Il 2024 è stato un anno importante per l’ambiente. Le stesse Nazioni Unite hanno dovuto ammettere che è in atto una “crisi esistenziale” che sta ridefinendo la vita sulla Terra. Alcuni paesi hanno promosso iniziative per ridurre l’impatto generale delle emissioni di CO2). In Europa, in alcune regioni, sono stati raggiunti traguardi notevoli. Ma a livello globale la situazione era e resta critica. Pochi i progressi dal punto di vista degli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, SDGs: ormai è evidente che non sarà possibile raggiungere molti dei target che riguardano l’ambiente (e non solo questi).
I risultati delle varie COP, le Conferenze delle Parti durante le quali i rappresentati dei vari Stati si incontrano per risolvere alcuni problemi, sono stati molto inferiori alle aspettative. Questo anche a causa delle pressioni esercitate dalle multinazionali, ormai al limite del ridicolo. Esemplare, in tal senso, la scelta dei paesi dove svolgere gli incontri: due anni fa, destò non poca sorpresa la scelta di incaricare l’Egitto di gestire i lavori della COP27 per la riduzione delle emissioni di CO2; l’anno successivo fece scandalo la decisione di far organizzare i lavori della COP28 agli Emirati Arabi Uniti, uno dei paesi maggiori produttori di petrolio. Nel 2024, la decisione di indicare l’Azerbaijan come sede per il lavori della COP29 hanno rasentato il ridicolo (il suo presidente ha definito i combustibili fossili “un dono di Dio” irrinunciabile). É l’ennesima dimostrazione della mancanza di volontà di fare qualcosa di concreto per ridurre le emissioni di CO2 a livello globale.
Simile la situazione per altri settori che riguardano l’ambiente. I lavori della COP16 Desertificazione/Siccità, iniziati a dicembre 2024 subito dopo la conclusione della COP29, si sono svolti in Arabia Saudita. E anche in questo caso, si sono conclusi senza alcuna decisione importante o impegno formale e risolutivo. Eppure la situazione è davvero grave: secondo gli esperti, entro il 2100, cinque miliardi di persone potrebbero essere colpite da questi fenomeni. Comunicato stampa | Tre quarti delle terre emerse sono diventate permanentemente più secche negli ultimi tre decenni: ONU – Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile Nel rapporto di riferimento della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione (UNCCD) si parla di un 77,6% delle terre emerse del pianeta che potrebbero essere costrette ad affrontare condizioni più “secche” durante i tre decenni precedenti al 2020 rispetto al precedente periodo di 30 anni. Tre quarti delle terre emerse sono diventate permanentemente più secche negli ultimi tre decenni: ONU | UNCCD In questo periodo, le zone totalmente aride si sono espanse di circa 4,3 milioni di km2: ormai coprono il 40,6% di tutte le terre emerse sulla Terra (esclusa l’Antartide).
Due settori, emissioni di CO2 e siccità, tra loro correlati. Nelle regioni dove sono alte le emissioni di gas serra, spesso si registra una espansione delle zone aride: negli Stati Uniti d’America centro-occidentali, nel Messico centrale, nel Venezuela settentrionale, nel Brasile nord-orientale, nell’Argentina sud-orientale, nei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, lungo la costa del Mar Nero, in gran parte dell’Africa meridionale e nell’Australia meridionale. “A differenza della siccità, periodi temporanei di scarse precipitazioni, l’aridità rappresenta una trasformazione permanente e inesorabile”, ha dichiarato Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’UNCCD. “La siccità finisce. Quando il clima di un’area diventa più secco, tuttavia, si perde la capacità di tornare alle condizioni precedenti. I climi più secchi che ora colpiscono vaste terre in tutto il mondo non torneranno come prima e questo cambiamento sta ridefinendo la vita sulla Terra”. “Questa analisi dissipa finalmente un’incertezza che ha a lungo circondato le tendenze globali dell’essiccazione”, ha aggiunto Thiaw. “Per la prima volta, la crisi dell’aridità è stata documentata con chiarezza scientifica, rivelando una minaccia esistenziale che colpisce miliardi di persone in tutto il mondo”.
