Il valore dello sport che non sappiamo interpretare e garantire (in Italia)

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Alcune considerazioni sullo sport e cosa, effettivamente, in Europa e nel nostro Paese si stia facendo per la sua diffusione, nonostante una sensibilità ridotta da parte della politica, ma pure da parte di troppi italiani e di alcune istituzioni (la scuola su tutte)

info@wbox.it  

Quando in Italia ci si pronunciò con toni trionfalistici molto trasversali fra politici e uomini di istituzione perché lo Sport entrava in costituzione, a noi di Wbox venne quasi da ridere, visto il peso dell’enunciato dell’articolo 33, che riconosceva il valore educativo e formativo dello sport, ma nulla di più. Di fatto, avremmo apprezzato questa esaltazione di facciata, se lo sport fosse stato riconosciuto come diritto costituzionale, alla stregua della salute, del lavoro e dell’istruzione, pilastri fondamentali della nostra Repubblica.

Il nuoto ha un doppio valore sociale sia come sport che come pratica per imparare a salvarsi in caso di emergenze in acqua ph Sporting Club Noale_Facebook

Perché, se lo sport effettivamente deve avere importanza in un sistema paese, non può esserlo come branca secondaria, dal momento che è determinante sia per la salute sia per la crescita di ogni italiano nel suo percorso da minore ad adulto, come avviene per lo studio.

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Situazione che ritroviamo in alcuni paesi ben più evoluti del nostro e che, pur senza fare dello sport un diritto costituzionale, di fatto lo equiparano a salute ed istruzione, assegnandogli un ruolo primario nelle scuole, nelle università, nel percorso evolutivo, educativo, preventivo relativamente alla salute di ogni cittadino. Con accesso all’esercizio fisico per tutti, senza escludere alcuna categoria sociale.

Sicuramente anche in Italia qualche passo in più è stato fatto, ma è imbarazzante comparare il nostro sistema scolastico con quello francese, olandese, tedesco dove lo sport non è ai margini del piano curriculare degli studenti, ma è parte fondamentale ed integrante del loro percorso formativo.

Da noi ancora si osteggia lo sport, per la non cultura degli insegnanti che criticano e penalizzano chi fa pratica sportiva o non reputano tempo ben impiagato per i propri allievi e studenti frequentare palestre, campi sportivi e piscine in orario scolastico, Ma pure le istituzioni sono colpevoli di gravi disattenzioni e di mancanza di programmazione a riguardo: una macchia che riguarda tutta la classe politica e dirigente, da sempre incapace di un cambiamento evolutivo in tal senso.

Va riconosciuto che anche nell’ultima legge di bilancio sono previsti aiuti per famiglie meno abbienti perché i figli possano praticare l’attività sportiva e che sia prevista, per famiglie che non superino un certo reddito, la possibilità di dedurre le spese per l’esercizio fisico dei figli. Stiamo parlando di piccoli passi, quando la strada è ancora lunghissima – tutte le attività spoetite di tutti gli italiani di qualsiasi età dovrebbero essere deducibili – e, il deficit culturale, sulla pratica sportiva e i suoi benefici per la salute e la prevenzione, è ancora gigantesco sia fra le istituzioni sia nella popolazione, non meno responsabile considerando la diffusissima sedentarietà degli italiani e il pochissimo che la gente fa per ridurre le emergenze del dilagante sovrappeso medio e di errati stili di vita.

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Quindi, tornando alla costituzione, è quasi risibile che la politica e il parlamento si siano abbandonati a toni trionfalistici per il peso assegnato allo sport alla carta costituzionale: avrebbero ragioni ampiamente condivise per entusiasmarsi solo se lo sport fosse un diritto riconosciuto dalla costituzione. Ma a riguardo siamo lontani anni luce.

Quello che segue è l’editoriale della newsletter di Diritto & Sport (Italia Oggi), scritto da Katia Arrighi, con un richiamo al valore dello sport su scala europea, senza distinguo preciso con quanto avviene in Italia, fanalino di coda per obesità infantile e su percentuali imbarazzanti per sedentarietà della popolazione. Ma, soprattutto, perché lo sport riconosciuto dalla costituzione italiana come valore, ma non come diritto, di fatto è spesso negato alle famiglie meno abbienti, precludendo una delle fonti primarie di prevenzione e salute, cui ogni cittadino ha ampiamente diritto, a una buona parte della popolazione che non può permettersi i costi di un servizio di alto valore sociale.

Le argomentazioni di Katia Arrighi meritano di essere prese in considerazione non solo per alimentare un dibattito che da anni è in atto, ma per passare quanto prima a decisioni che rendano lo sport un servizio sociale effettivamente promosso in chiave istituzionale e allargato, e reso realmente accessibile a tutti.

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IL VALORE DELLO SPORT IN EUROPA
di Katia Arrighi
@consulentidellosport
Da tempo mi sto occupando di analizzare e studiare il diritto sportivo degli stati europei e nel farlo colpisce il fatto che fra i valori fondanti della Ue non vi sia la pratica sportiva perché si parla di pluralismo, tolleranza, giustizia, solidarietà, non discriminazione e uguaglianza ma non di pratica sportiva.

Da più parti si sente ripetere che praticare sport permette ad ognuno di noi di mantenere un elevato standard qualitativo e di salute ma tutti hanno realmente diritto alla pratica sportiva? La risposta è certamente sì.

Ma tutti possono usufruire di questo diritto? La risposta non è assolutamente sì. Non di raro si sentono storie di genitori impossibilitati a far partecipare i propri figli alla pratica sportiva perché costa e da qui la riflessione che spesso faccio negli incontri a chi dice che lo sport è un valore sociale e quindi deve essere non disciplinato come gli altri settori: “Quindi è possibile per me, per chiunque, praticare sport gratuitamente perché è un valore sociale?” La risposta alla mia domanda la conosciamo tutti.

Nessuno discute sul valore sociale dello sport, ma dovrebbe avere come contropartita il diritto di tutti ad accedervi, compresi i figli di chi deve centellinare il proprio stipendio. Altri stati europei hanno una regolamentazione completamente differente.

Certo è che ci limitiamo al dibattito sul valore economico dei compensi ai volontari senza fare un piccolo sforzo per alzare l’asticella del dibattito narrando di etica e impatto sociale il discorso cambia completamente e si ferma ai blocchi di partenza.

Dovremmo fare tutti un piccolo sforzo culturale per fare sì che lo sport, che fa bene al corpo, all’anima e alla vita di tutti noi, possa uscirne a testa alta come valore fondante di una comunità.

Fonte: newsletter settimanale di Diritto & Sport (Italia Oggi) del 21 dicembre 2024

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