‘Ndrangheta nelle Preserre e “l’ombra” di Gaetano Emanuele dopo 6 mesi di latitanza

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VIBO VALENTIA Una misura di custodia cautelare annullata e la possibilità, quindi, di farsi vivo dopo mesi di latitanza. È l’effetto dell’esito del lungo tira e molla tra accusa, difesa e giudici sulla posizione di Gaetano Emanuele (cl. ’75) considerato il “reggente” della cosca in virtù del ruolo di luogotenente in assenza del fratello Bruno, vero capo della cosca di ‘ndrangheta omonima. Gaetano Emanuele, infatti, era stato raggiunto da un ordine di carcerazione firmato dal gip del Tribunale di Vibo Valentia, in seguito al blitz “Habanero” della Distrettuale antimafia di Catanzaro. Al momento della notifica dell’arresto, però, casa Emanuele non c’era, facendo perdere le sue tracce per sei mesi esatti.

La “Strage di Ariola”

L’inchiesta avrebbe fatto luce – secondo l’accusa – sulle dinamiche criminali che hanno preceduto la strage di Ariola, quando il 25 ottobre 2003 nella piccola frazione di Gerocarne vennero uccisi Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barilari, mentre l’unico sopravvissuto fu Antonio Chiera. Oltre 140 colpi di arma da fuoco e un attentato che rappresenta il culmine della faida tra le due famiglie che si contendevano il potere criminale. In gioco, infatti, c’era il controllo criminale sulle Preserre, teatro del sanguinoso scontro tra la famiglia dei Maiolo-Emanuele e quella dei Loielo. Prima dell’inchiesta Habanero per la “strage di Ariola” «non c’erano stati finora arresti» era stato spiegato in conferenza stampa la mattina del 21 giugno di quest’anno. La vicenda, infatti, era stata attenzionata nell’ambito di altre indagini che riguardavano quel contesto criminale territoriale di scontro tra le diverse anime del gruppo criminale della ‘ndrina Maiolo.


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Gaetano Emanuele – assistito dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Alessandro Diddi – è sottoposto a indagini per gli omicidi di Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barillaro e per il tentato omicidio di Ilario Antonio Chiera, reati commessi il 25 ottobre del 2003, utilizzando dei fucili da caccia calibro 12 a pallettoni esplosi verso l’autovettura e dopo, quando questa si è fermata, gli autori si sono avvicinati e hanno sparato frontalmente. Una dinamica ricostruita attraverso gli accertamenti effettuati nell’immediatezza e dalle dichiarazioni rese da Ilario Antonio Chiera, sopravvissuto all’agguato che ha chiamato i soccorsi e ha descritto uno degli autori del reato mentre nel corso del tempo hanno reso dichiarazioni numerosi collaboratori di giustizia: Francesco Loielo, Rocco Oppedisano, Michele Ganino, Enzo Taverniti, Bartolomeo Arena, Luciano Oliva e Antonio Forastefano. Proprio quest’ultimo, in particolare, aveva dichiarato di avere appreso da Angelo Maiolo – mentre era latitante – che all’omicidio aveva partecipato come esecutore materiale anche Gaetano Emanuele.

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Nel corso dell’ultima udienza, i giudici del Tribunale di Catanzaro hanno pienamente accolto la tesi della Cassazione secondo cui, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del Riesame, non si può ritenere che le dichiarazioni rese da Forastefano «siano equiparabili a quelle dirette perché costituite da confidenze autoaccusatorie ricevute direttamente dall’autore materiale del fatto». Si tratta di una informazione corretta «solo in ordine a quanto narrato da Angelo Maiolo in merito alla propria responsabilità, che ha in tal modo “confessato” al collaboratore, ma non può essere esteso alla posizione di Gaetano Emanuele». Prese in esame anche le considerazioni dell’altro pentito, Oppedisano. Secondo la Cassazione, «il collaboratore in ordine alla credibilità intrinseca del quale la motivazione del provvedimento impugnato è inesistente, ha riferito di un discorso avvenuto, peraltro in termini generici, circa un anno prima che venissero commessi gli omicidi». Caduta l’ordinanza di custodia cautelare, dunque, Gaetano Emanuele potrebbe rifarsi vivo e passare il Natale con i propri cari. Una ipotesi non più suggestiva. (g.curcio@corrierecal.it)

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