In origine di proprietà della famiglia che commissionò a Raffaello lo «Sposalizio della Vergine» oggi custodito alla Pinacoteca di Brera, poi acquisito dalla Cassa di Risparmio, Palazzo Albizzini è fra le più belle dimore del tardo Quattrocento conservate a Città di Castello (Pg) ed è sede della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, scelto dallo stesso artista nel 1978, anno della costituzione dell’ente, che nel Palazzo aveva individuato il migliore luogo per accogliere una selezione delle sue opere più rappresentative.
La Fondazione conserva infatti i lavori che nel loro insieme documentano tutte le fasi creative di Burri, dagli esordi e dalla svolta astratta dell’artista nel 1948-49, all’inizio degli anni Novanta. Sono custoditi esempi di ogni serie da lui realizzata: «Catrami», «Bianchi» «Muffe», «Gobbi», «Sacchi», «Legni», «Ferri», «Combustioni», «Plastiche» «Cretti» e i «Cellotex», circa 150 opere, alcune rare, come i bozzetti di scenografie teatrali o il progetto per il Teatro Continuo del Parco Sempione a Milano, ordinate in un allestimento pensato in origine dallo stesso artista. Aperto al pubblico nel dicembre del 1981, il museo rappresenta da sempre per la città natale di Burri un punto di riferimento nodale nella ricerca sulle arti visive e plastiche contemporanee in ambito nazionale e internazionale. Di notevole importanza l’archivio (in fase di digitalizzazione), che documenta l’esperienza artistica e biografica di Burri.
Classe 1915, laureato in medicina, Alberto Burri affronta nella sua vita esperienze importanti, rielaborate attraverso il linguaggio della pittura, metafora di un’anima «graffiata». Ufficiale medico, fatto prigioniero dagli inglesi in Tunisia nel 1943, è inviato in un campo a Hereford in Texas, dove comincia a dipingere. Tornato in Italia nel 1946 e stabilitosi a Roma, inizia a esporre la sua pittura astratta dalla forte consistenza materica. Sul binomio materia pittura è stato rivoluzionario, agendo sulla superficie pittorica quasi in modo corporale, destabilizzando la visione e percezione dell’arte che fino a quel momento della storia intendeva la materia esclusivamente come un mezzo subordinato al soggetto. Burri ha invece trattato per la prima volta la materia, in modo anche brutale e crudele, come pura rappresentazione di sé stessa, rendendola intensa, bellissima e spirituale. Emerge con grande potenza visiva nel percorso della Fondazione, che evidenzia la capacità dell’artista di raccontare attraverso la materia (e i materiali) quel nuovo e controverso rapporto fra l’uomo e un mondo in accelerato cambiamento. Il percorso documenta inoltre l’apprezzamento che Burri ebbe nel mondo. Innumerevoli città americane ed europee hanno esposto le sue opere costantemente fino alla sua morte, avvenuta nel 1995, e lo hanno reso internazionalmente noto al grande pubblico.
Nel 1990 è stata inaugurata l’altra sede espositiva della Fondazione, quella degli Ex Seccatoi del Tabacco, con 128 opere realizzate fra il 1978 e il 1993. In questo complesso ex industriale abitano i maggiori cicli pittorici realizzati da Burri in questo lasso di tempo, le sue opere più imponenti, dalle dimensioni monumentali, e cinque grandi sculture di cui tre collocate nel giardino antistante la sede museale. Protagonisti nel percorso degli Ex Seccatoi del Tabacco i «Cellotex», realizzati in particolare nell’ultima fase della sua ricerca, che mettono in luce l’indagine sulla bidimensionalità e il rapporto fra forma e superficie.
Nel 2016, agli Ex Seccatoi del Tabacco, sono stati inoltre inaugurati gli spazi del piano seminterrato con una vasta ricognizione relativa alle più significative tendenze dell’arte contemporanea del secondo dopoguerra con la mostra «Alberto Burri: lo Spazio di Materia – tra Europa e U.S.A.». Dall’anno successivo vi trova spazio un percorso permanente con l’intero corpus dell’Opera Grafica di Burri, un’ampia sezione documentaria dedicata alla sua vita e alla sua opera, un’area per la consultazione digitale delle più note pubblicazioni sull’artista e due sale per le proiezioni di film documentari dedicati al suo lavoro. Da ricordare, infine, l’impegno della Fondazione nell’organizzare convegni, giornate di studio e mostre temporanee, prestiti e collaborazioni con enti nazionali e internazionali. Si è conclusa lo scorso 24 novembre allo Spazio Vedova di Venezia una mostra nella quale le fotografie di Aurelio Amendola raccontano l’opera di Burri, Vedova e Nitsch. A Ferrara invece, nel nuovo Spazio Antonioni, l’opera dell’artista insieme a quella di altri grandi pittori italiani è posta a confronto con alcune sequenze dei film più celebri del regista ferrarese.
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