Il rapporto dell’UNCCD Science-Policy Interface (SPI) – l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione della scienza del degrado del suolo e della siccità – accusa il cambiamento climatico causato dall’uomo di essere il principale motore di cambiamenti epocali. Le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di elettricità, dai trasporti, dall’industria e dai cambiamenti nell’uso del suolo riscaldano il pianeta e altre attività umane e influenzano le precipitazioni, l’evaporazione e la vita vegetale, creando le condizioni che aumentano l’aridità.
Tutto questo ha conseguenze disastrose per l’agricoltura, per gli ecosistemi e per l’economia. E, ovviamente, per le persone che abitano nelle zone più colpite da fenomeni siccitosi: i cambiamenti ambientali sono una delle principali cause dell’aumento delle migrazioni. Molto spesso uomini donne e bambini sono costretti a spostarsi perché non vivere a casa propria non è più possibile.
Di fronte a tutto questo, l’impegno dei vari governi per la tutela dell’ambiente è stato a dir poco deludente. Da un alto, i paesi sviluppati non hanno fatto nulla di concreto per diminuire i danni causati da stili di vita non sostenibili (come avrebbero dovuto fare secondo le indicazioni della Commissione Bruntland che risalgono addirittura al 1987). Come è emerso alla COP29, spesso si sono rifiutati di mantenere le promesse fatte (come quella di pagare per i danni prodotti al resto del pianeta: le proposte sottoscritte nel 2024 sono state molto al di sotto delle somme concordate in precedenza). Dall’altro, i paesi in via di sviluppo e quelli meno sviluppati hanno rivendicato il proprio diritto di “crescere”, anche quando questo comporta aumentare in modo vertiginoso il proprio impatto sulla natura (esemplare il caso dell’India, il paese più popolato del pianeta).
Anche altri dati hanno una rilevanza non indifferente. Negli ultimi decenni la popolazione mondiale è aumentata in modo esponenziale: gli abitanti del pianeta Terra sono passati da circa tre miliardi nel 1960 a oltre otto miliardi. E le stime prevedono che entro il 2050 la popolazione mondiale supererà i nove miliardi di abitanti. Un maggior numero di persone significa maggiori consumi. Questo comporterà la necessità di produrre molti più beni (a cominciare dai generi alimentari) e, di conseguenza, un aumento esponenziale delle emissioni e dello sfruttamento di risorse naturali (a cominciare dall’acqua potabile: il settore agricolo è il principale responsabile dei consumi di acqua dolce).
A questo si aggiungono altri fattori non meno importanti. Ad esempio, un aumento della percentuale di persone che vivono nelle metropoli dove l’impatto individuale sull’ambiente è mediamente maggiore. Molte di queste città, inoltre, si trovano in zone che stanno diventando invivibili: in Indonesia, sono già iniziati i lavori per spostare la capitale Giacarta, megalopoli con oltre 10 milioni di abitanti, che sta letteralmente affondando. Un fenomeno che riguarda molte altre metropoli: anche il suolo su cui sorge New York sta letteralmente cedendo sotto il peso dei grattacieli. La città di New York potrebbe affondare sotto il peso dei suoi grattacieli, lo studio – Scienze Notizie
Quello che è apparso evidente nel 2024 è che ormai nessuno vuole più parlare di “resilienza” (termine che aveva sostituito il concetto di “sostenibilità”) o della possibilità dell’ambiente di sopportare l’impatto delle scelte dell’uomo. Al massimo si parla di resistenza ai fenomeni estremi, sempre più frequenti. Anche parole come “compensazione” appaiono obsolete. Sia la compensazione economica che quella ambientale (molte inchieste giornalistiche e scientifiche hanno dimostrato che spesso la compensazione sbandierata da grandi gruppi industriali è un’inutile presa in giro).
L’anno 2024 volge al termine e di ambiente sembra non sembra non voler parlare nessuno. Perfino i piani della “nuova” Commissione Europea hanno dedicato al “nuovo” Green Deal meno attenzione di quanto ci si aspettava. In generale si preferisce dedicare tempo e denaro (tanto denaro: centinaia di miliardi di dollari!) alle decine di guerre che stanno distruggendo il nostro pianeta. Già perché, come confermano numerosi studi, l’impatto sull’ambiente dei conflitti armati potrebbe rendere inutili i – pochi – progressi raggiunti nei decenni scorsi.
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