La cittadinanza per ricchi è un flop. Italia è il fanalino di coda della Ue

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Avanti in silenzio. Il programma “Investor Visa for Italy”, lo schema che permette a cittadini di paesi extraeuropei di comprarsi il permesso di soggiorno in cambio di un investimento nella nostra economia, completa il settimo anno di vita.

I suoi numeri languono dopo un accenno di crescita. Il confronto con altri paesi europei che adottano programmi analoghi, come Portogallo e Grecia, continua a essere impietoso. Ma per altro verso il giudizio delle agenzie specializzate nel valutare i programmi di Golden Visa (Visti d’Oro, altra etichetta utilizzata) insiste nel sostenere che quello italiano è fra i meglio congegnati. Sarà. Ma al di là delle valutazioni di qualità e performance, c’è un aspetto del programma italiano che continua a destare perplessità: la sua condizione di estrema riservatezza. Che coincide con l’insediamento del governo di Giorgia Meloni.

Da lì in poi, l’esecutivo che fa del controllo (e dell’eroica difesa salviniana) delle frontiere una delle sue cifre principali ha imposto la sordina sui flussi di una specifica categoria di migranti economici: quelli che vengono fatti rientrare sotto l’acronimo HNWI (high net worth individuals, soggetti di elevata ricchezza netta). Al governo sovranista quei migranti e il loro denaro non dispiacciono. Anzi, nei loro confronti c’è un atteggiamento di estrema protezione che porta a stendere una solida cortina di riservatezza su dati che sarebbero di pubblico interesse. Noi di Domani siamo riusciti a ottenerli in parte.

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Dati frammentari

Va fatta una premessa: fin qui soltanto una volta sono stati pubblicati i dati del programma Investor Visa for Italy. L’evento è datato 10 gennaio 2022, sotto il governo di Mario Draghi.

Quel giorno l’allora ministero dello Sviluppo economico, guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti, rendeva note le cifre di un programma ancora giovane e dalla stentata applicazione. Aggiornati al 31 dicembre 2021, quei dati parlavano di un’iniezione di 40 milioni di euro come somma dei primi quattro anni di applicazione del programma.

Una cifra modestissima, se si pensa che nel suo anno record (il 2016) il programma portoghese ha attratto investimenti per 921 milioni di euro, e che nel 2021 (anno in cui si concludeva il monitoraggio del ministero) aveva captato 461 milioni di euro nonostante l’onda lunga della pandemia. Va aggiunto che quei 40 milioni di euro erano presentati come una cifra potenziale, la somma delle domande di investimento già accettate e di quelle ancora da perfezionare.

Dunque, fatta la sconfortante valutazione comparativa, il solo dato davvero positivo era che nel 2021 si era registrata una tendenza al rialzo – ma serviva davvero poco, vista il deserto degli anni precedenti – favorita dal netto abbassamento dei requisiti d’accesso effettuato dal governo giallorosso di Giuseppe Conte.

Detto ciò, i dati di gennaio 2022 sono i soli resi pubblici da un governo italiano. Perché per ottenere i dati delle annualità 2022 e seguenti bisogna fare una richiesta di accesso civico agli atti.

Il motivo di tanta riservatezza non è stato mai chiarito. Inoltre, l’esperienza delle due richieste effettuate nelle scorse settimane è che bisogna inviare quesiti molto dettagliati, poiché dal ministero dell’Industria e del made in Italy giungono risposte “minime indispensabili” (Mimit).

A ogni modo, ecco il dettaglio delle due annualità 2022 e 2023, più il parziale (dato aggiornato al 5 novembre) del 2024. Per l’anno 2022, che quasi per intero è andato avanti sotto il governo Draghi, sono giunti in Italia investimenti per 37 milioni di euro, così suddivisi: 47 investimenti in imprese per un totale di 23,5 milioni di euro, 6 investimenti in titoli di stato per un totale di 12 milioni di euro, 6 investimenti in start up innovative per un totale di 1,5 milioni di euro. Rimane quella la migliore performance annuale del programma Investor Visa for Italy.

Le due annate successive, interamente trascorse sotto il governo Meloni, fanno segnare dati drammaticamente in calo. Il 2023 segna un passo indietro nella cifra totale, ma l’indicazione più interessante è che sparisce l’investimento in titoli di Stato. Uno spread mica da poco.

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Il dato meriterebbe qualche approfondimento e spiegazione da chi ha la responsabilità politica del programma e da chi lo guida all’interno del Mimit. Di sicuro, l’aspetto del superiore costo di investimento legato a questa specifica opzione (2 milioni di euro, contro 1 milione di euro in aziende, 500mila euro per lo snobbatissimo investimento in opere filantropiche e 250mila euro in start up) non basta a giustificare la diserzione.

A ogni modo, per quell’annata gli investimenti in impresa assorbono quasi del tutto la defezione dai titoli di stato (65 investimenti per complessivi 32,5 milioni di euro), mentre una lieve crescita si registra nel settore degli investimenti in start up innovative (10, per un totale di 2,5 milioni di euro), ciò che porta il saldo annuale a 35 milioni di euro.

Quanto al 2024, con due mesi scarsi da completare, la tendenza è abbastanza desolante: 22 investimenti in impresa per complessivi 11 milioni di euro, più un solo investimento in start up innovative che porta nel nostro sistema economico 250mila euro. Totale: 11,25 milioni di euro.

Una somma che non più di tanto verrà incrementata da qui a martedì prossimo, 31 dicembre.

Nazionalità e destinazione

Le richieste di conoscere le nazionalità degli investitori sono state evase in modo alquanto parziale. In risposta alla prima ci è stato inviato un analitico che, anno per anno, comprendeva soltanto le prime tre nazionalità per numero di candidature. Il che non corrisponde al numero di visti concessi perché, come ci è stato detto, quest’ultimo è un dato da richiedere al ministero degli Affari esteri.

Il 2022, sul totale di 93 richieste, vedeva in testa quelle provenienti dalla Russia (36), seguite dalle 16 provenienti dagli Usa, dalle 13 provenienti da UK e dalle 28 provenienti da “altri paesi extra Ue”. Nel 2023 il governo Meloni si è adeguato, con ritardo, alla richiesta dell’Ue di fermare le candidature provenienti da Russia e Bielorussia. Risulta dunque che, sulle 120 candidature, soltanto 22 provengono da Mosca.

La graduatoria per quell’anno è guidata da Uk (26), mentre gli Usa risultano terzi con 20 e altre 52 giungono da paesi extra Ue. Infine, il dato parziale del 2024 segnala 96 richieste, di cui 30 provenienti dagli Usa, 27 da UK e 39 da altri paesi extra Ue.

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Alla domanda su quali siano le città di destinazione degli investitori, la risposta è stata molto vaga e suddivisa per tre macro-aree geografiche: per il Nord la città privilegiata è Milano, per il Centro il primato spetta ex aequo a Roma e Firenze, mentre per Sud e Isole (sic!) la meta privilegiata è Sassari.

Una nostra ulteriore interrogazione ha riguardato le aziende che hanno beneficiato degli investimenti, e i dettagli analitici sulle residenze degli investitori per città e dei paesi di provenienza.

In risposta abbiamo ottenuto nessun dato sulle aziende e due liste, in ordine alfabetico, delle città (53, da Agrigento a Viterbo) e di paesi extra Ue (42, dall’Albania agli Usa) senza accompagnamento di numeri. Il silenzio è d’oro. Certamente più dei visti.

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