L’elemosiniere pontificio a Kharkiv bombardata durante il Natale. «La gente è stanca. Il Papa mi ha detto: vai nel posto giusto». Consegnate un’ambulanza e sei ecografi donati da Francesco
Di: Giacomo Gambassi – Avvenire
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«Ne sono convinto: è l’ultimo Natale di guerra per l’Ucraina». Il cardinale Konrad Krajewski ha appena finito di celebrare la Messa della notte a Kharkiv. L’elemosiniere pontificio è arrivato nella seconda città del Paese, a cinquanta chilometri dalla frontiera russa, per «aprire la porta della speranza anche qui, mentre papa Francesco apre quella del Giubileo nella Basilica di San Pietro», racconta ad Avvenire. È la sua nona missione nel Paese sotto le bombe. «E credo che il prossimo anno ci rivedremo in Ucraina senza più il rumore delle armi e dei missili: personalmente ne sono persuaso», ribadisce il prefetto del Dicastero della carità. Nella notte lascia Kharkiv e, qualche ora dopo, la metropoli viene investita da un massiccio bombardamento: 12 i missili che segnano il Natale, di cui uno caduto vicino alla Cattedrale greco-cattolica.
Il cardinale è partito da Roma con la “super” ambulanza per l’Ucraina «donata dal Papa e benedetta dallo stesso Francesco», dice Krajewski. E l’ha guidata da solo per oltre 2mila chilometri attraversando l’Europa. Un «ospedale mobile», come lo definisce, dove è possibile anche eseguire interventi chirurgici, che ha consegnato a Leopoli alla Caritas diocesana insieme con sei ecografi che «andranno ad alcuni ospedali danneggiati». Poi la sosta a Kiev. E quindi la tappa a sorpresa a Kharkiv dove ha celebrato la Messa della notte di Natale nella Cattedrale latina con il nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, i vescovi latino e greco-cattolico di Kharkiv, Pavlo Honcharuk e Vasyl Tuchapets. Presenti, tra gli altri, l’arcivescovo Mytrofan della Chiesa ortodossa dell’Ucraina, diversi rappresentanti delle comunità protestanti e il sindaco di Kharkiv.
Eminenza, perché il Natale in una città che è sotto attacco costante di Mosca?
Sono qui in Ucraina per volontà del Papa. Quando sono arrivato a Kiev e ho saputo che il nunzio sarebbe venuto a Kharkiv, ho scelto di unirmi a lui per essere in mezzo alla gente che più vive la brutalità dell’aggressione russa. È giusto stare fra quanti restano nonostante i bombardamenti, ma anche fra chi ha avuto la forza di tornare. Abbiamo cenato insieme e poi celebrato l’Eucaristia. Quando mi chiedono perché sono qui, rispondo perché ci spinge la logica del Vangelo: essere accanto a chi soffre. E annunciare Cristo che ci dona la pace: siamo noi a non saperla accogliere o amministrare.
Ha portato l’abbraccio del Papa…
Il Papa ha nel cuore l’Ucraina e il suo popolo. L’ho sentito al telefono perché voleva avere notizie del viaggio e gli ho detto che sarei andato a Kharkiv. Mi ha risposto: “Vai nel posto giusto”. Così al termine della liturgia ho fatto distribuire un’immaginetta con gli auguri del Pontefice. Qui i cattolici sono poche centinaia: non possono sentirsi soli. Ma vale per tutta la gente. A Kiev ho visitato la chiesa di San Nicola danneggiata nell’ultimo attacco russo della capitale la scorsa settimana e ho visto i palazzi bombardati. Ogni giorno muoiono mille soldati: alla vigilia di Natale, siamo arrivati a 1.800 in 24 ore. Va fermata questa follia. Dobbiamo gridare al mondo: “Basta”. Il Papa ci sta mettendo tutto il suo impegno. Penso non solo ai suoi costanti appelli ma anche al modo con cui contribuisce alla liberazione dei prigionieri in Russia: sono moltissime le lettere che gli arrivano.
Come ha trovato la popolazione?
Molto stanca. E sempre più povera. A Fastiv, città a ottanta chilometri da Kiev, ho inaugurato una mensa per i poveri con i padri domenicani. Ormai le persone non hanno più il necessario per sopravvivere. Eppure non hanno perso la fiducia nel futuro e non c’è odio. Poi vedono spiragli di cambiamento, a partire dagli Stati Uniti, e attendono la fine del conflitto al più resto.
In Occidente si parla solo di armi da inviare.
Sono i bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani a portare sulle spalle il fardello della guerra. A loro guarda il Papa, la Chiesa, la Santa Sede. Abbiamo inviato già oltre 250 Tir di aiuti umanitari dalla chiesa di Santa Sofia a Roma, frutto della generosità dell’Italia e dell’Europa e richiamo alla condivisione delle sorti della famiglia umana. Generi di prima necessità che giungono anche nei villaggi lungo il fronte. C’è chi pensa alle persone e c’è chi, invece, vuole guadagnare con la guerra. Ogni tanto mi chiedo: perché questo conflitto sta durando così a lungo? Perché tanti, troppi fanno affari quando si combatte. E poi si discute molto di trattative, ma ci si limita alle parole. Invece il Papa, con la Chiesa, agisce in maniera concreta.
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