La dinamica fissata nella relazione dei vigili sembra non legare il «tocco» tra la pattuglia e lo scooter di Ramy Elgaml alla successiva caduta. E anzi lascia ipotizzare che lo schianto sia avvenuto in maniera accidentale, a causa della velocità del Tmax
Quando il Tmax rovina a terra, all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, l’orologio segna le 04.03 e 39 secondi. È l’alba del 24 novembre. E quello, ormai a pochi passi dal Corvetto, il quartiere alla periferia sud di Milano in cui i due ragazzi a bordo, il 19enne Ramy Elgaml e il 22enne Fares Bouzidi, sono cresciuti e in cui stavano cercando rifugio, è anche l’attimo finale di un inseguimento iniziato oltre venti minuti prima e otto chilometri più a nord.
Il controllo casuale
Lo start è l’incrocio casuale tra lo scooterone e una pattuglia dei carabinieri, impegnata dalle parti di corso Como in uno dei classici servizi notturni nelle zone della movida. Sono le 3.40, quasi 24 minuti prima l’epilogo che sarà fatale per Ramy. E il personale sulla Giulietta nota i due giovani all’incrocio tra viale Monte Grappa e via Rosales, ai piedi del nuovo skyline di Porta Nuova e vicino a uno degli epicentri del divertimento notturno: alla vista della gazzella sembrano volersi nascondere dietro a una macchina in sosta. L’alt intimato dai carabinieri segna il via alla fuga del Tmax.
L’inseguimento contromano
Fares dà gas, invece di fermarsi. «Io ho accelerato e loro mi venivano dietro. Avevo quest’ansia che mi fermassero perché non avevo la patente», racconterà poi il 22enne – difeso dagli avvocati Debora Piazza e Marco Romagnoli – interrogato dal gip Marta Pollicino. Lo scooter sfiora la pattuglia che nel frattempo si era avvicinata. E corre via. Senza fermarsi nonostante gli otto chilometri a zig zag per la città. I rossi bruciati. Le vie prese contromano. Tre pattuglie dei carabinieri che non molleranno il suo scooterone per un attimo.
Non appena il Tmax accelera e svolta in via Melchiorre Gioia, s’accendono le sirene e i lampeggianti che lo accompagneranno fino all’ultimo. Lo scooter s’infila nel tunnel che passa sotto i grattacieli di piazza Gae Aulenti, sbucando in via don Sturzo. Evita un’autoradio che prova a mettersi di traverso. Percorre contromano un pezzo di strada e prosegue, sempre controsenso, lungo via Ferrari. Girano in via Farini e, arrivati in largo La Foppa, i due giovani prendono in contromano anche via della Moscova, in centro, dove, all’incrocio con via Lovanio, c’è un primo «contatto» con una pattuglia che urta il motorino. Fares riesce a mantenere l’equilibrio, nonostante la «folle» velocità. Rossi o verdi, i semafori non fanno differenza. Sfrecciano in via Statuto, in via Solferino, e poi a sinistra, in senso opposto, in via Fatebenefratelli, come documentato anche da un filmato ripreso con una dashcam dei carabinieri che gli erano alle spalle. Girano ancora: via Manin, viale Città di Fiume, i Bastioni di Porta Venezia. Quando imboccano viale Majno, puntano verso sud, verso «casa», verso quelle «strade che conoscevo» dove Fares era convinto di togliersi di dosso gli inseguitori.
Il casco che vola via
Scorrono rapidamente viale Bianca Maria, Viale Regina Margherita e, superato Palazzo di Giustizia, svoltano a destra, in via San Barnaba. È qua che Ramy, forse per i dossi presi a manetta, perde il casco, che gli si sfila dalla testa. «Speravo di poter rallentare, fermarmi per permettere a Ramy di scendere, ma non ce l’ho fatta», dirà sempre Fares. L’inseguimento continua in via Francesco Sforza, corso di Porta Romana, corso di Porta Vigentina, via Ripamonti, dove il motorino e l’autoradio scartano entrambi a sinistra, sulla corsia in contromano, per sorpassare un furgone scuro che procede lentamente.
Gli ultimi frame
E torniamo agli ultimissimi metri percorsi dallo scooterone. L’orologio digitale segna le 04.03 e 37 secondi: i fasci di luce del Tmax e della pattuglia dei carabinieri che lo tallona fin quasi ad affiancarlo sono sul lato sinistro dell’inquadratura che sorveglia l’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta.
Ore 04.03 e 38 secondi: nell’immagine della telecamera irrompono i musi dei due veicoli. Viaggiano quasi appaiati, in contromano: lo scooter corre a filo del marciapiedi sinistro; i fari della Giulietta sono vicini alla marmitta (sul lato destro) del Tmax. Entrambi i mezzi entrano nel raggio di copertura dell’obiettivo, ma devono ancora affrontare l’incrocio, e lo scooter deve ancora provare a impostare, e stringere, la curva a sinistra. Secondo la relazione definitiva depositata in procura dalla polizia locale, in quel momento, il «tocco» della gazzella sul motorino c’è però già stato. Addirittura ancora prima che i veicoli entrassero nell’inquadratura.
