Cecilia Sala, il post sgradito al regime e l’ombra del ricatto all’Italia dopo il fermo di un iraniano: cosa è successo davvero

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La protesta formale è di domenica scorsa: Teheran lamenta l’arresto di due cittadini iraniani negli Stati Uniti e in Italia, in particolare all’aeroporto di Malpensa il 16 dicembre su ordine americano. Sono accusati di avere messo a disposizione della tecnologia statunitense per la fabbricazione di droni ai Guardiani della Rivoluzione. Le date sono importanti. Uno dei due iraniani è stato dunque fermato nello scalo lombardo, su richiesta degli Usa, lunedì 16 dicembre. Trascorrono tre giorni e giovedì 19 dicembre le forze di sicurezza iraniane entrano nell’hotel dove Cecilia Sala deve trascorrere la sua ultima notte prima di rientrare in Italia. La prendono e la portano nel carcere di Evin, in isolamento. Ufficialmente nessuno unisce i due eventi, ma appare difficile che si tratti di una casualità.

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Questo collegamento e il coinvolgimento anche di un terzo Paese, gli Usa, rendono ancora più accidentata la trattativa per riportare in Italia Cecilia Sala. Per questo sia il compagno, Daniele Raineri (giornalista de Il Post, anch’egli esperto di esteri) sia la Farnesina richiamano la necessità di mantenere un alto grado di discrezione in questa storia. C’è un confronto in corso quanto mai delicato tra le varie diplomazie. Allo stesso tempo è totalmente senza senso affermare che la giornalista italiana sia stata imprudente o avventata. Al contrario. Ha chiesto e ottenuto per tempo il visto giornalistico per entrare in Iran, ha mantenuto un dialogo costante con le autorità locali a cui comunicava, giorno per giorno, i temi che avrebbe affrontato nel suo podcast. Non ha nascosto nulla, tanto che seguendo il filo dei suoi profili social è possibile ricostruire tutti gli spostamenti e conoscere nomi e storie delle persone che ha incontrato e intervistato nella sua permanenza a Teheran. C’è però un altro nodo: al contrario di quanto si pensi, l’Iran non è un monolite, vi sono centri di potere e sensibilità diverse e questo rende tutto più insidioso. Nella storia dei due arresti – in Usa e in Italia – ritorna il ruolo centrale dei Guardiani della rivoluzione, dei pasdaran, a cui sarebbe stata trasferita la tecnologia dei droni. Proprio da qui potrebbe essere partita la decisione di arrestare Cecilia Sala poche ore prima del suo rientro in Italia. Non è stata scelta un’italiana qualsiasi presente in Iran, ma una giornalista molto popolare nel nostro Paese, un volto famoso, in modo da avere una forza maggiore nella trattativa. Conferma Mario Calabresi, Ceo di Chora (la società che produce podcast, compreso quello di Cecilia Sala): «Nessuno sa perché sia in carcere, fino ad oggi non è stata formalizzata l’accusa. Da quando è stata arrestata è in isolamento e lì ha trascorso il Natale. Parliamo di una professionista che sapeva ciò che faceva». L’accordo per ottenere il visto prevedeva di registrare una puntata del podcast ogni giorno, di comunicare l’elenco di chi avrebbe intervistato: dunque l’arresto – almeno stando a ciò che si sa oggi – difficilmente può essere messo in relazione con una puntata del podcast non gradita dal regime iraniano. Appare più probabile che Cecilia Sala abbia avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, proprio quando al regime serviva un’italiana da usare – questa è una semplificazione – come merce di scambio. Osserva Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio: «Ho avuto modo di conoscere Cecilia Sala, ne apprezzo la professionalità, ha partecipato ai nostri corsi di formazione, le ho consegnato recentemente il Premio Graldi. Ha raccontato con coraggio storie di popoli oppressi dove la libertà d’informazione è negata senza un motivo. Auspichiamo che la saggezza diplomatica della Farnesina riesca a riportare in Italia Cecilia, al fine di scongiurare conseguenze peggiori».

TRACCE

Nella cronologia delle foto e dei post pubblicati su Instagram l’ultima traccia è del 18 dicembre, il giorno prima dell’arresto. Cecilia Sala condivide una immagine di Zeinab Musavim «è la stand up comedian più famosa dell’Iran». Aggiunge: «Ho incontrato una persona a cui ho voluto bene per anni da lontano. È stata arrestata per le parole pronunciate da una maschera, uno dei personaggi dei suoi sketch – da allora ha accumulato un po’ di battute divertenti sulla vita da detenuti. Ha riso dei giorni in cella in isolamento». Ventiquattr’ore dopo avere scritto questa breve nota su Instagram purtroppo Cecilia Sala ha provato sulla sua pelle cosa significhi essere rinchiusi in una cella di isolamento in Iran. Il processo di Zeinab Musavi è ancora in corso, il fatto che Cecilia Sala l’abbia incontrata e intervistata, in linea teorica, potrebbe essere un elemento che il regime potrebbe usare come pretesto contro di lei. Il 15 dicembre, invece, Cecilia Sala racconta dell’incontro con Hossein Kanaani, uno dei fondatori delle Guardie rivoluzionarie. Il 13 dicembre, infine, una foto e un testo che dimostrano l’amore che Cecilia Sala prova per la capitale iraniana. Vista dall’alto della città avvolta da una cappa cupa e didascalia: «Tehran, i even missed your smog». Teheran, mi è mancato perfino il tuo inquinamento.

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