Un libro importante De Donato editore. Saggi, testimonianze, cataloghi, edito elegantemente da Ronzani (2024), e curato con perizia da Francesco Giasi, direttore della Fondazione Gramsci. Importante perché conserva e dunque impreziosisce quello che fu il lavoro culturale, politico, sociale e ideologico della casa editrice De Donato: attraverso le varie testimonianze, una rassegna della grafica editoriale, le fotografie di Diego De Donato al lavoro e nel tempo libero, e soprattutto i cataloghi storici della casa editrice Leonardo da Vinci (1949-1965) e della De Donato editrice (1966-1983).
Le testimonianze raccolte in questo libro ci portano alla singolare esperienza di un editore di Bari, città che, come scrive Piero Di Siena, negli anni Sessanta e Settanta “divenne uno dei principali centri dell’attività editoriale in Italia, alla pari della Torino dell’Einaudi, della Milano di Mondadori e Feltrinelli”; e poi punto di riferimento e potremmo dire approdo sicuro e conciliante per gli intellettuali di sinistra spinti dal fermento politico del rinnovamento di quegli anni. Il Partito Comunista in Puglia viveva allora di nuova linfa grazie anche a una personalità come Alfredo Reichlin, che ne fu segretario regionale, molto attento al ripensamento della questione meridionale.
Egli comprese che bisognava avvicinare al partito – forte in particolar modo nelle campagne – una nuova leva di intellettuali attivi soprattutto nel capoluogo e legati alla emergente classe operaia. E così, scrive Luigi Masella, il Pci “apriva la strada all’ingresso di nuove forze intellettuali al partito pugliese”; erano in atto profondi cambiamenti e nuovi conflitti sociali ed entravano in scena nuovi attori: sezione universitaria, lega democratica degli studenti e la nascita dell’Istituto Gramsci pugliese trovarono un punto di convergenza nella casa editrice De Donato. La passione politica accomunava il gruppo di studiosi e militanti – provenienti non soltanto dall’ateneo barese – che si erano iscritti al Pci nel corso degli anni Sessanta: il loro impegno di studio, i loro legami accademici e scientifici, nazionali e internazionali, il forte sentimento di cambiamento li riunì in una koiné, una scuola poi appellata école barisienne, che costituì – come dice Piero Di Siena – la “spina dorsale dell’esperienza della De Donato”.
In tutto il libro si respira questa aria di rinnovamento; scorrono i nomi di Giorgio Zampa, che curò la letteratura straniera, soprattutto quella russa e tedesca fino al 1970, di Franco De Felice, Arcangelo Leone De Castris, Mario Santostasi, definito da Luciano Canfora “grande redattore e inventore di collane” che “mette a disposizione la acquisita perizia di facitore di libri e dirozzatore di prodotti acerbi” (e in effetti sotto di lui nascono collane interessantissime: accanto a Dissensi, Atti e Rapporti prendono vita, infatti, Ideologia e società e Movimento operaio: la prima dedicata al rinnovamento della cultura marxista, la seconda alle trasformazioni delle organizzazioni e delle lotte operaie e popolari).
Tanti gli animatori, Giuseppe Vacca, Biagio de Giovanni, Giovanni Berlinguer, Gian Enrico Rusconi, Salvatore Settis, Franco Cassano, Chiara Saraceno (che nel suo ricordo scrive di aver “contratto con Diego un debito di gratitudine” perché aveva aperto le porte a una giovane donna sconosciuta e che “trattava temi del tutto estranei al canone marxista”, e quindi “assunse generosamente e con lungimiranza un rischio che molti editori oggi non sarebbero disposti a cogliere”).
Interessante è conoscere la storia di Diego De Donato – il libro nasce in occasione della mostra documentaria “Visioni, passioni, legami. Diego De Donato editore” tenutasi a Bari dal 14 marzo al 7 aprile 2024. È stato un editore coraggioso, anticonformista e lungimirante; Felice Blasi ne ricostruisce riccamente il profilo: “Sul piano politico e dell’impegno civile, il percorso di De Donato fu parallelo alla sua attività editoriale. Si iscrisse al Pci nel 1956”. Rilevò la tipografia di Città di Castello, la Leonardo Da Vinci, in cui suo padre aveva investito dei soldi negli anni Quaranta pubblicando nel 1951 il libro fotografico fortunatissimo: Segreto Tibet di Fosco Maraini.
Non si fermò più e continuò con nuovi autori e progetti più ampi, trasformando definitivamente la Leonardo Da Vinci in De Donato nel 1970. La sua casa editrice, scrive Michele Ciliberto, era “schierata senza remore, sul terreno della storia da fare, del nuovo futuro da costruire, e si rivolgeva per questo alle nuove generazioni come vera e propria scelta strategica”, “un luogo di libertà, un luogo nel quale era possibile vivere e pensare in libertà”. “Si muoveva come un agile vascello corsaro, senza pregiudizi, fra onde imprevedibili e violente che alla fine l’avrebbero travolta. Avviene così, quando il tempo non viene afferrato e governato: può andare in altre direzioni, opposte a quelle che erano apparse all’orizzonte”.
E nel 1983 la De Donato finisce il suo tempo: la sua funzione era compiuta. Mano a mano che si leggono le testimonianze, si conoscono le motivazioni della sua fine. Non riguardano solo la casa editrice ma tutto ciò che essa rappresentava e che aveva contribuito a portare avanti. Quando Garin scrive: “Non si insisterà mai abbastanza sul significato e sul peso di una casa editrice: sulla sua funzione così nella ricerca scientifica come nell’azione politica” ci fa capire che di pari passo, come la De Donato, così anche il Pci si sfaldava.
Il libro ci guida in questa inevitabile e triste risoluzione, ci trasmette l’insoddisfazione, la rabbia, la frustrazione per cui coloro che hanno creduto nel Pci e nella lotta al rinnovamento e al progresso sociale si sono arenati senza una via di uscita, una via per ricominciare con altri impulsi combattivi. Ci inoltriamo nella lettura, ne assorbiamo il declino, il senso di sgretolamento e di irrimediabile caduta. La De Donato, sottolinea Piero Di Siena, da “luogo deputato a portare a compimento questa vera e propria svolta nella cultura politica del comunismo italiano”, inizia a sgretolarsi quando anche il Pci entra in crisi. E questo perché, ribadisce Ciliberto, aveva difficoltà a confrontarsi “con le novità del tempo nuovo”. Così come il Pci aveva difficoltà a comprendere il proprio tempo storico e vedeva la dissoluzione delle sue strategie politiche “che incidono nel destino della De Donato: simul stabunt, simul cadent”.
La De Donato “è rimasta come la voce di chi parla nel deserto”. Sono sorti nuovi linguaggi, nuove ideologie e il mercato editoriale si deve trasformare con l’imporsi dei nuovi media. Luigi Masella scrive: “Con essa si chiudeva una storia lunga, un pezzo di storia del Sessantotto e degli intellettuali comunisti, che avevano lanciato un progetto meridionale giacobino”. E la frase di Giuseppe Vacca riportata da Luciano Canfora ne fa una egregia sintesi: “Il comunismo è un capitolo nella storia della libertà”.
L’archivio della De Donato è custodito dalla Fondazione Gramsci a Roma: “Un binomio impresa cultura” lo definisce Sebastian Mattei, che comprende la corrispondenza, le schede di lettura, la raccolta fotografica, la Rassegna stampa dal 1970 al 1983. Con il libro curato da Francesco Giasi si aggiunge un tassello in più alla sua valorizzazione.
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