Salvini assolto, ora le riforme. “Finirò il lavoro di Berlusconi”

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Cambio di passo e di prospettiva. Matteo Salvini respinge il tentativo di apporre un timbro giudiziario sopra una decisione eminentemente politica, esce dal lungo incubo giudiziario che ha accompagnato gli ultimi tre anni della sua vita e rilancia al tavolo delle riforme, dicendosi pronto ad aprire una volta per tutte il dossier della divisione delle carriere.

Il giorno dopo la sentenza di assoluzione, Matteo Salvini riunisce i giornalisti in un gazebo della Lega e coglie l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Prima di tutto, contro gli intellettuali di sinistra che per anni hanno «scritto» e «detto» sciocchezze. E poi, qualche battuta sul ministero dell’Interno, il simbolo del «sacrificio» che ha dovuto sopportare a causa del processo Open Arms. «Se qualcuno negli anni scorsi ha pensato non puoi tornare al Viminale perché sotto processo», questa cosa cade. Detto questo al Viminale c’è Piantedosi, un amico, un fratello, e non corro per sostituirlo». Sicuramente però, ha aggiunto, «quest’assoluzione è un riconoscimento che ho fatto il mio dovere e mi ripaga di tante amarezze». E di fronte a una domanda esplicita, se gli piacerebbe o meno tornare a fare il ministro dell’Interno in futuro, replica: «Il Viminale è una macchina eccezionale, avere la responsabilità della sicurezza degli italiani è stupendo». Quella di ieri è stata una «bella giornata. Non pretendevo medaglie, ma neppure sei anni di galera». E Conte? Il premier in carica durante il caso Open Arms? Salvini gli dà dello «smemorato». «Di lui mi interessa poco», aggiunge. «Gli faccio gli auguri di Natale». La giornata è positiva anche per i tanti militanti leghisti, che ora hanno una certezza in più: «Le nostre idee non si sono mai poste al di fuori della legge», insiste il vicepremier pronto a lavorare per recuperare il consenso perduto. Non ci sarà però una «prova di forza» con la premier Giorgia Meloni, che è stata tra i primi a chiamarlo dopo l’assoluzione. La «prova di forza», semmai, è nei confronti di quelle «associazioni straniere» finanziate da «persone all’estero» che «vogliono il male dell’Italia». E Salvini fa i nomi, citando il «signor Soros». Le Ong, che due giorni fa avevano «i musi lunghi» e ora sembrano intenzionate a fare appello.

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Ora però è tempo di cambiare passo anche alla luce dell’assoluzione di Matteo Renzi e di lavorare alla separazione delle carriere, che «porterebbe quello che si è visto ieri a essere la normalità in tutta Italia». Il segretario della Lega rimarca la differenza con il centrosinistra: «Non riesco ad augurarmi di vedere Conte, Renzi o Schlein in galera… Neanche se mi sforzo ci riesco». Salvini negli ultimi due giorni ha ricevuto attestati e congratulazioni, anche a livello internazionale. Perfino Elon Musk è intervenuto, il che «mi ha fatto molto piacere», ma anche Marine Le Pen e Jordan Bardella del Rassemblement National, il premier ungherese Viktor Orbán, il leader di Vox Santiago Abascal, dai Paesi Bassi, il leader del PVV Geert Wilders, dal Portogallo il leader di Chega, André Ventura. E sempre ieri Salvini ha avuto una cordiale telefonata con l’amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi. Il ministro ne ha particolarmente apprezzato l’attenzione e la gentilezza e ha ricordato con grande affetto le battaglie per una giustizia giusta affrontate da Silvio Berlusconi, battaglie «che il centrodestra vuole portare a termine».

Decisamente degno di nota è anche l’intervento della Giunta dell’Unione delle Camere Penali per cui «le assoluzioni di Renzi e Salvini ci confermano che nel nostro Paese l’uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura, che ha avuto nel nostro Paese tratti eversivi, non è mai cessato.

La magistratura è composta in larga maggioranza da magistrati che non seguono queste logiche ma ne sono vittime, posto che esiste una magistratura che fa carriera e gestisce il potere, e una magistratura che subisce la delegittimazione e la mancanza di fiducia che deriva – conclude la Giunta – dall’uso strumentale del potere giudiziario».



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