i giovani under 35 occupati calano di 2,3 mln in vent’anni

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L’Italia sta affrontando una crescente crisi demografica, con l’invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro attiva. Negli ultimi anni gli occupati under 35 sono diminuiti di 2,3 mln, un dato che per il nuovo rapporto CNEL “impone urgenti politiche di sviluppo e inclusione”.

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L’Italia si trova di fronte a una sfida che potrebbe compromettere la sua capacità di crescita economica e sostenibilità sociale: l’invecchiamento della popolazione e la conseguente diminuzione della forza lavoro attiva. In questo scenario, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) ha recentemente approvato un documento, “Demografia e forza lavoro”, redatto dal consigliere Alessandro Rosina, che mette in evidenza i gravi squilibri demografici in corso e le strategie necessarie per affrontarli.

Rosina non ha dubbi: la strada per garantire benessere e sviluppo all’Italia non può prescindere dal rafforzare l’attrattività e la valorizzazione del capitale umano. La qualità della formazione, l’efficienza dei servizi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, e la possibilità di conciliare il lavoro con la vita privata sono diventati obiettivi prioritari delle politiche di sviluppo. Solo così, sostiene Rosina, sarà possibile garantire un futuro solido per il Paese. Un futuro che, secondo il rapporto, oggi poggia su basi fragili, minacciate proprio dalla combinazione di una popolazione sempre più anziana e una forza lavoro sempre più ridotta.

L’Italia e il peso crescente degli anziani

Secondo il rapporto, l’Italia sta vivendo una transizione demografica che avrà effetti devastanti sull’economia, se non affrontata con politiche mirate. Da un lato cresce in modo esponenziale la popolazione anziana, con un incremento dei cittadini sopra i 65 anni, i cosiddetti “inattivi”. Dall’altro, la componente più giovane e attiva della popolazione è in costante diminuzione. Secondo il documento del CNEL, l’indice di dipendenza degli anziani, che misura il rapporto tra persone di età superiore ai 65 anni e la popolazione tra i 20 e i 64 anni, ha superato il 40% in Italia, un dato che è circa 14 punti percentuali sopra la media dell’Unione Europea. Questo significa che per ogni lavoratore, ci sono sempre più anziani da sostenere, con un impatto diretto sulla produttività e sulla sostenibilità del sistema di welfare.

Ma il problema non è solo l’aumento del numero degli anziani, quanto la riduzione della forza lavoro attiva. L’indice di dipendenza economica, che misura il numero di persone in pensione rispetto agli occupati tra i 20 e i 64 anni, ha superato il 60%, ben al di sopra della media europea. La causa di questa situazione risiede in una combinazione di fattori, tra cui la maggiore longevità della popolazione, ma soprattutto il calo della popolazione in età lavorativa, che da anni subisce un progressivo ridimensionamento.

La drammatica riduzione della fascia centrale della forza lavoro

Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda la fascia di età 35-49 anni, tradizionalmente quella al centro della vita lavorativa. La popolazione maschile di questa fascia è passata da oltre 7 milioni nel 2014 a meno di 5,7 milioni nel 2024, con una continua e inesorabile diminuzione prevista nei prossimi decenni. Sebbene il tasso di occupazione di questa fascia di età sia ancora molto alto, attorno all’85%, la riduzione di questa componente demografica è un colpo durissimo per l’economia italiana. Gli uomini tra i 35 e i 49 anni sono, infatti, il motore della crescita economica del paese, poiché contribuiscono significativamente al PIL e alle entrate fiscali. Se questa fascia continua a ridursi, l’Italia rischia di trovarsi in una condizione di svantaggio competitivo rispetto agli altri paesi europei.

L’impasse dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro

Altro dato allarmante riguarda il calo degli occupati giovani e femminili. Se guardiamo agli ultimi vent’anni, vediamo un forte declino del numero di giovani tra i 25 e i 34 anni. Questa fascia di popolazione è passata da oltre 8,5 milioni nel 2004 a circa 6,2 milioni nel 2024. In parallelo, gli occupati tra i 25 e i 34 anni sono scesi da 6 milioni a circa 4,2 milioni, con un tasso di occupazione che è rimasto ben al di sotto della media europea. In particolare, nella fascia 15-24 anni, il tasso di occupazione è sceso dal 27% del 2004 al 20% del 2023, mentre nella fascia 25-34 è diminuito dal 70% al 68%.

A peggiorare la situazione c’è il dato preoccupante relativo all’occupazione femminile. Le donne italiane, in particolare quelle nella fascia 35-49 anni, sono quelle che più di altre soffrono la scarsità di opportunità nel mercato del lavoro. Con un tasso di occupazione femminile in questa fascia che si attesta solo al 65%, l’Italia è ben lontana dai livelli medi europei, che sono circa 13 punti percentuali più alti. Se non si interviene, si rischia di non riuscire a riequilibrare la forza lavoro, che vedrà progressivamente crescere la componente anziana a discapito di quella giovane e femminile.

Le soluzioni per contrastare il declino: una simulazione ottimistica

Nel suo rapporto, il CNEL propone anche una simulazione su come l’Italia possa contrastare la riduzione della forza lavoro nei prossimi decenni, se si adottano politiche di sviluppo mirate. L’ipotesi di base è che, nei prossimi 15 anni, l’Italia possa allinearsi alle previsioni più favorevoli relative alla natalità e ai flussi migratori. Se il numero medio di figli per donna risalisse verso i 1,5 figli (livello medio europeo) e il saldo migratorio con l’estero si stabilizzasse a 240mila unità, e se l’occupazione giovanile e quella femminile adulta raggiungessero i livelli medi europei, si potrebbero recuperare circa 1,3 milioni di occupati under 35 e mantenere costante l’occupazione femminile nella fascia 35-54 anni, che altrimenti sarebbe destinata a diminuire di circa un milione di unità.

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La necessità di un cambiamento radicale nella cultura del lavoro

Il rapporto del CNEL sottolinea che, per ottenere questi risultati, non bastano politiche pubbliche più incisive, ma è necessario un cambiamento radicale nella cultura del lavoro. Le aziende italiane devono superare il modello tradizionale che ha al centro la figura dell’uomo adulto, e iniziare a valorizzare tutte le componenti della forza lavoro, in particolare i giovani, le donne e le persone immigrate. Ciò significa favorire una maggiore inclusione e valorizzazione di queste categorie, non solo per un motivo etico, ma anche per una questione di efficienza economica. Inoltre, è fondamentale promuovere politiche che consentano una lunga vita lavorativa, attraverso misure che incentivino la partecipazione degli over 50 al mercato del lavoro.

Paradossalmente, l’Italia ha oggi maggiori margini di crescita rispetto agli altri paesi europei proprio perché ha sottoutilizzato queste categorie. Investire in queste aree, combinando politiche attive e l’uso delle nuove tecnologie, potrebbe essere la chiave per sostenere l’economia italiana nei decenni a venire.





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