I segni sul Tmax
I vigili ne riscontrano le tracce sulla carena. Non ci sono ammaccature. Si vedono tre segni grigi all’altezza della pedana destra del passeggero. E poi sulla staffa posteriore della marmitta: la fascetta di metallo che regge il terminale di scarico è piegata in avanti. Secondo la relazione, il contatto sarebbe infatti avvenuto alcuni attimi prima, quando nel video si vede solo il chiarore dei fari dei due veicoli in arrivo. In quegli istanti, un improvviso «incrocio» delle tracce luminose e un «movimento» laterale del fascio di luce dello scooter è interpretato dai vigili come segnale dell’urto.
Il Tmax inizia a impegnare l’incrocio qualche metro più avanti, quando sulla telecamera che copre l’incrocio dal lato opposto, quello di via Solaroli, l’orologio segna le 04.03 e 39 secondi. E i frame successivi mostrano lo scooter provare a svoltare e iniziare la caduta quando è sulla seconda metà dell’attraversamento pedonale (tra settima e ottava striscia) sul lato di via Quaranta. Gli stessi fermi immagine mostrano che tra l’auto e il Tmax c’è dello «spazio», nonostante i due veicoli siano veramente vicinissimi. In quei momenti, il carabiniere che è al volante della Giulietta pinza i freni: l’auto slitta sui binari e tira dritto, anche per evitare di travolgere lo scooter già in caduta. E le immagini non chiariscono se c’è un contatto successivo, mentre il Tmax scivola via e la gazzella si schianta contro il palo del semaforo.
La morte del ragazzo
Ramy muore nel giro di pochi minuti. Non per le lesioni al capo (come ipotizzato nei primissimi momenti, visto che aveva perso il casco) ma per una rottura dell’aorta, probabilmente dovuta al successivo impatto con un palo semaforico, subito dopo abbattuto dalla pattuglia dei carabinieri fuori controllo. Il primo a soccorrere il 19enne è il vicebrigadiere che era alla guida della Giulietta coinvolta nell’incidente. Benché ferito, inizia a praticare il messaggio cardiaco, in collegamento con un medico del 118 che lo assiste nelle manovre di rianimazione, mentre sono in arrivo l’ambulanza e l’automedica. Ramy sarà trasportato d’urgenza al Policlinico, dove morirà poco dopo.
Il super consulente
La dinamica fissata nella relazione dei vigili sembra non legare direttamente il «tocco» tra la pattuglia e lo scooter alla successiva caduta. E anzi lascia ipotizzare che lo schianto sia avvenuto in maniera accidentale a causa della velocità del Tmax, dell’angolo molto stretto di curva, della perdita di aderenza delle ruote in piega sulle strisce pedonali rese viscide dall’umidità o più probabilmente per il concorso di più fattori. Una ricostruzione che ora dovrà essere dettagliata, confermata o smentita dalla consulenza della procura affidata all’ingegnere Domenico Romaniello, che dovrà stabilire se il contatto tra i due veicoli c’è stato, quando, e se questo sia stata la causa della caduta del Tmax. Venerdì 20 dicembre, per la prima volta, il consulente ha potuto analizzare i due mezzi, custoditi in un deposito della polizia locale. Dovrà terminare la sua relazione entro i prossimi 45 giorni.
I carabinieri indagati
Per omicidio stradale, nell’inchiesta coordinata dai pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini, sono al momento indagati Fares (senza patente e positivo al Thc, arrestato per resistenza a pubblico ufficiale per non essersi fermato all’alt, poi ai domiciliari, misura infine revocata dal gip Marta Pollicino che ha optato per l’obbligo di firma, anche per motivi terapeutici del ragazzo alle prese con le terapie per guarire dai danni subiti nella caduta) e il vicebrigadiere al volante della pattuglia coinvolta nell’incidente. Sul caso c’è anche un secondo filone d’indagine, in cui risultano indagati per favoreggiamento personale e frode in processo penale e depistaggio altri due carabinieri, accusati di aver fatto cancellare i video ripresi con il cellulare da un testimone.
Il filone, parallelo a quello che sta scandagliando la dinamica dello scontro tra i due veicoli, è legato alla presunta cancellazione di un video registrato con lo smartphone da un testimone oculare, che, sentito dalla Procura, ha dichiarato di aver assistito in diretta alle fasi finali dell’inseguimento e di aver ripreso tutto con il cellulare. Poco dopo, i due carabinieri ora indagati gli avrebbero imposto di eliminarlo dalla memoria, senza neppure vedere cosa avesse immortalato in quei fotogrammi. In questo modo – è l’ipotesi dei pm – avrebbero da un lato favorito il collega che guidava la Giulietta, e dall’altro avrebbero «inquinato» i successivi accertamenti degli inquirenti, privandoli di immagini potenzialmente utili. Sia i due militari indagati, sia gli altri presenti sulla scena non indagati sono stati sottoposti a perquisizione e i loro telefoni sono stati sequestrati per compiere ulteriori accertamenti tecnici.
La rabbia del Corvetto
Attorno alla vicenda, e al grido «Ramy vive», nelle ore immediatamente successive all’incidente, si è scatenata la rabbia del Corvetto. Per un paio di giorni, giovanissimi amici del ragazzo e ragazzi «infiltrati» da altre zone della città hanno alimentato disordini notturni. Scene da guerriglia urbana con decine di «maranza», spesso a volto coperto, che hanno dato vita a roghi, danneggiamenti, assalti a un bus, fino all’intervento della polizia che è dovuta ricorrere ai lacrimogeni per disperdere i più agitati. A calmare gli animi ha contribuito la famiglia del ragazzo, e in particolare il padre di Ramy, Yehia Elgaml, che ha condannato le violenze.
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