Manovra, scontro sulla procedura: il testo arrivato blindato. Giorgetti: disponibili a cambiare

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Proteste dall’opposizione per l’impossibilità di modifiche in Senato. Oggi, sabato 28 dicembre, il voto di fiducia. Il testo sarà approvato senza cambiamenti. Boccia (Pd): sono mesi che invochiamo la modifica della legge di contabilità

ROMA – L’iter di approvazione della legge di Bilancio è alle battute conclusive. Il testo della terza manovra del governo Meloni, che contiene misure per circa 30 miliardi di euro, è da ieri in aula al Senato, dove si è già conclusa la discussione generale. Il voto di fiducia che ne decreterà l’approvazione definitiva è previsto per oggi. A tenere banco nelle ultime ore sono gli scontri tra maggioranza e opposizione per la mancata lettura da parte di Palazzo Madama: il disegno di legge è arrivato blindato dalla Camera e, malgrado le oltre 800 richieste di modifica presentate a Palazzo Madama, verrà approvato senza cambiarne una singola virgola. A imporlo sono i tempi del via libera, fissato entro il 31 dicembre per evitare lo spettro dell’esercizio provvisorio. Non a caso, ieri la commissione Bilancio non ha concluso l’esame del provvedimento e dopo mezz’ora lo ha trasmesso in aula senza assegnare mandato al relatore. A metà giornata si è, tra l’altro, diffusa la notizia delle dimissioni, per protesta contro il meccanismo della singola lettura, dello stesso relatore Guido Liris di Fratelli d’Italia. «In commissione Bilancio si è preso atto dell’impossibilità di esaminare il provvedimento e pertanto, come negli scorsi anni, non si è potuto dare mandato ad alcun relatore. Ma non ho mai parlato di dimissioni», precisa Liris, che non fa mistero del problema: «Purtroppo dal 2018 la legge di Bilancio viene esaminata senza la doppia lettura nelle due Camere. Mi auguro che dalla prossima sia la Camera sia il Senato possano dare il loro contributo, come da sempre auspicato da FdI».

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Giorgetti: revisione necessaria

Ad ammettere la necessità di un cambio di regole è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Non so da quanti anni purtroppo è così. Siccome la legge di contabilità bisogna riformarla comunque in base alle nuove regole europee, è già partito un lavoro preliminare. Però è materia parlamentare e non di governo. La revisione — constata Giorgetti — dei meccanismi e delle regole è necessaria. Noi siamo assolutamente disponibili». Sui contenuti della manovra il ministro dell’Economia rivendica «l’atteggiamento di prudenza», aggiungendo, «come governo che prima di partire a redigere il proprio bilancio, aveva 90 miliardi di interessi passivi, non ci possiamo permettere di essere né temerari, né avventati. Questo atteggiamento ha premiato», ricordano l’andamento dello spread. Unico rammarico di Giorgetti è non essere riuscito a «fare di più per la famiglia e per i figli».




















































Gli attacchi dell’opposizione

Ma, intanto, è l’ammissione sulla necessità di rivedere l’iter di approvazione della manovra a innescare gli attacchi dell’opposizione. «Continua l’ipocrisia di maggioranza e governo — protesta il capogruppo Pd Francesco Boccia —. Prima Liris, poi le parole di Giorgetti sulla modifica della legge di contabilità. Sono mesi che la invochiamo. La sensazione è che questa maggioranza genuflessa al governo non abbia forza, né volontà politica per difendere le prerogative del Parlamento. Giorgetti dice che è responsabilità del Parlamento. Siamo allo scaricabarile. Il sistema vigente fa comodo a Meloni e soci che non volevano cambiare nulla di questa manovra». Duro anche Matteo Renzi (Iv) che accusa il governo di «violare la Costituzione in modo sfacciato e di umiliare il Parlamento». Un altro ex premier, Mario Monti, si concentra sul merito: mercati e spread «premiano il comportamento cauto del governo», ma «l’Italia è diventata un Paese arretrato», c’è «l’ombra di una crisi industriale».

Le scelte dell’esecutivo e l’iter della manovra sono attaccati dai senatori M5S. «La legge di bilancio 2025 è stata approvata in Senato senza alcuna discussione, attraverso l’ennesimo voto di fiducia. Uno schiaffo alla democrazia parlamentare che configura un governo che opera esclusivamente per decreti e fiducie». In questo clima il Pd e il M5S hanno chiesto che la premier Meloni oggi sia almeno presente in aula al Senato, «in segno evidente di rispetto nei confronti del Parlamento».

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