Francesco Favaretto, chi era il giovane sgozzato a Treviso dal branco: la mamma sola, i vecchi tormenti. «Ma era felice di lavorare da cuoco»

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di
Nicola Rotari

Il giovane accoltellato la sera del 12 dicembre: aveva iniziato a lavorare nella ristorazione a seguito di un periodo trascorso in una comunità di recupero

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«Francesco ha ricevuto la corona bianca da due angioletti della purezza. Santo ragazzo». Poche parole, dense di dolcezza e intrise di dolore, quella che Monica, mamma di Francesco Favaretto, scrive per ricordare il figlio, vittima di una brutale aggressione che gli è costata la vita. L’epilogo violento e tragico di una vita travagliata, costretto a combattere fin dall’adolescenza con i demoni della droga. Il ventiduenne e la madre vivevano insieme in un appartamento pubblico in via Toscana, nel quartiere di San Liberale, alla periferia di Treviso. Proprio a pochi passi di distanza, viveva in un alloggio Ater (oggi in ristrutturazione) il responsabile di un omicidio tra giovanissimi, Elia Fiorindi, killer di Aymen Adda Benameur, trucidato a coltellate a Varago, nel maggio 2023.

«La mamma lo amava e ha fatto l’impossibile per lui»

Francesco era figlio di una ragazza single che aveva fatto di tutto per non fargli mancare nulla, nonostante le ristrettezze. «È una donna tosta che si è tirata su un figlio da sola. Da sola perché praticamente lei è stata abbandonata come ragazza madre quando era ancora giovane — racconta la migliore amica, Marinella — non ha avuto nessun altro uomo, era dedita al figlio e ha cercato in tutte le maniere, perché non c’era giorno che Monica non lo facesse ragionare e cercasse di fargli capire in tutti i modi di cambiare strada. Gli ha proposto di portarlo via da Treviso, ha fatto l’impossibile: una mamma presente, che amava infinitamente suo figlio perché viveva per Francesco, lei non aveva altro».




















































Le cattive compagnie e il lavoro nella ristorazione

Francesco, dopo aver frequentato la scuola nell’istituto comprensivo Serena, ha incontrato sulla sua strada le classiche «cattive compagnie», le droghe, finendo inghiottito nella dipendenza. Per tentare di salvare il figlio, la madre è riuscita a farlo entrare in una comunità di recupero, a Sant’Angelo, e da qui ha iniziato a lavorare come cameriere e cuoco, introdotto alla pizzeria Da Pino, in piazza dei Signori a Treviso, e poi anche in Alto Adige, a Corvara, in un rifugio. Da qualche mese però Francesco era tornato a frequentare i «brutti giri» di un tempo, una china che l’ha portato purtroppo ad un tragico epilogo.

«Era felice di lavorare»

«La madre mi dava i soldi in anticipo perché portassi a casa il figlio quando tornava da lavorare — racconta Armando Locurio, un amico di famiglia, ex tassista — per lui ha fatto di tutto e di più, lui ne era cosciente e cercava di essere autonomo, era felice di lavorare, mi diceva che gli sarebbe piaciuto un domani aprirsi una pizzeria o lavorare per conto suo. Non me lo aspettavo, ero convinto che ce le facesse, non avrei mai pensato che questa vicenda finisse in un modo così tragico».

Una situazione molto dura

Monica, dal 12 dicembre, è sempre rimasta al capezzale del figlio, sperando e pregando nel miracolo che purtroppo non c’è stato. La donna, molto credente e volontaria nelle parrocchie della zona, è stata avvisata ieri mattina che non c’era più nulla da fare. Un dolore lancinante che si aggiunge a una situazione già molto dura. «Ho il cuore affranto dal dolore e anche la mia famiglia è distrutta dal dolore — racconta sempre l’amica —. Io in questi giorni le sono stata molto vicina, le ho aperto la mia casa, proprio perché lei potesse trovare anche del calore, perché Monica viveva al freddo, senza acqua, senza gas né luce, perché lei non ce la faceva a fine mese a pagare tutto quello che doveva pagare».

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24 dicembre 2024 ( modifica il 24 dicembre 2024 | 10:56)

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