammad al Jolani), capo del Comando generale della nuova amministrazione siriana e leader del gruppo salafita Hayat Tahrir al Sham (Hts), che nelle scorse settimane ha guidato l’offensiva contro Assad. Il viaggio di Al Shatri in Siria testimonia le preoccupazioni del governo iracheno per le potenziali ripercussioni sulla sicurezza nazionale, alla luce del rischio di infiltrazioni terroristiche dal confine, su tutte quelle rappresentate dallo Stato islamico (Is), le cui cellule sono ancora oggi presenti in varie zone territorio siriano. Non a caso, in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva “Al Hadath”, Al Sudani ha spiegato che in occasione della visita di Al Shatri a Damasco la nuova leadership della Siria “è stata informata del desiderio di Baghdad di promuovere un coordinamento nel controllo delle frontiere comuni”.
Esprimendo il timore per le possibili ricadute dell’instabilità in Siria sull’Iraq, Al Sudani ha ricordato come lo Stato islamico sia riuscito a sfruttare il conflitto siriano per prendere il controllo nel 2014 di circa un terzo del territorio iracheno. “Qualsiasi sconvolgimento nelle carceri siriane ci costringerebbe ad affrontare il terrorismo”, ha osservato il primo ministro dell’Iraq, sottolineando che il rilascio non organizzato dei detenuti dopo la caduta del regime potrebbe consentire ai membri dell’Is di riorganizzarsi e infiltrarsi poi in Iraq. Al Sudani ha quindi ribadito, durante l’intervista ad “Al Hadath”, la posizione di Baghdad sulla questione securitaria dei confini, con l’impegno di impedire che armi e miliziani possano entrare nel Paese attraverso la Siria. Proprio in merito alle armi siriane, il primo ministro iracheno ha evidenziato che negli ultimi anni l’Is ne ha ottenuto ingenti quantità, nel quadro dell’estensione del conflitto siriano tra il regime di Assad e le fazioni dell’opposizione. Al Sudani è comunque stato chiaro sulla volontà di rispettare l’integrità e la stabilità della Siria, senza alcuna ingerenza. “Il nostro governo e le forze politiche sono uniti nella decisione di non intervenire. Non interferiremo negli affari interni della Siria, né contribuiremo a comprometterne la sicurezza”, ha spiegato il premier di Baghdad, aggiungendo di attendere “con ansia gli sviluppi del processo politico siriano”.
Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa “Ina”, citando un fonte di alto livello informata sulla visita del capo dell’intelligence irachena Hamid al Shatri, “la nuova amministrazione siriana ha espresso il suo sostegno alle richieste e alle preoccupazioni dell’Iraq in merito ai dossier discussi”. L’incontro a Damasco tra Al Shatri e Al Sharaa (Al Jolani) ha visto la presenza, tra gli altri, del nuovo capo dei servizi segreti siriani, Anas Khattab, e del ministro degli Esteri del governo transitorio, Asaad al Shaibani. Dopo aver preso il controllo di vaste aree in Iraq e Siria nel 2014, lo Stato islamico ha subito nel corso dei successivi anni ingenti sconfitte, fino alla perdita nel 2019 di tutte le più importanti aree conquistate nei due Paesi. Sebbene le capacità militari dell’Is siano state ridotte, l’organizzazione terroristica continua a rappresentare una minaccia, operando a bassa intensità sia Iraq che in Siria. Ad oggi le attività dell’Is sono meno frequenti nei centri urbani e sono limitate prevalentemente alle zone rurali, in cui sono ancora basate delle cellule.
Pochi giorni dopo la caduta di Assad, avvenuta lo scorso 8 dicembre, Mazloum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane (Sdf), gruppo di milizie a maggioranza curda basate nel nord-est della Siria e sostenute dagli Stati Uniti, ha messo in guardia dall’aumento dell’attività dell’Is nei deserti siriani. Abdi ha evidenziato il rischio di potenziali attacchi a strutture critiche, come il campo profughi di Al Hol e la prigione di Ghuwayran, sollecitando “un’azione immediata per contenere la minaccia”. Secondo quanto affermato recentemente da Mohsen Rezaei, membro del Consiglio del discernimento dell’Iran, l’Iraq rischia nei prossimi mesi un potenziale attacco di 11 mila miliziani dello Stato islamico (Is) addestrati in Siria. Il funzionario iraniano ha affermato che questi miliziani potrebbero essere intenzionati a prendere di mira in particolare la città di Mosul, dopo essere stati “addestrati negli ultimi quattro anni in un campo di addestramento statunitense nel nord della Siria”.
Il dossier legato al terrorismo in Iraq è strettamente legato alla missione della Coalizione internazionale contro lo Stato islamico, guidata dagli Stati Uniti. Quest’anno Baghdad e Washington hanno avviato un ciclo di riunioni, in termini di comitato tecnico-militare congiunto, per valutare l’attuale livello di minaccia dell’Is e la graduale fine della missione della Coalizione, ritenuta ormai dal governo iracheno “una fonte di stabilità” sul territorio. Nei mesi scorsi, i due Paesi hanno trovato un accordo per il ritiro delle truppe statunitensi dal territorio entro settembre 2025. Secondo i media iracheni, per via delle conseguenze che potrebbero derivare dalla potenziale instabilità nella Siria post-Assad, questa scadenza potrebbe tuttavia essere prorogata a data da destinarsi. Recentemente, hanno visitato l’Iraq il comandante del Comando centrale statunitense (Centcom), generale Michael Kurilla, e il segretario di Stato uscente Usa, Antony Blinken. Entrambi hanno riaffermato l’impegno di Washington a sostegno la stabilità dell’Iraq, sottolineando il continuo supporto per prevenire la rinascita dell’Is e proteggere la sovranità del Paese riflettendo una strategia più ampia per mantenere partnership di sicurezza, pur riducendo gradualmente la presenza delle truppe.
In attesa di ulteriori sviluppi nel dialogo tra Baghdad e Washington, continuano a restare in vigore le massicce misure di sicurezza stabilite dall’Iraq nella zona di confine con la Siria, che si estende per circa 600 chilometri. Nei giorni dell’offensiva delle fazioni armate siriane di opposizione contro il regime di Assad, il portavoce dell’esercito iracheno, Yahya Rasool, aveva addirittura minacciato un intervento militare in Siria per scongiurare ripercussioni sul Paese. “Se pensano di avvicinarsi all’Iraq (i gruppi armati), li prenderemo di mira, anche se sono all’interno della Siria”, aveva detto Rasool, citato dal sito d’informazione “Al Araby Al Jadeed”. Ad oggi, le risorse assegnate alla sicurezza del confine includono il Comando della forza di frontiera, l’esercito iracheno e le Forze di mobilitazione popolare (Fmp), forza di sicurezza statale che comprende tra le sue unità anche varie milizie sostenute dall’Iran. Tra le misure adottate dal governo di Baghdad figurano la costruzione di trincee, filo spinato, argini e un muro di cemento, con avamposti posizionati ogni chilometro per il monitoraggio dell’area. Inoltre, sono presenti telecamere di sorveglianza, sensori termici e droni per controllare attivamente la zona. Secondo quanto affermato dal comandante della forza di frontiera irachena, generale Mohammed Abdul Wahab Sukar, “la protezione dei confini non ha precedenti nella storia dello Stato iracheno”.
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