Johannesburg, troppa politica – ToscanaOggi

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Delusione delle ong e delle organizzazioni ambientaliste, contrapposizioni tra i Paesi, accordi a metà o nessun passo in avanti su acqua, energia, biodiversità, sostanze chimiche, clima, protezione della salute, lottà alla povertà. Si è concluso tra le polemiche il vertice di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile. Ma forse qualche aspetto positivo c’è stato. Abbiamo chiesto un bilancio del summit a Matteo Mascia, della Fondazione Lanza di Padova, che ha partecipato ai lavori.

Il vertice è stato davvero un fallimento?

“Per quanto riguarda la drammatica situazione sociale, l’aumento della povertà, dello squilibrio Nord/Sud e le crescenti emergenze ambientali, il vertice è stato un fallimento, perché non ha dato risposte e risorse per affrontare in tempi rapidi ed efficacemente questi problemi. Però mi chiedo se ci si poteva aspettare di più. Forse no. All’ultimo incontro preparatorio di giugno, ad esempio, non si era trovato un accordo quasi su niente, tanto da arrivare a Johannesburg con un piano d’azione tutto da discutere. Alla fine l’accordo c’è stato, non è significativo, però almeno ci consente di lavorare in futuro”.

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C’è qualche luce tra le tante ombre?

“Una luce tra le tante ombre di questo vertice è l’aver bloccato il tentativo di alcuni Paesi, tra cui gli Usa, di proporre un’approccio ai problemi globali in un’ottica unilaterale, accordandosi tra Stati e tra privati. Aver trovato un accordo a livello internazionale, su alcuni punti significativo su altri deludente, vuol dire che il sistema delle relazioni internazionali, per quanto debole, ha tenuto duro rispetto all’attacco forte degli Usa, che si rifiutano di ratificare il Protocollo di Kyoto la Corte penale internazionale. All’interno di questo processo, essere riusciti a portare a casa un accordo, è già un fatto importante”.

La politica troppo unilaterale degli Usa comincia quindi a vacillare?

“Indubbiamente gli Usa hanno vinto, però nel medio e lungo termine hanno perso. L’opinione pubblica internazionale s’è resa conto che l’accordo non c’è stato perché gli Usa non hanno voluto. E questo lascerà un segno nel tempo, perché sarà sempre più evidente chi è che porta avanti un certo tipo di politica non in grado di proteggere il pianeta. In questo senso gli Usa hanno vinto una battaglia ma rischiano di perdere la guerra, che è soprattutto una guerra di immagine”.

C’è chi ha lamentato la presenza di troppi politici e pochi esperti…

“Sì, nelle delegazioni degli Stati che hanno negoziato l’accordo sono mancati gli esperti con una reale conoscenza dei problemi. Questo vuol dire che era un vertice politico, c’era una battaglia sotterranea mirata non tanto ad affrontare i problemi ma a dare una visione strategica per il futuro delle relazioni internazionali. Però persone molto competenti erano presenti all’Ubuntu village o in altri luoghi della conferenza, dove si sono svolti incontri di grande valore scientifico”.

A chi va quindi un punto a favore?

“All’Unione Europea, con la sua presidenza danese ha svolto un ruolo importante perché ha saputo tener ferma la sua posizione: in alcuni punti del documento finale ha spinto gli Usa ad accettare qualche compromesso. Un esempio concreto è l’energia, merce di scambio per quanto riguarda l’acqua. L’accordo di dimezzare entro il 2015 la popolazione senz’acqua potabile – che gli Usa non volevano – è stato accettato in cambio di nessun target sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Inoltre, a conclusione del summit, i Paesi europei hanno fatto una dichiarazione in cui rilanciavano l’impegno preciso ad avviare iniziative forti sulle energie rinnovabili. Già c’è l’adesione dei Paesi dell’Europa centrale e orientale, e altri, come Messico, Venezuela, Brasile, hanno aderito formalmente alla proposta Ue di impegnarsi concretamente per promuovere la ricerca e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Spero che questi impegni verranno portati avanti, anche perché all’Europa conviene da un punto di vista economico”.

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La ratifica del Protocollo di Kyoto da parte di Russia e Cina, e ora si parla anche dell’Australia, è solo una mossa politica o c’è una reale volontà di risolvere il problema del clima?

“Indubbiamente le ratifiche da parte della Russia e della Cina, ed eventualmente dell’Australia, consentirebbero di far entrare in vigore il Protocollo. Non so se è una mossa politica, ma anche qui l’Unione europea ha avuto un ruolo importante nel fare pressing su Russia e Cina. Certo, dovremo monitorare perché il Protocollo venga effettivamente applicato nei termini. In ogni caso siamo consapevoli che anche se l’accordo venisse applicato, siamo ben lontani dal poter far fronte all’emergenza del cambiamento climatico in maniera soddisfacente”.

In conclusione, quali novità concrete sui vari temi in discussione?

“Nulla di nuovo. C’è l’impegno a ridurre la perdita di biodiversità entro il 2010. Il piano d’azione decennale per la promozione di produzioni di consumo sostenibili è un obiettivo importante, ma bisogna vedere come si realizza e quali target saranno dati. E’ stata poi decisa, per il 2020, una riduzione significativa della produzione di prodotti chimici dannosi per l’ambiente e la salute. Anche questo è un punto di riferimento importante, purtroppo anche qui la Ue aveva una posizione precisa che non è stato possibile mantenere. Da sottolineare è il punto 3 del documento finale, nel quale c’è un riferimento specifico all’importanza dell’etica per lo sviluppo sostenibile e alla necessità di considerarla come elemento fondamentale nell’implementazione dell’Agenda 21 di Rio de Janeiro. Sono parole che possono avere un peso importante se, come società civile ed enti locali, sapremo renderle vive e anticipare o affiancare i governi nell’attuazione degli impegni presi qui a Johannesburg”.

Hanno ancora un senso questi vertici? O la formula andrebbe rivista?

“Hanno un senso perché richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica mettendo in luce l’impegno degli Stati. A Rio+5 nel ’97, ad esempio, non ci fu nessuna uscita pubblica sui giornali. Stavolta c’è stata una grossa attenzione da parte della stampa internazionale. D’altra parte è vero che riunire 60.000 persone a Johannesburg è stato un costo enorme, anche di poca sostenibilità come quantità di energia consumata, rifiuti prodotti e smog emesso. Però è importante anche la relazione che si crea tra delegati governativi e non. Nei prossimi vertici sarebbe necessario non rendere la parte negoziale esclusivo appannaggio degli Stati, ma favorire una più diretta partecipazione di quei soggetti – dalle ong al mondo della scienza – che hanno competenze e svolgono un ruolo attivo nella società. Questo vertice era nato con l’obiettivo di coinvolgere anche questi soggetti però è stato bloccato dal prevalere dello scontro politico tra gli Stati. Il prossimo summit dovrebbe dare un ruolo di maggior partecipazione alla società civile, agli enti locali, al mondo dell’impresa. Bisogna rendersi conto di un fatto: o siamo in grado di cambiare anche il nostro modo di produrre oppure il nostro sistema economico non avrà futuro”.a cura di Patrizia Caiffa

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Johannesburg, obiettivi ancora lontani

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L’appello del Papa

Il contributo della Toscana

Siti Internet:

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